Giunge a Villa Zito, a Palermo, la mostra di Patrizia Mussa “Teatralità – Architetture per la meraviglia”, dopo aver debuttato al Palazzo Reale di Milano lo scorso dicembre. Il curatore, Antonio Calbi, definisce luoghi ravvivanti per l’immaginario le grandi immagini di Patrizia Mussa, fotografa d’architettura, che omaggia la teatralità architettonica di tutta Italia. La qualità scenica dei teatri italiani è riletta ed esaltata in più di settanta rappresentazioni, con interventi di coloritura a mano.

L’excursus espositivo si muove dai primi teatri non provvisori di Vicenza, Sabbioneta e Parma – che segnano il passaggio dai teatri di corte agli edifici veri e propri – al Teatro alla Scala di Milano, al San Carlo di Napoli, La Fenice di Venezia, il Teatro Regio di Torino, il Teatro Argentina di Roma, la Pergola di Firenze, il Teatro Massimo di Palermo; spazio anche ad architetture che documentano la mission “teatrale” di alcuni esempi di architettura civile italiana, come la Reggia di Venarìa, quella di Stupinigi, la Reggia di Caserta, Palazzo Grimani a Venezia.
Ma le fotografie di Patrizia Mussa non vogliono solo descrivere il magnificente patrimonio architettonico dei teatri, bensì anche farsi portavoce della funzione comunitaria di questi ultimi, che uniscono e creano legami, incontri e condivisioni, assurgendo persino ad “ambiti dell’anima, della visione e dell’ascolto […], spazi liminali dove è possibile superare il dato reale per provare a sfiorare il mistero che si nasconde dietro le cose”, afferma Antonio Calbi.

Per la mostra di Palermo si è deciso di integrare il lavoro già fatto e presentato a Palazzo Reale a Milano con delle riprese realizzate appositamente nel Parco archeologico di Segesta. Il Teatro Massimo era già presente a Milano, ma l’artista ha voluto realizzare stampe più grandi appositamente per Palermo. Poi c’è il Politeama e anche “un luogo dalla teatralità assoluta che è la palermitana Chiesa del Gesù, posto importante per raccontare la teatralità siciliana”, afferma Patrizia Mussa. Seguono poi la “villa dei mostri”, cioè la Villa Palagonia di Bagheria, visitata e descritta da Goethe e conosciuta per le sue stravaganti figure; e il Teatrino settecentesco che il principe di Trabia, Ottavio Lanza di Branciforte, fece smontare da Palazzo Butera a inizio ʼ900 per portarlo a Parigi e che oggi è collocato nella sede francese dell’Ambasciata d’Italia.
Lo stile fotografico di Patrizia Mussa ricorda il rigore astratto della prospettiva centrale, data la predilezione della visione frontale. La luce è naturale, il fuoco totale. Le architetture sono leggibilissime, meticolose, scandite da ritmi costanti e un equilibrio ferreo, assicurato da simmetrie dal gusto rinascimentale. Ma la scrittura di luce dell’artista diviene poi gesto pittorico perché dopo la realizzazione della stampa su carta cotone lei ripercorre i dettagli architettonici con i pastelli colorati, come con i dipinti e gli arazzi.

“I teatri fotografati e rielaborati da Patrizia Mussa – afferma quindi il curatore – sono quintessenze formali, poesia visiva, esistenzialismo pittorico senza figure umane”. Infatti l’intento non è catalogativo, quanto di rielaborazione personale e artistica: “Un lavoro di rigore e ripensamento, – spiega la fotografa – uno sguardo ad occhi socchiusi, l’innesco di un processo onirico, di smagliatura, di impoverimento, la ricerca di una radice, di un’anima, di un altro significato; una sorta di radiografia, di istantanea retinica o corticale, impressa su un velo sottile”.

In una piccola sezione collaterale della mostra, a cura dello storico dell’arte Sergio Troisi, sono raccolte tempere, incisioni e disegni, raccolti dalla Fondazione Sicilia, del grande viaggio durante il quale dalla fine del ʼ700 in avanti sono riscoperti i teatri antichi, greci e romani, da Segesta a Tindari, Siracusa, Taormina. Quest’ultimo poi è quello che più incanta i visitatori, già da tutto l’800 e fino ai primi anni del ʼ900. Afferma Troisi: “Un aspetto di grande interesse è la differenza tra il modo in cui noi vediamo i teatri e il punto di vista dei viaggiatori che li scoprono a partire dalla fine del XVIII secolo, perché allora ad esempio alcuni teatri erano ancora semisepolti. Quello di Siracusa aveva la cavea invasa da alberi, ruscello, casupole. Ciò che colpisce di queste opere, visto che alcuni dei loro autori erano anche architetti, è la cultura architettonica illuminista, e in questo studio dell’antico si prefigura un’idea di spazio scenico che poi conduce alla modernità ottocentesca e novecentesca”. Troveremo quindi stampe, disegni e volumi di viaggio di Jean Houel e Peter de Wint, di noti vedutisti come Houel, taccuini di viaggio di Spencer Compton e incisioni mai esposte di pittori, paesaggisti e litografi del XVIII e XIX secolo, come Benoist, Berthault, Chatelet, Coiny Debris, De Morogues, Gigante, Leicht e Marinoni.

La mostra, concepita come itinerante, è ancora “in divenire”, poiché Patrizia Mussa ha in programma di completare il progetto con altri celebri teatri italiani. Il tour proseguirà dunque a Roma, Vicenza e nella primavera 2025 a Parigi, nelle sale del settecentesco Hôtel de Galliffet, sede dell’Istituto Italiano di Cultura.