Anni ’30 del ’900: un uomo distinto, con la bombetta e il mantello, fronteggia l’obiettivo fotografico tra gli alberi scuri e spogli del viale del Prado, a Marsiglia; nessun orpello decorativo in una strada altresì vuota e delimitata dal rigore geometrico dei tronchi in ripetizione. A Place de l’Europe, a Parigi, rinveniamo la medesima attenzione per l’equilibrio compositivo nel rapporto quasi simmetrico tra la sagoma di un uomo colto durante il salto e la sua ombra nella pozzanghera sottostante, su cui si riflette anche la cancellata che si staglia dinanzi all’aria nebulosa che confonde le case. Due prostitute, poi, fanno capolino con fare sfacciato e ammiccante da due usci similari, inquadrate quasi frontalmente, in Calle Cuauhtemoctzin, Città del Messico. E ancora, in uno spazio aperto a Salerno, ampio, sgombro e luminoso, figura, piccola, la sagoma di un ragazzetto accanto a un calesse: si noti la ripetizione triplice ed equilibrata dei pilastri a muro e l’alternanza tra neri e bianchi, questi ultimi predominanti. Tutto in bianco e in nero infatti (i toni per antonomasia del reportage), nelle immagini documentaristiche di Henri Cartier-Bresson.

Possiamo ammirare questi scatti, insieme ad altri ancora (140 in totale) presso la Galleria d’Arte Moderna di Palermo, in occasione della mostra che Civita organizza in collaborazione con la Fondazione Henri Cartier-Bresson e Magnum Photos Parigi. In essi permane la testimonianza di realtà storiche e sociologiche che ludicamente Henri Cartier-Bresson ha immortalato, iniziando all’età di 24 anni. Allora possiede una Leica ma vaga ancora alla ricerca di una strada professionale certa e definita. Lo tentano infatti anche la pittura e il cinema; afferma infatti: «Sono solo un tipo nervoso, e amo la pittura». E: «Per quanto riguarda la fotografia, non ci capisco nulla». Ma quella che il fotografo definisce ignoranza o incomprensione è piuttosto la volontà di non apportare sviluppi tecnici ulteriori che travisino l’hic et nunc dei suoi scatti. Le modifiche ai negativi, le revisioni delle inquadrature, li lascia volentieri agli specialisti del settore, convinto della forza imperitura e calamitante dell’immediatezza. La tecnica a suo parere non deve stravolgere la magia dell’imprinting, dell’esperienza iniziale, che riveste un significato e una qualità autentici e irripetibili: «Per me la macchina fotografica è come un block notes, uno strumento a supporto dell’intuito e della spontaneità, il padrone del momento che, in termini visivi, domanda e decide nello stesso tempo. Per “dare un senso” al mondo, bisogna sentirsi coinvolti in ciò che si inquadra nel mirino. Tale atteggiamento richiede concentrazione, disciplina mentale, sensibilità e un senso della geometria. Solo tramite un utilizzo minimale dei mezzi si può arrivare alla semplicità di espressione».

Se dunque la tendenza più diffusa è quella di voler potenziare a dismisura gli effetti illusionistici del mezzo fotografico, Henri Cartier-Bresson non torna mai sui suoi scatti: semplicemente, li approva o li scarta. Per lui conta far scendere in campo, nel momento in cui si lavora e si effettua lo scatto, la lucidità, la padronanza, la concentrazione di un pensatore zen, che da nulla dev’essere travolto o stravolto:

«Fotografare è trattenere il respiro quando tutte le nostre facoltà di percezione convergono davanti alla realtà che fugge. In quell’istante, la cattura dell’immagine si rivela un grande piacere fisico e intellettuale».

Nitidamente e ordinatamente, dunque, in un istante fugace, l’occhio di Cartier-Bresson sa cogliere ciò che con efficacia può farsi immagine fotografica e rapisce frammenti del visibile senza dimenticare di comporli geometricamente, con l’abilità sorprendente di farlo al volo: «Fotografare è riconoscere un fatto nello stesso attimo ed in una frazione di secondo e organizzare con rigore le forme percepite visivamente che esprimono questo fatto e lo significano. È mettere sulla stessa linea di mira la mente, lo sguardo e il cuore».

È fondamentale, come afferma il curatore della mostra Denis Curti, ricordare che nel 1947 il fotografo francese fonda, insieme a Robert Capa, George Rodger, David Seymour e William Vandivert, la celebre agenzia Magnum, ancora oggi punto di riferimento essenziale per il fotogiornalismo; a proposito di essa il fotografo Ferdinando Scianna, per molti anni unico suo membro, ha scritto: «Magnum continua a sopravvivere secondo l’utopia egualitaria dei suoi fondatori. In modo misterioso è riuscita finora a fare convivere le più violente contraddizioni. Questa è la cosa che più mi appassiona. Per quanto mi riguarda, sicilianissimo individualista, ho difficoltà a sentirmi parte di qualunque tipo di gruppo, ma so che se devo riferirmi a una appartenenza culturale è in quella tradizione che mi riconosco».

L’esposizione palermitana nasce da una selezione curata dall’editore Robert Delpire e realizzata con la Fondazione Henri Cartier-Bresson, istituita nel 2003 insieme a Martine Franck, moglie del grande fotografo, e alla figlia Mélanie: l’istituzione si propone di raccogliere le opere di Cartier-Bresson e creare uno spazio espositivo aperto anche ad altri artisti. L’allestimento attuale è curato da Denis Curti e Andrea Holzherr per conto di Magnum.

L’evento palermitano si prefigge dunque di far conoscere e comprendere il modus operandi di un autore che ha riscritto il vocabolario della fotografia contemporanea e che ha influenzato intere generazioni di fotografi.

Dettagli

Didascalie immagini

  1. Henri Cartier-Bresson,Viale del Prado, Marsiglia, Francia 1932
    © Henri Cartier-Bresson / Magnum Photos
  2. Henri Cartier-Bresson, Place de l'Europe, Stazione Saint Lazare, Parigi, Francia 1932
    © Henri Cartier-Bresson / Magnum Photos

IN COPERTINA
Henri Cartier-Bresson, Place de l'Europe, Stazione Saint Lazare, Parigi, Francia 1932
© Henri Cartier-Bresson / Magnum Photos

Orari:
dal martedì alla domenica ore 9.30 – 18.30
venerdì chiusura alle 22.30
Lunedì chiuso

Dove e quando

Evento: Henri Cartier-Bresson. Fotografo

Indirizzo:
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Fino al: 20180225