Fino al 30 settembre nell’area verde del Parco archeologico Naxos – Taormina si svolge la mostra “Claudio Palmieri. Pieghe del tempo”. L’artista romano, formatosi con pittori futuristi ed esordiente nell’ambito informale, lavora dal 1987 a oggi a un’arte polimaterica e di contaminazione, aperta alle sperimentazioni, che non disdegna elaborazioni fotografiche e “sculture sonore”.

A Giardini Naxos diciannove opere in metallo, ceramica e pigmenti dialogano con l’ambiente naturale e con il vulcano etneo. Infatti “che si tratti di pigmento pittorico, ceramica, plastica, metallo o altro, la materia si piega sotto una gestualità sapiente e istintiva e dà vita a concrezioni che ricordano residui geologici, ritrovamenti fossili, tracce biomorfiche”, afferma la curatrice Ilaria Schiaffini. Quelle opere quindi, apparentemente avulse dal contesto in cui sono collocate, evocano le trasformazioni e i processi ambientali, come brani di natura simulata. I colori della ceramica di Squilibrio, ad esempio, si increspano evocando il mare mentre in Magma un contenitore freddo e compatto racchiude ed esalta per contrasto una massa rossastra che ricorda l’energia lavica; e installazioni come Forma bioforma o Pianta solfurea si mimetizzano come verdi locuste tra gli ulivi retrostanti. Segno barocco nasce invece per esaltare la forza della linea dinamica, della linea curva; non mancano neanche alcune delle note sculture metalliche che l’artista fa suonare con le sue mani.
“Le sculture si sono collocate da sole. Sono andate loro a cercare il posto. Hanno trovato gli ulivi, ad esempio. Mi sono trovato magicamente nel luogo che avevo sempre sognato”, afferma l’artista.

La curatrice sottolinea anche l’esigenza architettonica delle sculture di Palmieri, che persegue la confluenza tra il rigore e la pulsione della natura, tra l’emozione e l’ordine strutturale. Essenziale ed ermetico, ad esempio, il segno tracciato dal “nastro” blu di Evoluzione. Perché nell’arte di Palmieri le forme concettuali e minimaliste sposano il richiamo alla materia, alla corpulenza della struttura e dell’architettura. Il contenuto della Falce di luna, ad esempio ricorda l’attrazione per la materia degli artisti informali, ma contrasta, arruffato e scosceso, con la severità lineare e tagliente della falce che lo contiene. Lo stesso titolo della mostra, “Pieghe del tempo”, richiama la sedimentazione nel tempo dell’atto creativo, come gli strati sovrapposti di una corteccia arborea.
“Sono sculture abitate, – afferma Achille Bonito Oliva – geometrie riscaldate da residui emozionali di materia organica che nel richiamare le profondità remote del tempo esterno e di quello interiore, lasciano talvolta affiorare iconografie umanoidi, memorie culturali collettive, miti o archetipi della civiltà mediterranea: il guerriero, la lancia, la clessidra, Golgota, Atlantide. Allo stesso tempo, nel rifuggire da identificazioni storiche univoche, esse riconducono l’umanità alla sua consistenza naturale primaria. Con le armi della simulazione estetica, dell’incanto visivo e della sensorialità tattile ereditate dal Barocco, Palmieri sembra così rispondere alle minacce di distruzione della natura provocate dalla civiltà tecnologica”.

Palmieri dunque raccoglie l’eredità modernista di integrazione dell’opera nello spazio contestuale, ricercando la durezza geometrica e al contempo esprimendo l’istinto primordiale della materia, coniugata quindi ad opere leggere e quasi aerodinamiche sempre pronte ad acquisire significati eterogenei.