
Il partito armato del separatismo basco ETA Euskadi Ta Askatasuna – letteralmente Paese basco e Libertà – in oltre cinquant’anni di lotta armata ha ucciso più di ottocento persone prima di deporre le armi, attraversando la Storia spagnola nella transizione dalla dittatura alla democrazia e fino alla delusione contemporanea di tante aspettative tradite. Una donna chiamata Maixabel di Icíar Bollaín è un film che racconta momenti decisivi, dal punto di vista delle ferite interiori di tutte le persone coinvolte, da entrambe le parti della barricata.
Per circa due anni, a partire dal 2012, si sono svolti incontri privati tra familiari delle vittime di attentati e membri dell’ETA esecutori di quegli omicidi, l’iniziativa – nata da una lettera anonima in cui un detenuto esprimeva il desiderio di un colloquio con le persone a cui le sue azioni avevano sconvolto la vita irrimediabilmente – ha spinto la direzione carceraria a creare condizioni perché questi dialoghi potessero avere luogo: su partecipazione volontaria, senza sconti di pena, agevolazioni o riconoscimento di alcun tipo. Ben presto però la politica ha posto fine a questa stagione di riconciliazione, decidendo che non può esserci pentimento senza delazione.
Partendo dall’uccisione del politico Juan María Jáuregui e spostando poi l’azione di qualche anno, a quando i responsabili erano già assicurati alla giustizia, il racconto viaggia su due binari paralleli seguendo da una parte la moglie del governatore ucciso, Maixabel Lasa e la figlia María – interpretate da Blanca Portillo e María Cerezuela, che per questi ruoli hanno vinto entrambe il premio Goya – e dall’altra due componenti del commando omicida, Ibon Etxezarreta e Luis Carrasco – rispettivamente Luis Tosar, e Urko Olazabal vincitore anch’esso di un meritatissimo premio Goya come non protagonista – fino al convergere negli incontri avvenuti tra le parti.

Una donna di nome Maixabel non è certo un film perfetto, per l’insistenza con cui vuole indurre commozione in certi momenti, eccessiva; ma si possono perdonare certe sbavature grazie al taglio originale che, senza assolvere i colpevoli di crimini efferati, mostra comunque fragilità e smarrimento di uomini idealisti strumentalizzati da forze più grandi di loro. Le meravigliose prove d’attore hanno il merito di dare forma a dinamiche umane, al di là dei ruoli vittima/carnefice.

Suona vagamente familiare anche al panorama italiano degli anni di piombo l’affermazione reale di Maixabel Lasa come presidente dell’Associazione Vittime del Terrorismo, che racconta come le autorità non abbiano gradito di veder compresi anche i caduti di altre bande armate o, peggio ancora, sotto colpi violenti da parte della polizia. Dolorosa riflessione anche quella dei militanti in carcere che incontrando i vertici ETA, che ordinavano loro chi uccidere, li hanno trovati così mediocri…

Molte analogie, più di quel che si può pensare, esistono tra le vite “nascoste” dei terroristi e quelle dei parenti delle vittime; gli affiliati a gruppi estremisti coltivarono una doppia vita per non far sapere ai congiunti delle proprie attività criminali, mentre i familiari di uomini esposti a diventare bersagli, forse per il timore di essere compatiti, hanno occultato la propria vulnerabilità ad amici e conoscenti, omettendo di condividere le preoccupazioni, quasi fosse qualcosa di cui avere vergogna.

Una donna chiamata Maixabel di Icíar Bollaín ha il pregio di raccontare tutte queste complesse implicazioni, adesso finalmente il film sarà nelle sale italiane dal prossimo 13 luglio, compreso tra i titoli di produzione europea inclusi nell’offerta Cinema Revolution 2023.