“Cosa resta per il re che ha tutto? Piaceri proibiti? Rischio? Rivoluzione? Oppure castrare l’establishment per conquistare l’amore del popolo? …del suo paggio?… della moglie del suo migliore amico? Lo stile di vita revisionista dello svedese Gustavo III gli ha procurato molti amici, e molti nemici, mentre lui stesso corteggiava il pericolo con tutto l’autodistruttivo fulgore di un artista la cui più grande creazione sarà la sua stessa morte.”
(Graham Vick)

Al Teatro Regio di Parma, ieri sera, è stato inaugurato il 21° Festival Verdi con “Un ballo in maschera (Gustavo III) “ – prossime repliche 1°, 8 e 15 ottobre 2021 sempre alle ore 20:00) – in un nuovo allestimento per la regia di Jacopo Spirei dal progetto di Graham Vick, con le scene e i costumi di Richard Hudson, le luci di Giuseppe Di Iorio, i movimenti coreografici di Virginia Spallarossa.

Roberto Abbado dirige splendidamente l’opera per la prima volta, sul podio di una eccellente Filarmonica Arturo Toscanini e del Coro del Teatro Regio di Parma, preparato da Martino Faggiani, nell’edizione critica della partitura a cura di Ilaria Narici.
Il libretto è quello ad ambientazione svedese, così come concepito da Giuseppe Verdi per il debutto a Roma, prima che i censori pontifici imponessero la trasposizione della vicenda nella Boston coloniale, ma andiamo con ordine.

Il 7 febbraio 1857, dopo un rinvio di un anno a causa di problemi di diritti su un possibile allestimento di Re Lear, il Maestro accettò di firmare un nuovo contratto con il Teatro San Carlo di Napoli per un’opera da mettere in scena a gennaio o febbraio 1858.
Così, dopo essersi messo alle spalle le esperienze di Simon Boccanegra (giugno 1857) e Aroldo (agosto), si trova a dover affrontare subito il problema del soggetto per Napoli, che non è più Re Lear, scartato per vari motivi, e neppure El tesorero del Rey di António García Gutiérrez o Ruy Blas di Hugo a cui aveva pensato più seriamente, bensì Gustave III di Eugène Scribe, un dramma scritto nel 1833 per Daniel Auber in cui il re di Svezia Gustavo III viene assassinato nel 1792 per mano di una congiura nobiliare guidata da Jacob Ankarström.

La musica venne preparata fra ottobre 1857 e gennaio 1858, in parallelo alla complicazione dei rapporti con la censura napoletana che finirà per stravolgere il libretto e snervare il Maestro tanto da portarlo a rifiutarsi di mettere in scena l’opera e di rompere il contratto con il teatro.
La risposta del San Carlo non si farà attendere, con minacce di adire a vie legali e pesantissime conseguenze per il compositore (cinquantamila ducati di risarcimento, troppo per i gusti verdiani) e, in tale clima, fu trovato un compromesso con la rescissione del contratto e un’intesa formale per un allestimento di Simon Boccanegra nel novembre 1858, seguito dall’autore.

Libero di disporre del proprio dramma, qualche mese dopo il Maestro prese contatti con il Teatro Apollo di Roma diretto da Vincenzo Jacovacci accordandosi per una messinscena a inizio 1859. Anche qui, però, svariati problemi di censura, rintuzzati dalla mediazione con le autorità papaline da parte dell’amico avvocato Antonio Vasselli (cognato di Donizetti), da cui conseguirono alcuni rimaneggiamenti alla musica nell’autunno 1858.
Il traguardo appariva vicino e, dopo l’allestimento del Boccanegra, il Maestro partì da Napoli (il 10 gennaio 1859) per Roma e l’opera andò trionfalmente in scena il 17 febbraio con protagonisti il tenore Gaetano Fraschini, il soprano Julienne Dejean e il baritono Leone Giraldoni, con la messinscena curata dallo scrupoloso direttore di scena del Teatro Apollo, Giuseppe Cencetti, su cui il Maestro riponeva grande fiducia.

Il cast della prima al Regio di Parma del Gustavo III è composto da artisti già visti cimentarsi nelle opere del Maestro a cominciare dal protagonista, Piero Pretti (tenore), che ha sfoderato una bella performance culminata nel “Ma s’è me forza perderti“, aria del terzo atto.
Amelia (soprano) Anna Pirozzi – cantando il ruolo solo per la prima recita (le altre saranno eseguite da Maria Teresa Leva) – ha disegnato un personaggio vocalmente in crescendo e, in “Morrò… ma prima in grazia” del terzo atto, non è esagerato affermare che ci ha mandato in estasi.

Il Conte Gian Giacomo Anckastrom (baritono), interpretato da Amartuvshin Enkhbat interprete dei più bei ruoli verdiani (recentemente apprezzato a Firenze ne “La forza del destino”), ha regalato al pubblico un personaggio a tutto tondo e perfetto.

Ulrica (mezzosoprano) di Anna Maria Chiuri possiamo dire che è un peccato canti solo nel primo atto perché il suo “Re dell’abisso affrettati….” è stato da manuale con una tecnica vocale perfetta e bravissima scenicamente.
Oscar (soprano) di Giuliana Gianfaldoni ha offerto una frizzante interpretazione. Molto brava nel terzo atto in “Saper vorreste…” .

Cristiano (basso) di Fabio Previati, Ribbing (basso) di Fabrizio Beggi, Dehorn (basso) di Carlo Cigni, Ministro di Giustizia (tenore) di Cristiano Olivieri, Servo del conte (tenore) di Federico Veltri, tutti molto bravi con uno speciale plauso ai figuranti.
Senza aggiungere altro per non rovinare la sorpresa a chi assisterà alle repliche, bellissima la scena del ballo finale. Per chi non potrà assistere, ricordo che l’opera sarà trasmessa su Rai5 il prossimo 14 ottobre.

Alla fine otto minuti di applausi e qualche, immancabile “buuu”, quando le scelte dei registi sono troppo innovative per chi non ha ancora compreso come si sia evoluta l’opera nel terzo millennio.
Un ringraziamento al Teatro Regio di Parma per averci fatto conoscere questo titolo nella versione originale.