Con la Passione secondo Matteo (BWV 244) Johann Sebastian Bach ha innalzato un monumento di armonia e di fede che celebra il Mistero della Pasqua e che tuttora parla con forza all’animo umano. Al pari dell’Oratorio di Natale questa opera grandiosa è una ricorrenza fissa nel calendario culturale e religioso tedesco e nel periodo Pasquale viene eseguita in chiese, sale da concerto e teatri, da stelle di prima grandezza del firmamento musicale e da compagnie di generosi dilettanti.
Secondo il necrologio pubblicato nel 1754 sulla Musikalischer Bibliothek Johann Sebastian Bach compose cinque Passioni. In forma integrale ne sopravvivono soltanto due: la Passione secondo Matteo e la precedente Passione secondo Giovanni (Johannes Passion, BWV 245). Al riguardo si veda lo splendido volume La voce di Bach di Raffaele Mellace, un must per chi desideri approfondire la conoscenza delle pagine vocali bachiane.
La Passione secondo Matteo è la composizione più grandiosa realizzata da Bach, assieme alla Messa in Si minore (BWV 232). Non a caso spesso viene identificata come la “Grande Passione”. Bach utilizza un organico grandioso di due cori, due orchestre, un doppio gruppo del continuo e un cast di sette voci soliste. Appartiene al genere della Passione oratoriale, affermatosi alla fine del diciassettesimo secolo e basato sul testo di uno dei quattro Evangeli, intercalato da inserti poetici e madrigalistici.
La Passione secondo Matteo fu composta per il servizio dei Vespri del Venerdì Santo del 1727 nella chiesa di San Tommaso a Lipsia. Con Bach ancora in vita, fu eseguita poi altre tre volte nel 1729, nel 1736 (con un’edizione riveduta e ampliata, che è appunto identificata come BWV 244 nel catalogo delle opere bachiane) e nel 1742. Poi sparì e non fu più eseguita per decenni. Nel 1829, quasi un secolo esatto dopo la sua nascita, un Felix Mendelssohn appena ventenne riunì i coristi della Sing-Akademie zu Berlin per la prima ripresa della Passione e, in mancanza di un organo, suonò lui stesso su un fortepiano. In quell’occasione fu proposta una versione abbreviata dell’opera; fu comunque un successo e da allora non si è mai smesso di eseguirla.
Il capolavoro bachiano poggia sui capitoli ventisei e ventisette del Vangelo secondo Matteo, nella versione tedesca di Lutero. Il poeta e librettista Picander (pseudonimo di Christian Friedrich Henrici, Stolpen, 14 gennaio 1700 – Lipsia, 10 maggio 1764) inserì poi nel testo biblico ventotto brani fra cori polifonici (le corali) e arie, quest’ultime precedute da un recitativo in arioso. La Passione secondo Matteo è suddivisa in due parti, che in origine erano inframezzate dall’omelia del Venerdì Santo. Nella prima parte si narrano i fatti che intercorrono fra l’ultima cena e l’arresto di Gesù, con il tradimento di Giuda. La seconda parte dipinge il crescendo drammatico dal processo davanti al Sinedrio, al giudizio di Pilato e alla crocifissione. L’esecuzione dura tra le tre e le quattro ore, a seconda dell’interpretazione, e restituisce un’esperienza straziante della Passione di Nostro Signore.
L’azione vera e propria, cioè la narrazione dei fatti del Vangelo di Matteo, è affidata ai recitativi “secchi” dell’Evangelista (tenore) accompagnato soltanto dal gruppo del continuo. Bach ha invece scritto i recitativi di Cristo come ariosi accompagnati dagli archi, come a conferire un’aura sacra alle parole del Redentore.
Le quattordici arie (per soprano, contralto, tenore e basso) sono il fulcro della Passione. Diversi strumenti accompagnano la voce solista, come è caratteristico dell’oratorio: il flauto, l’oboe da caccia, l’oboe d’amore, la viola da gamba, il violino. Queste arie sospendono il tempo della narrazione e conducono i fedeli alla contemplazione e alla meditazione, alla preghiera e al rimpianto, nella consapevolezza di far parte di un grande disegno divino. Impossibile rammentarle tutte, basti qui ricordare gli episodi di Pietro e di Giuda che, a breve distanza l’uno dall’altro, esprimono rimorso e pentimento per i due tradimenti, comunque ben diversi fra loro.
