Quella di Turandot, sterminatrice di pretendenti, che scopre l’amore grazie a un principe ignoto, è una favola senza tempo e, supportata da un’idea, la si può trasportare in qualsiasi epoca mantenendo intatta la sua forza. Tratta da un’antica novella persiana con ambientazione russa, vi attinse prima il drammaturgo Carlo Gozzi nel 1762 e, in seguito, Giacomo Puccini per la sua opera in tre atti e cinque quadri, su libretto di Giuseppe Adami e Renato Simoni, in scena per la prima volta il 25 aprile 1926 (a morte avvenuta del compositore) diretta dal maestro Arturo Toscanini al Teatro alla Scala di Milano. Abbiamo già raccontato – inizio 2018 – cosa fece e disse Toscanini però, all’opera incompiuta di Puccini, musicisti come Franco Alfano e Luciano Berio hanno lavorato a possibili conclusioni.
Infatti, a Bologna, è stato scelto di adottatare quello di Alfano dal collettivo di artisti figurativi russi AES+F insieme al regista ideatore del progetto di lirica itinerante OperaCamion Fabio Cherstich. Coproduzione del Teatro Massimo di Palermo (dove ha debuttato lo scorso gennaio), Teatro Comunale di Bologna, Badisches Staatstheater Karlsruhe e in partnership con il Lakhta Center di San Pietroburgo, un progetto nato dal desiderio di coniugare il linguaggio tradizionale dell’opera con l’immaginario seducente e avveniristico di AES+F, che nelle sue opere multimediali crea mondi ibridi e visionari, caratterizzati da uno sguardo distopico sulla contemporaneità.
Nella visione di Cherstich e AES+F – che per l’allestimento ha curato video, scene e costumi, mentre le luci sono di Marco Giusti – la favola esotica di Turandot, si trasferisce in una Pechino del terzo millennio che riesce a far convivere navicelle spaziali e draghi volanti sullo sfondo di una metropoli del futuro tutta luci e colori. Il regista spiega «Nella nostra lettura la principessa Turandot è a capo di un nuovo impero gigantesco e multietnico in cui Pechino è una megalopoli organizzatissima dove convivono uomini, macchine e androidi. Gli elementi dell’architettura orientale tradizionale si sovrappongono a nuovi edifici tecnologici. Passato, presente e futuro si uniscono in un melting pot in cui non è chiaro quale sia l’originale e quale l’innesto.
In questa città, la “massa” è specchio di una società vulnerabile e spaesata, abituata alla violenza, che si manifesta in forme che rasentano l’allucinazione collettiva l’idolatria nei confronti del potere. Turandot esercita un cyber-matriarcato radicale, servendosi di immagini video, schermi e proiezioni per incantare i suoi sudditi».
L’insieme funziona perché lo spettatore viene immediatamente catturato dalla civiltà “globalizzata” ante litteram, in cui etnie e nazionalità perdono di significato nella raffigurazione di un mondo fantasioso e astrattamente lontano. Le soluzioni sono efficaci anche per i tre grandi schermi sul palcoscenico più un quarto che cala dall’alto e dove i simbolismi non sono mai didascalici.
Tutto è freddo e glaciale imposto da Turandot che non dimentica la ferita, inferta a una sua ava, da un’invasore straniero. Neppure l’imperatore ha potere e l’ultima parola è sempre della principessa. Però, via via la storia si evolve e alla fine trionfa l’amore in tutta la sua forza e il disgelo disperde anche il terrore dei fantasmi del passato.
Sempre come rileva Fabio Cherstich, al debutto di Turandot, la bomba atomica non esisteva, per andare in Cina occorreva un viaggio di settimane e le donne italiane non avevano diritto di voto. Il mondo era diverso, quindi, riallestire l’opera oggi vuol dire scavalcare un divario temporale e la musica, le parole, le immagini, i gesti concepiti da Puccini, dai librettisti, come possono non assumere un significato diverso per il pubblico del secolo successivo?
Un divario ancora più marcato con Turandot, che nei temi e nell’ambientazione è caratterizzata da un orientalismo che oggi appare problematico, al centro di una discussione etica e politica globale. «Sono convinto che il compito del regista sia anche di accompagnare il pubblico in questo viaggio nel tempo e questo ci ha condotti a reimmaginare la superficie della storia, per riavvicinarci alla sua profondità».
