Dopo il successo del suo film d’esordio, Lunana: il villaggio alla fine del mondo arrivato fino alla candidatura all’Oscar, il cineasta bhutanese Pawo Choyning Dorji torna a raccontare il suo Paese esponendo i rischi di una transizione verso la modernità; lo fa con la consueta poesia, ma anche con tanta ironia che rende l’opera seconda – C’era una volta in Bhutan – davvero molto divertente.
Nel 2006 nel Regno del Bhutan sono arrivate la televisione e internet, un cambiamento che ha avuto ulteriore propulsione quando l’amato re Jigme Singye Wangchuck ha deciso, all’età di cinquantuno anni, di abdicare per concedere al suo popolo il dono più grande: scegliersi il capo attraverso elezioni democratiche. Ma il popolo non aveva proprio idea di cosa fossero queste ‘elezioni’ e anche concettualmente non ne capiva l’utilità, perciò compito del governo è stato quello di dare spiegazioni e a tale scopo venne indetta una prova elettorale dimostrativa; creati sulla carta tre partiti – Blu per libertà e uguaglianza, Rosso per lo sviluppo industriale, Giallo per la conservazione – il corpo elettorale è stato chiamato a esprimere preferenza. Con questo momento epocale nella Storia del Bhutan sullo sfondo, si intrecciano tracce narrative distinte destinate poi a convergere in un unico racconto corale: la direttrice delle elezioni Tshering Yangden deve creare dal nulla un’anagrafe elettorale, con la gente che non sa, né capisce, l’utilità di informazioni che non hanno mai avuto importanza, come la propria data di nascita; la guida Benji e lo straniero Ron vanno in giro per il Paese, ma non sembrano interessati al panorama; Choephel sostiene un candidato esterno alla comunità e crea malumori locali, di cui rischiano di fare le spese sua moglie Tshomo e sua figlia, la piccola Yuphel; il monaco Tashi è incaricato dal Lama del suo monastero di procurare due fucili entro il prossimo plenilunio, ma nel Regno non si trovano armi, lui stesso non ne ha mai viste in vita sua, e mancano soltanto quattro giorni alla luna piena, lo stesso giorno della dimostrazione elettorale.
Con tono leggero da commedia C’era una volt a in Bhutan mostra il confronto tra un mondo ben radicato negli insegnamenti del Buddha e i meccanismi della democrazia occidentale, quella in cui viviamo, che ci è stata ‘venduta’ come il migliore dei mondi possibili, ma che non conosce il principio scritto nel più antico codice delle leggi del Regno bhutanese fin dal Seicento: «se il governo non può creare la felicità del suo popolo, allora non c’è alcun motivo per il governo di esistere».
Straordinario nell’indurre riflessioni anche in noi, educati da sempre a credere che viviamo nel regime politico migliore, il film pone domande sul progresso – parola a cui viene data sempre valenza positiva per definizione – con la domanda di Tashi: “come essere certi che ci farà bene?”. Tra le battute fulminanti che costellano il racconto, il film vanta la definizione più acuta mai udita degli Stati Uniti, quando Benji presenta Ron: “Nel suo Paese ci sono più armi che persone!”.
Anni fa il Bhutan divenne famoso per aver adottato, unico nel mondo, la qualità della vita come indicatore di prosperità del Regno, anziché il famigerato Pil di tutti gli altri – lo raccontano libro e documentario omonimi, L’economia della felicità – e C’era una volta in Bhutan mostra l’assenza di avidità, con la figura dell’anziano Ap Penjor, in una cultura legata da millenni al concetto di karma, per cui legarsi troppo ai beni materiali è pericolosa tendenza che certamente appesantisce lo spirito.
Il film mostra come l’introduzione della competizione elettorale esponga i personaggi alla discordia con inediti conflitti, senza garantire l’assenza dei tre veleni – odio, aggressività, sofferenza – per tradizione sconosciuti. Un vecchio nella sua lapidaria saggezza definisce la Democrazia il sistema che hanno in India, dove in Parlamento si tirano la barba a vicenda o si lanciano contro le sedie; come non sorridere amaramente a tanto impietoso ritratto del sistema ritenuto massimo emblema di rappresentanza?
Dopo la presentazione al Toronto International Film Festival, adesso C’era una volta in Bhutan di Pawo Choyning Dorji sta per arrivare nelle sale italiane, dal prossimo 30 aprile, distribuito da Officine Ubu. Una visione da non perdere, per un divertimento intelligente che lascia molto su cui riflettere.