Nel 415 a.C. Euripide non si limita a trattare un tema ormai fin troppo ricorrente nella letteratura greca, la guerra di Troia. Sarebbe stato troppo ridondante e poco originale, di certo non da lui.
Quel che rese davvero grande una delle più importanti opere del tragediografo greco – non soltanto a livello artistico ma soprattutto per il dato culturale e politico – fu la sua geniale intuizione di sfruttare un disastroso episodio storico per attualizzare la guerra e tutto ciò che essa comporta.
Ed è così che la vecchia regina Ecuba, la romantica e comprensiva Andromaca, la previgente Cassandra e il piccolo Astianatte ci vengono presentati sotto una luce diversa da quella a cui siamo stati abituati: la disperazione e la solitudine.
Sono tutte vittime di un unico grande male: l’odio e la sete di potere.
E il pubblico del V Secolo coglie a pieno questo messaggio, perché rivede negli aguzzini e nei promotori del male i propri condottieri politici, ostinati a combattere contro Sparta e fautori della carneficina di Melo.
Proprio sulla scia di questa rilettura della storia, seppur così distante nel tempo, si inserisce l’adattamento teatrale in chiave contemporanea de Le Troiane sotto la regia russa di Valery Fokin e Nikolay Roshchin, prodotto dallo Stabile di Napoli in collaborazione con il Teatro Alexandrinsky di San Pietroburgo per il Napoli Teatro Festival Italia, in scena dal 22 marzo al 2 aprile 2017.
Sì, una trattazione frequente ma pur sempre attuale di un argomento che viaggia sul binario parallelo a quello della storia, che forse preoccupa oggi più che in passato. Le guerre dei nostri giorni, spesso, superano per viltà, cinismo e crudeltà le guerre del mondo antico. Ed è proprio sotto questa ottica che gli ideatori hanno messo in scena una tragedia classica con un approccio contemporaneo, basandosi sull’archetipo di guerra che si ha oggi.
Una rielaborazione dell’opera euripidea che si discosta dall’originaria struttura drammaturgica puntando più sull’analisi del comportamento dei personaggi: essi si uccidono gli uni con gli altri, ma vogliono rimanere nei limiti del comportamento civile e a questo scopo indossano a fatica le maschere della tolleranza.
E in questo spettacolo sembrano esserci tutte le componenti comportamentali, psicologiche e sensazionali dell’originale assetto tragico: dal pathos alla caricatura e al pamphlet sulle atrocità e sul cinismo che caratterizza quanto accade. Vincitori e vinti si incontrano intorno a un tavolo per un banchetto di festa, organizzato per documentare la vittoria. Tutti i personaggi, “rotti” e “temprati” dalla guerra; uomini e donne, incapaci di percepire la realtà, si aggrappano in modo maniacale alla vita normale, сadendo in uno stato che li distrugge e li svuota interiormente.
A mettere in scena questa perenne dicotomia – guerra e pace, violenza e commiserazione, giustizia e tracotanza – un cast d’eccezione e assolutamente variegato: con l’ausilio della grande professionalità di Angela Pagano (nel ruolo di Ecuba) e sotto la regia di Fokin e Roshchin, provenienti da esperienze e background teatrali differenti gli allievi della Scuola del Teatro Stabile di Napoli sono quindi i protagonisti di questo originale progetto. Una squadra russa mette in scena un’antica opera greca con attori italiani per debuttare in un anfiteatro romano.
Sul palcoscenico del Teatro Stabile Napoli – Teatro Mercadante, diverse e potentissime culture con le loro tradizioni, radici e regole si uniscono in un unico e sensazionale processo creativo.
Euripide sceglie Cassandra come sua portavoce: “Chi è sano di mente deve evitare la guerra, ma se si arriva alla guerra, la bella morte sarà corona di gloria per la sua patria”.
La gloria, il dolce premio del soldato, la grande consolazione dei greci. Ma essa è certamente collegata a un altro elemento fondamentale: la hybris, la tracotanza, l’orgoglio smisurato di cui i Greci hanno avuto sempre timore ma di cui si sono sempre macchiati (consapevolmente o meno). La differenza tra gloria e hybris è davvero sottile, un filo labile difficile da vedere. Allora Euripide decide di metterlo in scena, di rendere questo filo più spesso, visibile e riconoscibile. Il dolore, la condanna dei sopravvissuti, il desiderio di porre fine a tante ingiustizie sono i temi chiave di quest’opera, attuale più che mai.
Le parole di Ecuba non sono diverse da quelle che sentiamo urlare dalle madri delle vittime delle ingiustizie odierne, private di ogni bene; Cassandra è la donna a cui non diamo ascolto ed emarginiamo, spaventati dalla verità e severità dei suoi giudizi; Andromaca è la moglie distrutta dal dolore di dover combattere contro un mondo misogino che vuole schiacciarla e sottometterla. Ma, nonostante tutto, non si piegheranno e lotteranno fino allo stremo delle forze pur di mantenere la dignità che spetta loro. Euripide è la voce coraggiosa che si leva solitaria dalla massa per denunciare un sistema deficitario di lealtà e onestà, principi chiave della democrazia.