La parte musicale è affidata alla giovane bacchetta Valerio Galli e, da viareggino, ha nel Dna la musica di Giacomo Puccini. Già apprezzato all’Opera di Firenze nella “Rondine”, torna a Bologna dopo la diezione di Tosca nel 2017, offre ora una lettura dell’opera ben coadiuvato dall’Orchestra del Teatro felsineo come il Coro – diretto dal maestro Alberto Malazzi – sempre attento e affiancato dal Coro di voci bianche preparato da Alhambra Superchi.
Eccellente il cast dei solisti con Calaf (tenore) Gregory Kunde veramente in stato di grazia che già ci aveva meravigliato in un concerto insieme all’indiscussa regina del belcanto, Mariella Devia (sempre a Bologna lo scorso 12 maggio). Sin dall’inizio fa suo il personaggio in un crescendo per calare la carta vincente al “Nessun dorma” amplificando il turbinio di emozioni in platea.
La principessa di gelo Turandot (soprano) Hui He in una performance da ricordare. Liu (soprano) Mariangela Sicilia (indimenticabile nella Boheme firmata Vick/ Mariotti) è a suo agio nella parte si dall’inizio, ma scatena incontrollati brividi nell’aria “Signore Ascolta …” facendo raggiungere uno stato da apoteosi nel terzo atto “Tu che di gel sei cinta…” (morte di Liu).
Bravissimi anche gli altri interpreti e, alla fine dello spettacolo, autentiche ovazioni per tutti compreso il progetto che è piaciuto moltissimo anche al pubblico delle prime a volte… un po’ tradizionalista, invece ha apprezzato, e sostenuto, questa scelta che fa onore al Teatro bolognese e alla cultura.
Didascalie immagini
alcune scene della prima di
Turandot firmata Fabio Cherstich
foto © Andrea Ranzi – Studio Casaluci
courtesy Fondazione Teatro Comunale di Bologna
TURANDOT
Opera in 3 atti
Musica di Giacomo Puccini
Libretto di Giuseppe Adami e Renato Simoni
L’ultimo duetto e il finale dell’opera sono stati completati da Franco Alfano – Editore Casa Ricordi, Milano
Direttore Valerio Galli
Ideazione Fabio Cherstich / AES+F
Regia Fabio Cherstich
Maestro del Coro Alberto Malazzi
Video, scene e costumi AES+F
Progetto luci Marco Giusti
Maestro del Coro di voci bianche Alhambra Superchi
Assistente alla regia Fabio Condemi
Assistente alle luci Alberto Cannoni
Personaggi e Interpreti
- Turandot Hui He /
Ana Lucrecia García (29 e 31 maggio, 5 e 7 giugno) - Altoum Bruno Lazzaretti
- Timur In-Sung Sim /
Alessandro Abis (29 e 31 maggio, 5 giugno) - Calaf Gregory Kunde /
Antonello Palombi (29 e 31 maggio, 5 e 7 giugno) - Liù Mariangela Sicilia /
Francesca Sassu (29 e 31 maggio, 5 e 7 giugno) - Ping Vincenzo Taormina /
Sergio Vitale (29 e 31 maggio, 5 e 7 giugno) - Pang Francesco Marsiglia /
Orlando Polidoro (29 e 31 maggio, 5 e 7 giugno) - Pong Cristiano Olivieri /
Pietro Picone (29 e 31 maggio, 5 e 7 giugno) - Un mandarino Nicolò Ceriani
- Il principe di Persia Massimiliano Brusco /
Andrea Taboga (29 e 31 maggio, 5 e 7 giugno) - Ancelle di Turandot Silvia Calzavara/Lucia Viviana /
Rosa Guarracino/Marie-Luce Erard (29 e 31 maggio, 5 e 7 giugno)
In collaborazione con la Scuola di Teatro di Bologna Alessandra Galante Garrone
Orchestra, Coro, Coro di voci bianche del Teatro Comunale di Bologna
Nuova produzione del Teatro Comunale di Bologna con Teatro Massimo Palermo e Badisches Staatstheater Karlsruhe
In partnership per la coproduzione del video con Lakhta Center
La recensione si riferisce alla prima di
martedì 28 maggio 2019
Prossime repliche
oggi, sabato 1° giugno, ore 15.30
Martedì 4 giugno, ore 20.00
(l’ultima recita di martedì 4 giugno verrà trasmessa in diretta streaming sul canale YouTube del Teatro Comunale di Bologna)
Dove e quando
- Fino al: – 04 June, 2019