Le forme satiriche di rappresentazione del diritto e della giustizia, ampiamente diffuse nel XIX secolo (si pensi alle litografie satiriche di Honoré Daumier analizzate nel precedente articolo hanno determinato e veicolato alcuni significati simbolici – discendenti da una diffusa percezione sociale dell’ingiustizia – che, nel tempo, si sono consolidati nel senso comune ed hanno continuato a caratterizzare le produzioni artistiche del XX secolo.

Basti pensare allo scandalo suscitato dall’allegoria della Giurisprudenza, una delle tre tele – insieme a La Filosofia e La Medicina, tutte tristemente distrutte nell’incendio del castello di Immendorf del 1945 – commissionate nel 1893 a Klimt dal ministero per la Cultura e l’Istruzione austrico, al fine di ornare il soffitto dell’aula magna dell’Università di Vienna con lavori rappresentanti la celebrazione delle scienze razionali.

La composizione, terminata nel 1903 – quando Klimt, già inserito nelle istanze artistiche della Secessione viennese, era ben lontano dal fornire una visione razionale dei soggetti rappresentati – non fu accolta di buon grado. Fra polemiche e pesanti critiche della stampa venne rifiutata dalle autorità ufficiali, le quali auspicavano invece un’immagine più solenne, ma soprattutto più ottimistica e rasserenante, che raffigurasse la scienza del diritto e non la pena – a tal proposito lo scrittore Karl Kraus affermerà che la nozione di giurisprudenza per Klimt si lega a quella di delitto e castigo; infatti, nell’opera predomina l’immagine di una vittima affranta, preda del terrore della punizione. Tutto questo generò un acceso dibattito pubblico circa la libertà di espressione degli artisti nei confronti dello Stato.

La scena di giudizio dipinta da Klimt mostra un tribunale governato da una legge severa e di astratte moralità, dove la giustizia è presentata come una forza punitrice e vendicatrice. Al centro dell’opera, infatti, sta un nudo corpo di vecchio indifeso il quale, prendendo in prestito le parole di Floriana Colao, «vittima della sua colpa, della legge, dei giudici e dell’opinione pubblica», è avviluppato tra le spire di un mostro tentacolare, circondato da lascive figure femminili – le Erinni in qualità di esecutrici ufficiali della giustizia – e sovrastato dalle tre allegorie della Verità, della Iustitia – munita del consueto attributo simbolico della spada – e della Legge, che, impassibili, osservano dall’alto il dramma dell’umanità.

Nell’ambito poi dell’evoluzione artistica successiva, non si riscontrano incisivi cambiamenti nelle raffigurazioni del diritto e della giustizia, le quali anzi diventano sempre più sporadiche, poste prevalentemente ad ornare i Palazzi di Giustizia in cui si può osservare che la triade simbolica – bilancia, spada e benda -, ha perso la sua caratteristica eloquenza esortativa o ammonitiva, cadendo in una ripetitività senza vitalità. Per tale motivo, anche nel XXI secolo, come accaduto in precedenza con le illustrazioni satiriche, sono comparse rappresentazioni iconografiche dell’“ingiustizia”, finalizzate a provocare nello spettatore un sentimento contrario; in altri termini, posto innanzi ad una scena di chiara ingiustizia, l’osservatore è spinto a riflettere sull’idea di giustizia in quanto tale.

Da questo punto di vista, è emblematica l’istallazione temporanea, posta nel quartiere londinese di Clerkenwell Green, realizzata nel 2004 dal guerrilla artist britannico Banksy. Si tratta di una statua in bronzo alta sei metri che replica nelle fattezze la famosa giustizia dell’Old Bailey – il Tribunale penale centrale di Londra – realizzata dallo scultore britannico Frederick William Pomeroy: vi ritroviamo la posizione allargata delle braccia allineate in orizzontale recanti i simboli della bilancia in una mano e della spada nell’altra, il volto incorniciato da un copricapo appuntito e lo sguardo inamovibile libero dalla benda accecante.

Ma nell’opera di Banksy è la tunica indossata dalla figura a denunciarne il lato nascosto; difatti, la veste maliziosamente aperta sui fianchi rende visibili un paio di alti stivali neri ed una giarrettiera dalla quale fuoriescono delle banconote, rivelando una somiglianza della Iustitia non tanto alla nobile dea decantata da Kantorowicz ne I due corpi del re, quanto ad una più discutibile meretrice. Banksy ha reso noto, tramite un portavoce, che il monumento in questione è dedicato a «criminali, ladri, bulli, bugiardi, corrotti, arroganti e stupidi», descrivendolo come «la più onesta raffigurazione della Giustizia britannica», dal momento che è necessario «imparare che le persone alle quali con fiducia rimettiamo la nostra libertà, non sono affidabili»; ciò sottolinea appunto la targa in metallo alla base dell’opera recante la scritta trust no one. L’artista stesso afferma di aver volutamente fatto coincidere questo atto di guerrilla art col primo anniversario della morte di Kevin Callan, camionista incensurato vittima di un errore giudiziario a causa del quale fu condannato nel 1991 per la morte di una bambina di quattro anni. Il caso destò una diffusa attenzione mediatica che portò alla revoca della sentenza nel 1995.

In conclusione, attualmente appare evidente come le immagini prese dal mondo delle leggi e dei tribunali, così come dai costumi sociali e dall’opinione pubblica, abbiano sostituito le statue e le pitture di un tempo, influenzando sempre più le raffigurazioni iconografiche del diritto e della giustizia, fino a svuotarle della gravitas e del carattere solenne che le animava. Il che forse rende auspicabile, come nella riflessione di Anna Maria Campanale, un recupero della dimensione originaria di tali immagini quali «veicolo di quei significati che fanno parte del corredo simbolico della scena del giudizio», in modo che autorevolezza della Iustitia e la sua riproduzione iconografica vadano di pari passo.

Dettagli

Didascalie immagini

  1. Gustav Klimt, La Filosofia e la Medicina,
    olio su tela, Vienna 1903-1907, distrutto
  2. Gustav Klimt, La Giurisprudenza,
    olio su tela, Vienna 1903-1907, distrutto
    Foto© MediaWiki
  3. – a sinistra: W. Pomeroy, Justice,
    bronzo dorato, Old Bailey, London, 1900-1907
    – a destra: Banksy, Lady Justice,
    bronzo, London, 2004, rimossa

IN COPERTINA

Gustav Klimt, La Giurisprudenza,
olio su tela, Vienna 1903-1907, distrutto
[particolare]
(fonte)

 

 

OPERE CITATE

  • CHINI, Klimt. Vita d’artista, Giunti, Firenze-Milano 2007
  • COLAO, Il “dolente regno dello pene”. Storie della “varietà della idea fondamentale del giure punitivo” tra Ottocento e Novecento, in “Materiali per una storia della cultura giuridica”, n. 1, giugno 2010
  • H. KANTOROWICZ, I due corpi de Re: l’idea di regalità nella teologia politica medievale, Einaudi, Torino 1989.
  • M. CAMPANALE, La funzione di pedagogia pubblica dell’iconografia giudiziaria, in “Sociologia del diritto”, n. 3, 2014

 

BBC INTERVISTA BANKSY NEL 2004:
http://news.bbc.co.uk/2/hi/entertainment/3537136.stm