Vincenzo Abbate, studioso del collezionismo artistico a Palermo, celebra l’unione tra le arti palermitane di fine ʼ600 e inizio ʼ700 con un’esposizione emblematica di uno dei periodi più interessanti e seducenti della cultura figurativa del luogo: “Serpotta e il suo tempo”.
In mostra opere pittoriche, marmoree, ori, avori, coralli, stampe e altri pregevoli risultati della feconda attività delle maestranze di Palermo.
La sede è l’Oratorio dei Bianchi, complesso architettonico sorto nel corso dei secoli su un sito significativo nella storia della città: la parte più antica è costituita dai resti lignei della Porta della Vittoria, edificata in onore della vittoria di Roberto il Guiscardo sugli arabi; è loro, infatti, la piccola città fortificata della Kalsa, espugnata dai normanni. Ivi il Guiscardo decise di dedicare una cappella alla Vergine Maria e attorno a essa, per volontà del domenicano Michele Majali, nella fine del ʼ400 sorse la chiesa di S. Maria della Vittoria. Sopra l’edificio in questione, nel XVI secolo, si iniziò a costruire l’oratorio della confraternita del Santissimo Crocifisso, detta “dei Bianchi” per l’abito cerimoniale utilizzato. Vi facevano parte i maggiorenti della città, che dovevano confortare i condannati a morte.
L’oratorio fu distrutto da un incendio nella fine del ʼ600, poi però ricostruito e adornato di dipinti, sculture e arredi. Contribuì a tale operato l’arte dello stucco di Giacomo Serpotta, scultore e decoratore palermitano. Egli si distinse nella decorazione di chiese e oratori, sostenuto da facoltosi ordini religiosi, compagnie e confraternite, proprio tra ʼ600 e ʼ700, quando a coordinare quella prolifica stagione artistica era l’ingegno dell’architetto Giacomo Amato. Ne conseguì una produzione ricercata e pregiata, che su commissione di ecclesiastici, nobili e viceré proiettò la capitale vicereale sempre più verso gli orizzonti europei.
Oltre al classicismo barocco dell’architettura di Giacomo Amato riconosciamo anche l’eclettismo e l’estro dei raffinati oggetti d’arte decorativa e applicata che lui ideò, tanto da far parlare Giulio Paolini di “una sorta di polo di riferimento, di catalizzatore di energie sparse, di organizzatore e mentore raffinato”. Opportuni e diretti interpreti delle sue invenzioni sono i disegnatori Antonino Grano o Pietro dell’Aquila, valenti stuccatori coordinati da Giacomo Serpotta, nonché abili maestri orafi, corallari, intagliatori, ebanisti. Di Pietro dell’Aquila, nella fattispecie, possiamo ammirare Rebecca al pozzo, olio su tela risalente alla fine del XVII secolo; ivi i personaggi biblici spiccano sul fondo cupo e cinereo per la luce fredda che fa cerea la protagonista, mostrando forme e panneggi dalla durezza scultorea.
Di Giacomo Amato e Antonino Grano è un accurato disegno per altare, dai particolari scrupolosi, dalla veste sofisticata e dalle linee ondeggianti e sinuose. Fervida infatti la collaborazione tra Amato e gli artisti che lavoravano in bottega, come Serpotta appunto; artisti attivi sulla carta come sul cantiere, parte di un sistema poliedrico e moderno in cui il lavoro è diviso e coordinato e spazia dall’architettura all’ideazione di arredi, mobili e preziosi: rileviamo dunque un’impostazione efficace e rivoluzionaria per l’Italia del tempo, come afferma Emmanuele F. M. Emanuele, presidente della Fondazione Terzo Pilastro – Italia e Mediterraneo (promotrice della mostra).
L’evento inoltre, documentando le frequenti commissioni dei viceré spagnoli alla bottega Amato, ripercorre anche le interazioni tra la Sicilia, il Mediterraneo e la Spagna in età moderna.
Lo spazio al piano terra dell’Oratorio dei Bianchi è interamente dedicato a Serpotta e mostra gli stucchi provenienti dalla Chiesa delle Stimmate, rimossi prima della demolizione avvenuta nella fine dellʼ800 per far posto al Teatro Massimo. Ammiriamo il bozzetto in terracotta La Carità, materna, florida e più terrena rispetto all’omonima dello stucco, solenne, composta e altezzosa; benevola e soave, invece, la donna che incarna La Purezza nello stucco omonimo, dai panneggi però meno morbidi e spezzati. Sono esposti anche disegni e bozzetti che illustrano il procedimento della tecnica “povera”, utilizzata ad alti livelli dal maestro palermitano.
Al primo piano l’esposizione è ordinata in sezioni tematiche “fluide”, che fanno dialogare tra loro le opere: dipinti provenienti da edifici religiosi sono correlati alle architetture dei disegni preparatori di Amato, in cui è evidente lo sviluppo del barocco degli anni ʼ60-ʼ70 verso un’orientamento classicista di stampo romano; Amato infatti soggiornò a Roma per lungo tempo. Lo vediamo raffigurato con un’espressione accostante nel Ritratto di Giacomo Amato, di autore ignoto.
Di Robert Van Audenaerde è la Madonna del Rosario, incisione dal dipinto di Carlo Maratti dell’Oratorio di S. Cita a Palermo, proveniente dall’Istituto Centrale per la Grafica. Ivi i personaggi abbondano richiamando l’horror vacui di decorazioni barocche, in una composizione dinamica e chiassosa. All’apparenza più placida la Sacra Famiglia di Giovanni Odazzi, ove la Madonna assume un atteggiamento quasi distratto e incurante del figlio che riposa scomposto sulle sue gambe e dell’angioletto che le porge un dono, mentre altre creature alate sorvolano disordinatamente sulla scena.
Fiorente e ricercato il reliquiario di S.Rosalia, opera di argentieri palermitani; ricco di vivaci motivi vegetali il piviale dei ricamatori dello stesso luogo; scena tridimensionale, colori accesi e una fulgida ricchezza decorativa nel capezzale che maestranze siciliane dedicano alla Visione di S.Antonio da Padova, in ambra, avorio e pietre dure. Da attenzionare dunque nella sezione delle arti decorative gli oggetti preziosi, appartenuti a privati o arredi liturgici, poiché rivelano la maestria degli artigiani cittadini nonché il conseguente successo economico della produzione suntuaria, ben consona a una città che riveste il ruolo di capitale del viceregno di Sicilia.
Dettagli
Orari:
dal martedì alla domenica 10,00-13.30 / 16,30-20,00.
La biglietteria chiude mezz’ora prima. Lunedì chiuso.