Proposta con la storica e ormai celebre regia di Jonathan Miller del settembre 2001, ora ripresa da Stefania Grazioli, è andata in scena, nella Sala Grande del Teatro del Maggio Musicale, una delle più celebri opere di Gaetano Donizetti, il Don Pasquale. Allestimento fin da subito apprezzato da pubblico e critica tanto da conquistare anche gli spettatori scaligeri e di alcuni primari teatri europei, una dimora borghese settecentesca, ma pensata scenicamente come una grande casa delle bambole su tre piani, con ogni ambiente di essa curato e ben definito, dalla cucina al soggiorno fino alle camere da letto, mentre costumi e trucco rimarcano il carattere brioso dell’opera di Donizetti. Un doveroso tributo a Sir Jonathan, scomparso nel 2019.
Stefania Grazioli, parlando della sua ripresa sottolinea come si tratti di «un’opera in cui decisamente ne vedremo delle belle. Il Don Pasquale è la terza e ultima opera buffa di Gaetano Donizetti, che sappiamo essere stata una persona dotata di grande senso dell’umorismo; la vicenda – per quanto piena di momenti buffi e situazioni divertenti – non ha una comicità fine a sé stessa, bensì più profonda, con momenti anche malinconici. Il libretto è di altissimo livello, sia perché perfettamente connesso con la partitura sia perché riesce a bilanciare, proprio attraverso l’alternanza fra momenti divertenti e situazioni dal retrogusto più amaro. La regia di Miller, che fa capire in modo cristallino la sua grande sapienza teatrale, è ricca di gag davvero splendide ed è un grande onore e piacere riprendere questo allestimento, potendo contribuire con il lavoro svolto insieme al maestro Daniele Gatti e a tutto lo splendido cast di questa produzione».
Sul podio Daniele Gatti, alla guida dell’Orchestra e del Coro del Teatro fiorentino, ha affrontato il titolo scegliendo di restare fedele alle origini dell’opera (napoletane e francesi) e mettendone in risalto il linguaggio rossiniano. Al riguardo, il Maestro ha osservato «Ho colto al volo l’opportunità di affrontare per la prima volta il Don Pasquale, non avendola mai diretta ho avuto l’occasione di studiarla, di scoprirla e di ‘entrare’ così nel mondo del belcanto italiano, che nel corso della mia carriera ho toccato solo poche volte. Mi piace vedere quest’opera come un omaggio di Donizetti al teatro rossiniano buffo – mantenendo naturalmente l’impronta romantica tipica donizettiana – evidenziato da questo passaggio continuo tra un gesto affettivo di ricordo e uno sguardo sereno al genio di Rossini che scrive questo tipo di opere nei primi anni del XIX secolo: lo sentiamo in alcuni procedimenti armonici e l’uso di alcuni stereotipi tipici dell’opera buffa, con la sola differenza del recitativo, che in questo caso non è secco ma accompagnato. Inoltre ho la fortuna di avere un cast davvero eccellente ed è un grande piacere affrontare così per la prima volta questo titolo».
Completato nel novembre-dicembre 1842, Don Pasquale ebbe la prima rappresentazione il 3 gennaio 1843 al Salle Ventadour del Théâtre-Italien di Parigi supportato da un cast di primissimo livello e alla presenza del compositore. Il libretto fu scritto da Giovanni Ruffini (anche se firmato da Michele Accursi), ed è un rifacimento di quello di Angelo Anelli, del 1810, per Ser Marcantonio di Stefano Pavesi. Si tratta di un dramma buffo, ma, Don Pasquale, segna un punto di arrivo e uno di rottura per l’opera buffa siglato da Donizetti.
È l’approdo di una tradizione comica italiana che percorre i secoli, comunque né troppo farsesca né troppo comica, ed è l’opera nella quale la commedia si affaccia verso l’amarezza.
È l’antica trama, da Donizetti articolata in tre concisi atti, del vecchio (Don Pasquale), economo e celibe, raggirato con l’offerta di una sposa ingenua, la vedova invece scaltra e maliziosa che ama riamata il nipote di Don Pasquale.
Equivoci e travestimenti, metamorfosi, spese, finte nozze, simulati tradimenti e insulti per far sì che il vecchio maledica le sue nozze fino a che, scoperta la verità dell’architettura a suo danno, non si rassegna a benedire le nozze tra i giovani. Il libretto, nella definizione drammaturgica offerta dalla musica di Donizetti, è un modello d’efficienza e di eleganza: un prontuario ben congegnato di situazioni comiche ritmate dall’intuito teatrale malizioso e attuale.
In un teatro affollato e in attesa dell’apertura del Festival del Maggio Musicale Fiorentino – edizione ottantasei che sarà dedicata, con due opere, al maestro Giacomo Puccini: in cartellone Turandot diretta dal maestro Zubin Mehta e Tosca dal maestro Daniele Gatti – domenica scorsa, presenti all’ultima replica, abbiamo apprezzato anche questa ripresa dello storico allestimento di Jonathan Miller che, a Firenze, ha sempre presentato spettacoli di rara bellezza; solo per citarne alcuni, ricordiamo la Boheme e la Trilogia mozartiana.
Con un cast di cantanti che è quanto di meglio si può desiderare, i quattro protagonisti sono stati artefici di una performance straordinaria. Don Pasquale, affidato al baritono buffo Marco Filippo Romano al suo debutto in Italia nel ruolo, ha confermato come la vecchia scuola di tradizione italiana del basso/baritono buffo esista ancora. Dizione perfetta, canto solido, a cui si aggiunge la presenza scenica, fanno di lui un autentico istrione.
Al soprano spagnolo Sarah Blanch – spesso nel teatro sulle rive dell’Arno dove ha cantato in diverse opere – il personaggio di Norina va a pennello anche scenicamente con fraseggio perfetto e agilità.
Bene il dottor Malatesta del baritono Markus Werba, un’altra apprezzata conoscenza del Maggio.
Un discorso a parte lo merita il tenore Yijie Shi; lo abbiamo iniziato a seguire nel 2009 quando, giovanissimo al Rossini Opera Festival di Pesaro debuttò nel ruolo del Compte Ory; l’anno successivo nel Demetrio e Polibio, nel Mose in Egitto – 2011- e poi ne Italiana in Algeri – 2013). Un grande ritorno nel nostro teatro dove lo avevamo apprezzato in un Viaggio a Reims (2012) e in Lucia di Lammermoor (2015). Vero belcantista con una voce con un timbro prezioso, fraseggio curatissimo e dizione perfetta. Nel secondo atto nella scena e aria “Povero Ernesto… Cercherò lontana terra” mostra tutte le sue doti vocali, per poi raggiungere altissimi livelli nel terzo atto, nella serenata e notturno “Com’è gentil… Tornami a dir che m’ami” coadiuvato da Coro e Norina.
Magnifico il Coro che, con l’Orchestra, sono stati in simbiosi con i solisti e il maestro Gatti che è stato applaudito sin dall’ingresso in sala. La sua lettura delle pagine di Gaetano Donizetti è stata veramente interessante, se pensiamo che le opere belcantiste non sono nel suo repertorio. Indubbiamente, la chiave del successo va cercata nell’interazione di tutte le maestranze confidando che, operazioni come questa, possano ripetersi.
Alla fine grandi applausi per tutti in particolare per il Maestro Daniele Gatti, anche del nuovo sovrintendente del teatro, Carlo Fuortes, nominato ufficialmente sabato 23 marzo e il giorno seguente già presente in teatro.