E’ grande colui che usa vasi d’argilla come fossero d’argento
(Lucio Anneo Seneca – “L’Arte di Vivere”)
Contrariamente alla filosofia di vita del protagonista, vale davvero la pena prendere un treno fino a Pontedera per la prima nazionale de “Il Nullafacente” al Centro per la Sperimentazione e la Ricerca Teatrale fino al 12 marzo. Scritto e interpretato da Michele Santeramo, regia e spazio scenico di Roberto Bacci, in scena Michele Cipriani, Silvia Pasello, Francesco Puleo, Tazio Torrini in un’eccelente produzione della Fondazione Teatro della Toscana.
Durante la conferenza stampa Michele Santeramo ha spiegato come l’idea sia partita dall’aver constatato l’insofferenza ai ritmi frenetici e la conseguente stanchezza comune con chiunque si parli.
Un testo che ha richiesto un forte impegno nella stesura e nelle revisioni per la gravità dei temi affrontati ed evoluti perché, se ne “Il Guaritore” (2013) Santeramo metteva in relazione le storie delle persone, per farle guarire, convinto che esistesse una guarigione collettiva, ne “Il Nullafacente” esiste solo la possibilità di una presa di coscienza personale.
Questo nuovo lavoro apre a una riflessione sul rapporto tra individuale e collettivo dove le soluzioni, conseguenze dell’era globalizzata, producono singolarità.
Se per le regole comuni si vive normalmente facendo e dimostrando presenza, prestanza, efficienza, lavoro, programmazione, Il Nullafacente (Michele Santeramo) appare quasi come uno squilibrato per aver smesso di fare con conseguenze devastanti.
Non fare niente, assolutamente niente, non è facile: occorre metodo, applicazione, pazienza, determinazione per non perdere tempo e battersi per non farselo portare via.In tale contesto, va aggiunto, che il protagonista ha una Moglie malata terminale (Silvia Pasello) e forse, possiamo arrivare ad affermare, per fortuna perché, essendo incurabile, non bisogna far nulla per provare a guarirla.
Il Nullafacente ci obbliga a rifettere che lei ha ancora tutto il tutto che le resta…avrebbe…
In un’esistenza – ai nostri occhi fatta di privazioni – la coppia sarebbe felice se fosse lasciata in pace invece che aggredita dalle regole morali del Fratello (Francesco Puleo), il Medico (Tazio Torrini), il Proprietario di casa (Michele Cipriani) tipologie umane con le proprie ossessioni, esempi di un altro modo di intendere la vita opposti a quella del Nullafacente e il Regista, sottolinea: “Il tema dell’opera non è la scelta paradossale del Nullafacente sul piano economico, bensì la necessità di chi vuole testimoniare nella propria vita la libertà oltre qualsiasi legge sociale, economica e psicologica in cui siamo intrappolati.”
Il protagonista ha un maestro, un ispiratore che, di fatto, è il sesto personaggio della storia: il bonsai. La sua vera ispirazione è il dialogo con l’albero in vaso costretto a una forma e, seppur in quella realtà forzata, è stato capace di trovare la giusta capacità per essere bonsai, per aver compreso dove sia la vita nella costrizione, dove siano la bellezza, dove siano il muoversi frenetico – che una pianta mette in moto ogni secondo – e dove siano la capacità di sembrare fermi. Il Nullafacente acquisisce dal bonsai come imparare a farsi le domande e cercarne le risposte, per trovare consapevolezza e presenza, che lo portino a non perdere tempo, l’unico assoluto bene prezioso della vita. E’ nella presenza nel tempo che risiede la felicità.
Solo sessanta spettatori assistono a ogni spettacolo in un rapporto simbiotico, forse il settimo, silenzioso, personaggio che nutre i protagonisti della scena.
Questo lavoro è, e rimane, una grande storia d’amore nel suo confrontarsi con la fine, con il limite e Roberto Bacci, ribadisce: “le scelte estreme del Nullafacente e la malattia terminale della moglie li conducono fino all’ultima porta da attraversare, mano nella mano. Oltre quella porta c’è la natura di cui siamo fatti: la morte. C’è una parte di noi che si rifiuta di assistere a questa storia giudicandola assurda, pericolosa, tenebrosa. Eppure, se resistiamo nell’abitare quelle tenebre, si può scorgere una luce di cui, almeno una parte di noi, ha un necessario bisogno per saper esistere“.
La chiave di accesso ce la fornisce Michele Santeramo quando rivela: “Scrivere questo testo è stato ed è ancora, per me, il continuo e quotidiano riflettere su cosa sia giusto fare per stare bene. Ma il Nullafacente, un giorno, ha voluto correggermi e mi ha detto: caro mio – siamo ormai in confidenza -, tu sbagli domanda; quella giusta sarebbe: cosa, ogni giorno, NON devo fare, per stare bene?”