Pensare al più complesso dramma politico verdiano, su conflitti e solitudine del potere, in scena al Piermarini è impossibile impedire il ricordo del leggendario allestimento di Giorgio Strehler, diretto da Claudio Abbado, per l’inaugurazione della Stagione 1971-72 con Piero Cappuccilli (Simon Boccanegra), Mirella Freni (Amélia) Nicolaj Ghiaurov (Fiesco) e Gianni Raimondi (Adorno).
Complessa, dalla gestione tormentata, Simon Boccanegra è un’opera cardine nel percorso artistico di Giuseppe Verdi. Radicalmente innovativa nella struttura drammaturgica (i fatti rappresentati nel Prologo precedono di venticinque anni l’azione dell’Atto I), non del tutto trasparente nel disegno narrativo abbozzato dallo stesso Verdi e versificato da Piave, è decisamente insolita per la cupezza del colore orchestrale.
Cadde alla prima rappresentazione al teatro la Fenice di Venezia (12 marzo 1857) e Verdi scrisse alla contessa Clara Maffei “Credevo di aver fatto qualcosa di possibile, ma pare che mi sia ingannato, vedremo in seguito chi abbia torto”. Poco dopo fu applaudita a Napoli e di nuovo fischiata alla Scala nel 1859. Così, per far rialzare nuovamente il sipario di Simone occorsero oltre venti anni e, soprattutto, l’intuizione di Giulio Ricordi che propose a Verdi una collaborazione con Arrigo Boito.
Dopo un attento lavoro di revisione – del compositore al libretto e del Maestro alla partitura – il 24 marzo 1881 il Teatro alla Scala celebrava il buon successo della seconda edizione che tuttavia, soprattutto in Italia, non riuscirà ad avere un cammino agevole; fino alla consacrazione agli occhi degli studiosi e nel cuore del pubblico, il 7 dicembre 1971 nella predetta storica edizione immediatamente riconosciuta come un capolavoro di Giorgio Strehler (poi ripresa nel 1973, 76, 78, 79, 81 e 82) ed esportata al Covent Garden, negli Stati Uniti (per il bicentenario dell’indipendenza) e in Giappone (nel 1981 nella prima tournée scaligera in oriente).
L’allestimento è di Daniele Abbado che firma anche le scene insieme a Angelo Linzalata mentre i costumi sono di Nanà Cecchi e le luci di Alessandro Carletti. Il regista ha tenuto a precisare: “Non sono sicuro del fatto che ci sia una vera riconciliazione alla fine dell’opera. C’è tra Simone e Gabriele Adorno, tra Amelia e Fiesco, ma tra Simone e il suo popolo resta un grande punto interrogativo. Il finale rimane, per me, un finale amaro. Anche per questo seguirò la didascalia di Verdi che lei citava, in modo che quando Simone muore ci sia un buio totale in sala”. L’attesa era palpabile alla prima di giovedì scorso. Spettacolo minimalista, ma efficace dove Abbado ha proposto l’ambientazione in una Genova tra fine Ottocento e primi Novecento con un finale bellissimo, ma non sveleremo altro per rispetto a chi vedrà le prossime recite in cartellone fino al 24 febbraio.
Debutto verdiano al Piermarini di Lorenzo Viotti, dopo le brillanti prove offerte nel repertorio francese (Roméo et Juliette e Thaïs). Nella sua intervista alla Rivista scaligera il maestro trentatreenne ha ricordato come Simon Boccanegra sia stata la prima opera a cui ha assistito dal vivo, a cinque anni, con la direzione del padre Marcello (scomparso nel 2005), spiegando: “Sono convinto che sia il testamento musicale di Verdi. Certo, dopo verranno altri due capolavori e Pezzi sacri, ma la distanza tra questi e Boccanegra è enorme e indicativa. Lo dicono la raffinatezza dei valori musicali della partitura, la velocità impressa all’azione drammatica attraverso la concisione dei pochi pezzi chiusi, il nuovo stile di canto. E la stessa tinta complessiva: la prima versione era triste, la seconda lo è ancora di più. Quasi ogni persona ha la ‘sua’ versione. O, meglio, l’opera si racconta a ognuno in maniera diversa”.
Lorenzo Viotti, già all’entrata è stato accolto da molti applausi, poi il silenzio assoluto e inizia un preludio struggente che avvolge la sala. Orchestra e Coro scaligeri in splendida forma, sempre in crescendo. Il pubblico è rapito da questa musica dove i suoni dei singoli strumenti sono cesellati, gli attacchi orchestrali precisi. Tutto è in sintonia.
Bene, sia vocalmente che scenicamente, i componenti del cast di cantanti solisti, con il baritono Luca Salsi – al debutto nel ruolo del titolo – che aggiunge un altro personaggio verdiano agli altri già cantati alla Scala. Speriamo di riascoltarlo presto in altri teatri, perché Simone gli va a pennello.
Il basso Ain Anger (Jacopo Fiesco) ha sfoderato una bella voce .
Il ruolo del cattivo della situazione nelle opere non manca mai e qui è affidato al baritono Roberto de Candia (Paolo Albiani) molto bravo.
Altro debutto, nei ruoli verdiani alla sala Piermarini, il soprano Eleonora Buratto (Amelia) che, nell’aria impervia del primo atto “Come in quest’ora bruna…” ottiene meritatissimi applausi.
Debutto milanese anche per lo statunitense Charles Castronovo, già apprezzato a Firenze nel marzo 2022 in Amico Fritz di Pietro Mascagni. Il tenore è a suo agio nei panni di Gabriele Adorno e, nel duetto d’amore con Amelia del primo atto, “Vieni a mirare la cerula… sì, sì dell’ara il giubilo” le due voci si fondono perfettamente.
Bravi anche gli altri e alla fine, dopo quasi tre ore di musica che sono volate via velocissime, copiosi applausi per tutti gli artisti a parte qualche mugugno dal loggione verso Ain Anger, ma gli applausi lo hanno scavalcato.
Per il resto poi standing ovation per Lorenzo Viotti.