Comicità, dramma, follia, erotismo, insensatezze. Perfino la fiducia nei poteri magici di una pietra che può rendere invisibili. Nulla manca ne “L’italiana in Londra”. Dopo l’Amadigi di Händel l’opera di Francoforte manda in palcoscenico un altro lavoro poco frequentato dai repertori. L’intermezzo giocoso di Domenico Cimarosa debuttò nel 1778 a Roma nello storico Teatro Valle e riscosse successo immediato, attirando l’attenzione internazionale. Haydn la rappresentò anche a Eszterháza. La sua fortuna tuttavia non sopravvisse ai cambiamenti del gusto e alla marcia trionfale di Rossini nel panorama operistico. L’italiana in Londra scomparve dalle scene fino al ‘900 inoltrato e tuttora vi appare molto di rado.

Lo sviluppo ribolle di battute, superstizione, burle e sensualità. Nell’albergo londinese di Madama Brillante un gruppo di ospiti internazionali si trova costretto a una convivenza forzata. Al centro una coppia di giovani innamorati: Livia, figlia di una buona famiglia genovese, e Milord Arespingh, che è stato richiamato dalla Giamaica da suo padre per sposare una dama inglese. Don Polidoro, un esuberante turista napoletano e l’uomo d’affari olandese Sumers completano il quintetto. Una costellazione di personaggi, e di stereotipi nazionali, che fa venire alla mente Il Viaggio a Reims di Rossini. La convivenza porta a intrecci sempre più complessi, a fantasie e pazzie di vario tipo.
Il regista newyorkese R.B. Schlather fa leva sugli elementi farseschi del lavoro di Cimarosa e confeziona una macchina teatrale deliziosa ed elegante. A tratti pirotecnica. Spesso macchiettistica, come caricaturali sono i bei costumi di Doey Lüthi che aggiungono personalità ai protagonisti. I tempi dello spettacolo sono serrati e briosi. Di rado si leva il piede dal gas. Si rallenta soltanto per dare il giusto spazio alle passioni più delicate dei due giovani spasimanti. In sala ci si diverte, si ride e si applaude per tutte le due ore e mezzo della recita.

Nel contenitore essenziale e lineare costruito da Paul Steinberg si muovono i cinque interpreti dell’intermezzo di Cimarosa, splendidi per voce (il pubblico applaude le arie durante lo spettacolo) e interpretazione. Strepitosa la Madama Brillante di Bianca Tognocchi, sospesa fra la banalità di un quotidiano a buon mercato e sogni di evasione. Il soprano, fascinosa per voce e gesto, aggiunge spessore umano al cliché del personaggio e corona il sogno di trasferirsi a Napoli assieme all’amato Don Polidoro, un Gordon Bintner perfetto nel ruolo del latin lover in vacanza. Voce potente. Camicia bianca sbottonatissima, catene d’oro al collo e beverone in mano, lo si potrebbe incrociare nel fondo di una notte in Versilia. Il basso-baritono incanta la platea per verve espressiva; le sue manovre con la supposta Elitropia varrebbero da soli il biglietto. Il tenore Theo Lebow restituisce alla perfezione gli accenti caricaturali di Sumers, il mercante olandese ricco sfondato, nevrotico e narciso, anche lui invaghito della giovane Livia. Angela Vallone e Iurii Samoilov sono i due giovani innamorati, che aggiungono toni appassionati e a tratti dolenti alla recita, fino all’esplosione finale della passione e al trionfo inevitabile dei buoni sentimenti. Teneri e bravi entrambi. Un cast affiatato che si muove sul palcoscenico con maestria, lasciando chiaramente intravedere che anche loro si stanno divertendo non poco. Da sottolineare l’ottima dizione di tutti i cantanti, raramente si perde una parola!

Il direttore britannico Leo Hussain guida i cantanti attraverso la partitura, ricca di humour e di lati ridicoli, ma anche di architetture complesse, come i lunghi ensenble e i due finali con tutti in scena. Un flusso musicale che scorre rapido e frizzante, sorreggendo l’atmosfera briosa della scena.
Alla fine la platea tributa applausi lunghi e festosi a tutti e si esce convinti che davvero ci vorrebbe più Cimarosa nei cartelloni.