Il 2017 segna il 450esimo anniversario della nascita di Claudio Monteverdi e da Aprile a Ottobre gli English Baroque Soloists e il Monteverdi Choir, diretti dal loro fondatore Sir John Eliot Gardiner e accompagnati da un cast internazionale di solisti, celebrano il grande cremonese con il tour “Monteverdi 450”. Il teatro La Fenice di Venezia ne ha ospitata l’unica tappa italiana. Un viaggio fascinoso attraverso la nascita del genere operistico, dal mondo bucolico dei pastori di Orfeo, alle vicende di Ulisse e all’amorale ascesa sociale di Poppea. Monteverdi sviluppò con genialità i primi esperimenti di teatro musicale dei nobili fiorentini della Camerata de’ Bardi di fine Cinquecento e di fatto creò il teatro d’opera come lo conosciamo oggi. Superò il recitar cantando e incluse nelle sue opere altri stili e forme musicali dell’epoca: canzoni, balletti, pezzi per orchestra, cori. Monteverdi mise anche in campo un’orchestra assai variegata, in cui i legni si affiancano agli archi e alla sezione del continuo. In questo modo il teatro di Monteverdi divenne capace di dispiegare tutto il caleidoscopio delle passioni umane e di trasportare lo spettatore in un universo di amore e innocenza, rabbia e corruzione. “Monteverdi 450” porta in palcoscenico le opere sopravvissute di Monteverdi in tre serate consecutive. Oltre alla direzione musicale del progetto, Sir John Eliot Gardiner ne ha curato la messinscena assieme a Elsa Rooke. È un allestimento leggero, semiscenico, anche per la necessità di essere trasportato in tournée e rappresentato su palcoscenici diversi. Da rimarcare la perfetta macchina organizzativa che sta dietro alla tournée, con esigenze forse più simili a quelle di un gruppo rock in tour che a quelle standard della musica operistica.
Questo viaggio nel mondo teatrale di Monteverdi non può che iniziare con L’Orfeo, l’opera più antica tuttora rappresentata con regolarità (Euridice del Peri fu rappresentata nel 1600 e anche prima di essa forme diverse di rappresentazione musicale erano esistite). Monteverdi era al servizio del duca di Mantova quando compose L’Orfeo e la prima recita avvenne nel 1607 in una sala del Palazzo Ducale. Lo spettacolo fu accolto da tale favore che delle repliche dovettero essere subito allestite alla stessa corte dei Gonzaga. Venne anche stampato il libretto affinché gli spettatori potessero seguire meglio la nuova creazione di Monteverdi. Era nato un genere! L’Orfeo è una favola pastorale in cui l’amore e il potere della musica riescono a commuovere gli uomini e gli dei e perfino a vincere la morte. E a distanza di 400 anni L’Orfeo non ha perso nulla della sua forza espressiva. Ancora funziona alla perfezione il legame fra parole e musica, con la sua capacità di rappresentare i moti dell’animo dei protagonisti e di coinvolgere il pubblico.
La seconda serata è dedicata a Il Ritorno d’Ulisse in Patria, composto più di trent’anni dopo L’Orfeo. Nel mezzo ci sono altre opere di Monteverdi andate perdute e il suo trasferimento dalla corte di Mantova a Venezia, come maestro di cappella della Basilica di San Marco, all’epoca l’incarico musicale più importante della Penisola. Nel frattempo è cambiato completamente anche il contesto delle rappresentazioni operistiche e la committenza. Si è passati dagli ambienti privati delle corti rinascimentali a quelli del teatro pubblico. Il teatro musicale non è più svago erudito dei nobili ma è diventato attività d’impresa con un pubblico pagante. Nei decenni centrali del Seicento una vera febbre operistica pervade Venezia e Monteverdi, ormai più che settantenne, compone l’Ulisse su libretto di Giacomo Badoaro. Ne esce necessariamente un lavoro diverso da L’Orfeo. Per accontentare il pubblico pagante lo spettacolo si dilata, si introducono nuovi tipi di personaggi, come il ruolo comico dell’accattone Iro. Una seconda coppia di amanti licenziosi fa da contraltare all’amore coniugale di Penelope e Ulisse. L’Ulisse è basato sui libri 13-24 dell’Odissea e, pur essendo l’opera meno rappresentata di Monteverdi, è una storia di grande umanità in cui l’amore e la fedeltà prevalgono sul tradimento e l’inganno. Porta in scena personaggi di ogni livello, dai mendicanti agli eroi e agli dei, ed è meraviglioso come la musica di Monteverdi sappia dipingere con esattezza i tratti caratteristici di ognuno.
Il trittico si chiude con L’incoronazione di Poppea, l’ultimo capolavoro di Monteverdi apparso due anni dopo l’Ulisse. Libretto di Giovanni Francesco Busenello che scrisse anche per Francesco Cavalli. È il racconto in musica di una sfacciata arrampicata sociale, costellata di morte e tradimento, con un ritmo più serrato rispetto all’Ulisse. È un’opera a tinte forti e oscure, che finisce con l’apparente vittoria di Amore e l’incoronazione finale di Poppea. Ma è una vittoria che travolge ogni regola morale. Neanche la bellezza lirica del famoso duetto finale “Pur ti miro, pur ti godo” scaccia le ombre che gravano su questo trionfo di Amore. Niente a che vedere con la vittoria dell’amore fedele di Penelope e Ulisse. Un mondo corrotto, mosso dal desiderio e dall’arrivismo dei protagonisti. Nerone è un despota deciso a soddisfare ogni suo capriccio, Poppea non esita davanti a nulla pur di giungere al trono. Neanche le vittime sono innocenti: Ottavia, l’imperatrice ripudiata per far posto a Poppea, ricatta Ottone per convincerlo a uccidere la moglie Poppea. Ottone è a sua volta un pavido irresoluto.
