Ha debuttato al Teatro Storchi di Modena lo scorso 31 gennaio “La classe operaia va in paradiso” una produzione Emilia Romagna Teatro Fondazione e, dopo Correggio e Cesena, la tournée fa tappa all’Arena del Sole di Bologna fino a domani. Ispirato all’omonimo film di Elio Petri, il lavoro è costruito proprio attorno alla complessa sceneggiatura di Petri e Ugo Pirro. Inoltre, i materiali che testimoniano la genesi della pellicola e la sua ricezione, sono stati riassemblati in una nuova tessitura drammaturgica da Paolo Di Paolo con un articolato impianto musicale eseguito dagli attori (Donatella Allegro, Nicola Bortolotti, Michele Dell’Utri, Simone Francia, Lino Guanciale, Diana Manea, Eugenio Papalia, Franca Penone, Simone Tangolo, Filippo Zattini).
A distanza di quasi mezzo secolo dal debutto sui grandi schermi, lo spettacolo sceglie di “tornare allo sguardo scandaloso ed eterodosso, a tratti straniante, del film stesso, per provare a riflettere sulla recente storia politica e culturale”.
All’uscita nelle sale, il film riuscì nella difficile impresa di mettere d’accordo gli opposti: industriali, sindacalisti, studenti e giovani intellettuali gauchistes e parte dei critici cinematografici più impegnati dell’epoca. Tutti sullo stesso fronte anche se ci fu chi invocò il rogo per tutte le copie della pellicola.
Come continuava a ripetere Petri, il film non voleva rappresentare le ragioni di questa o quella parte, ma il mondo proprio della classe operaia innescando un duro dibattito all’interno della sinistra italiana, mettendone radicalmente in discussione, nel periodo turbolento dei primi anni di piombo, l’identità ideologica e l’effettiva capacità di rappresentanza del proletariato. La pellicola fu a lungo mal vista in patria, nonostante i numerosi premi vinti e, soprattutto, nonostante lo spessore dei protagonisti: Gian Maria Volonté a Mariangela Melato, a Salvo Randone.
Attingendo a piccoli capolavori della letteratura italiana degli anni Sessanta e Settanta, ricomposti e incorniciati in un impianto musicale straniante, in bilico tra la canzone satirica “pop” e le geometrie raggelanti ed estreme del barocco, ERT focalizza sulla recente storia del nostro Paese, con le sue ritornanti accensioni utopiche e i suoi successivi bruschi risvegli.
Nelle note di regia, Claudio Longhi, sottoline: “Sulla coda del film, in una breve e significativa scena, l’operaio Lulù Massa girovaga per la sua casa catalogando a uno a uno gli oggetti lì presenti e recitando una personale, e straniante, litania domestica: a ogni cosa risponde un costo, a ogni costo delle ore lavoro. Mutatis mutandis, nella sua concisione quella scena, dalle tinte bluastre e dai toni buffi, parla molto alla (e della) nostra epoca dominata dal consumo ultraveloce – espresso e spersonalizzante grazie al potere della rete -, affetta da una sindrome bulimica permanente mentre, al contrario, è risucchiata in vuoto ideologico spinto.
Bizzarro combinato di stili, con una sceneggiatura che qua e là strizza l’occhio alla commedia all’italiana ma si lascia altresì tentare, nel suo impasto cromatico dall’estremismo espressionista, il film di Petri, scandito dalla musica dura e pervasiva di Ennio Morricone, ha il merito di aver provato ad abbozzare una narrazione dell’Italia attraverso il lavoro, oltre i furori utopici di quegli anni febbrili che seguirono il Sessantotto. Riattraversarne la vicenda con lo sguardo disilluso del nostro presente, a quasi dieci anni dall’ultima crisi economica mondiale, significa riflettere su quanto quell’affresco grottesco immaginato da Petri nel 1971 sia più o meno distante.
Un tempo, il nostro, post-moderno e post-ideologico, che fatica a riconoscere in modo netto i tratti di una qualsivoglia “classe operaia”, dispersa e nascosta dietro gli innumerevoli volti del lavoro “flessibile”. Se dunque l’inferno umido e grasso della fabbrica cottimista dell’operaio Lulù Massa appare ben lontano dagli asettici e sterilizzati spazi industriali o dai lindi uffici dei precari odierni, lo stesso non è del ritmo ossessionante e costrittivo di una quotidianità, allora e ancora oggi, alienata.“