L’aria “Erbarme dich, mein Gott” (“Abbi misericordia, mio Dio”) si colloca nel punto della narrazione in cui Pietro ha adempiuto alla predizione di Cristo di rinnegarlo tre volte prima che il gallo canti. L’intenso tormento interiore e una angosciosa richiesta di pietà sono rimandati dall’intrecciarsi della voce del contralto con le note del violino concertante, sopra un accompagnamento struggente del basso. La si può qui ascoltare nell’interpretazione vellutata di Anne Sofie von Otter. Qui invece l’aria di Pietro, interpretata da Magdalena Kozená, serve da sfondo alle immagini ieratiche tratte dalle pellicole di Andrej Tarkovskij. Sempre con riferimento al cinema si può rimarcare en passant che il coro che conclude la Passione “Wir setzen uns mit Tränen nieder” (“Ci inginocchiamo con lacrime”) fu usato da P. P. Pasolini in Accattone, assieme ad altre pagine bachiane. Poche pagine dopo Giuda esprime tutta l’angoscia della sua coscienza nell’aria “Gebt mir meinen Jesum wieder” (“Rendetemi il mio Gesù!”). Anche qui la voce del basso si amalgama col violino concertante. Difficile da scordare anche l’aria del soprano Aus Liebe will mein Heiland sterben (“Per amore il mio Salvatore vuol morire“), accompagnata dal flauto traverso e due oboi da caccia.
Le corali polifoniche (in stile di mottetto o di fuga) sono fra i momenti più emozionanti dell’opera. La Passione secondo Matteo è anche un grande affresco collettivo a cui partecipano le turbae, il popolo fatto di soldati, di fedeli, di folla incanaglita. In questa grande rappresentazione, la violenza passionale e la potenza evocativa della polifonia portano spesso alla mente il dettaglio e la precisione della pittura nordeuropea di antichi maestri come Hans Memling.
Qui basta rammentare il grande impatto drammatico del grandioso prologo “Kommt, ihr Töchter, helft mir klagen” (“Venite, figlie, aiutatemi a piangere”) per doppio coro e coro supplementare di voci bianche. Si apre con un senso di tristezza pensierosa, restituito dalle note basse dell’organo. Il primo coro, che rappresenta la figura allegorica “Vergine di Sion“, esorta quindi i fedeli a meditare sul mistero della Passione, mentre il secondo coro incarna la folla sgomenta e smarrita che chiede con ansia “Chi? Come? Cosa? Dove?“. Su questo tessuto musicale si innesta poi il coro angelico delle voci bianche che intona “O Lamm Gottes unschuldig” (l’Agnus Dei tedesco) dando un’ulteriore dimensione celeste alla composizione. L’altezza spirituale del prologo Kommt, ihr Töchter, helft mir klagen si può qui apprezzare nella esecuzione storicamente informata del Collegium Vocale Ghent diretto dal suo fondatore Philippe Herreweghe, uno dei massimi esperti della musica del Kantor.
La passione di Cristo rimanda tuttora un dramma e un dilemma morale, anche a chi non crede. Un dramma che riguarda la nostra ricerca di senso e il nostro stato mortale. Il capolavoro bachiano, al di là della sua perfezione estetica e formale, ci spinge a riflettere e a cercare di dare un senso ai sentimenti cha animano il dramma della Passione: rimorso, pietà, tradimento, amore e odio.
Come disse Wilhelm Furtwängler, “Bach ha saputo rivivere nella sua anima le sofferenze del Figlio di Dio, la storia sacra del Cristo, tanto da saper creare, nella sua ultima e maggiore Passione, un’opera gigantesca che, per l’unità maestosamente suggestiva dell’ispirazione che la pervade dalla prima all’ultima nota, si può paragonare soltanto a quell’opera monumentale dell’epoca romantica, che è il Tristan di Wagner.”