In queste tre serate Sir Eliot Gardiner, grande musicista e profondo conoscitore del barocco, ricrea alla perfezione la musica e lo spirito delle tre opere. Il disegno semi-scenico dello spettacolo si rivela felice nel tracciare appena la narrazione e concentrare l’attenzione sulla forza tuttora attuale della drammaturgia monteverdiana. L’orchestra non è in buca ma sul palcoscenico, dove circonda i cantanti. Nei loro interventi i coristi prendono spesso posto sul fondo della scena. Al centro del palcoscenico Gardiner, vero deus ex machina delle tre serate, tiene insieme cantanti e musicisti (L’Orfeo interamente senza spartito!). La compattezza dello spettacolo, con la stessa orchestra che partecipa alla rappresentazione in atto, esalta la fusione drammatica di parola e musica. I costumi, semplici e colorati, di Patricia Hofstede rimandano comunque il ruolo dei personaggi e restituiscono l’impressione da troupe itinerante che si trova a recitare ogni sera un soggetto diverso. Eccellente il lavoro di recitazione dei protagonisti. È davvero colma di affetti la scena di Penelope che si fa essa stessa arco al momento del contesto decisivo, rimanendo immota ai tentativi dei Proci per poi sciogliersi teneramente sotto la pressione delle braccia di Ulisse. Da porre l’accento anche sulla pregevole dizione dei cantanti. Insomma, si percepisce un solido lavoro di preparazione dietro questa messinscena in apparenza semplice.
Sotto la guida di Gardiner il Monteverdi Choir e gli English Baroque Soloists offrono, con i loro strumenti d’epoca, un’interpretazione sicura e ispirata delle tre partiture di Monteverdi. Ad andare a cercare il pelo nell’uovo ci si sarebbe aspettato un cambio di ritmo più marcato fra l’Ulisse e Poppea, ma è davvero un dettaglio nella cornice di tre serate di eccellenza musicale.
Ottima la compagnia di canto cui sono richieste gran doti di duttilità. Gli elementi dell’ensemble cambiano ruolo ogni sera e a volte sono incaricati di più ruoli nella stessa recita, ricreando anch’essi lo spirito delle troupe che si esibivano nei teatri veneziani della prima metà del Seicento. Krystian Adam è un Orfeo ispirato, che dà il meglio di sé nella aria centrale dell’opera “Possente spirto”, in cui profonde tutta la sua arte canora per ottenere da Caronte l’accesso agli Inferi. Il tenore polacco, voce raffinata e gentile, ritorna in scena il giorno successivo nei panni di Telemaco. Il soprano ceco Hana Blažíková veste con sicurezza sia i panni della casta e vivace Euridice che quelli della spregiudicata Poppea (più svariati altri ruoli minori nel corso delle tre serate). Nell’Orfeo la Blažíková interpreta anche il prologo della Musica, restituendo i magici accenti iniziali dell’opera. Irreprensibile in tutti i ruoli per voce e gesto. Fulvio Zanasi disegna un Ulisse di grande esperienza, con raffinato equilibrio tra recitazione e canto. Spicca l’intensità emotiva dei suoi duetti con il figlio e con la consorte. Zanasi interpreta anche il nobile Apollo, padre di Orfeo.
Bravissima Lucile Richardot, capace di immedesimarsi con convinzione in tre personaggi diversi. Nella prima serata il mezzosoprano francese restituisce gli accenti accorati della messaggera che annuncia la morte di Euridice. Statuaria per nobiltà del gesto la sua interpretazione di Penelope; il lungo lamento iniziale della sfortunata regina è fra i momenti più alti dell’intero trittico. Infine la Richardot veste i panni di Arnalta, la nutrice di Poppea, carattere con risvolti buffi e arrivista quanto la sua padrona (“Io nacqui serva, e morirò matrona”). Tre ruoli diversi, tutti portati in scena con gran doti espressive. Solenne il Caronte/Plutone di Gianluca Buratto, basso dai poderosi mezzi vocali, che impersona anche Nettuno nell’Ulisse e l’austero Seneca in Poppea. Tre interpretazioni assolutamente solide per i personaggi più austeri di queste serate veneziane. Il controtenore coreano Kangmin Justin Kim, che già aveva interpretato la Speranza nell’Ulisse, ci presenta un Nerone perfettamente credibile in tutta la sua nevrotica assenza di freni morali. Il duetto finale con Hana Blažíková/Poppea è un altro vertice delle tre serate; davanti all’intensità amorosa di tanta passione si dimenticano perfino i misfatti precedenti. Simpatica la Melanto di Anna Dennis, ancella civettuola che fa da contraltare all’austera nobiltà di Penelope. Bene tutti i comprimari fra cui si può ricordare il buffo Iro di Robert Burt (poi soldato in Poppea), l’Eumete di Francisco Fernández-Rueda (pastore nell’Orfeo) e l’Ottavia di Marianna Pizzolato, mezzosoprano dai potenti mezzi vocali.
Teatro gremito in tutte e tre le serate con un’ampia quota di spettatori internazionali, a testimonianza dell’interesse dell’evento. Vivissimo successo di pubblico, con l’ultima serata conclusa con gli applausi in piedi di platea e palchi. E un gran plauso alla Fenice per aver ospitato “Monteverdi 450” e per averci offerto queste tre splendide serate monteverdiane.