A Venezia per l’ultima delle cinque recite del Don Carlo, il titolo verdiano che il 24 novembre ha aperto la Stagione Lirica e Balletto 2019-2020 della Fondazione Teatro La Fenice nonostante l’eccezionale marea di dodici giorni prima e che ha continuato a preoccupare, anche successivamente, quando l’attività era nel momento cruciale delle prove. E’ stato così deciso di trasferire Orchestra e Coro al Teatro Comunale Mario del Monaco di Treviso, affinché il maestro Myung-Whun Chung potesse proseguirle, mentre quelle dei cantanti si sono tenute nella casa del regista Robert Carsen. Il mondo culturale non ha mai staccato gli occhi dalla città e non sono mancate raccolte fondi.  

Lo spettacolo ha coinvolto tutta la città: vetrine, facciate dei palazzi, spazi interni di attività commerciali sono state ‘contagiate’ dalle suggestioni musicali e artistiche del capolavoro di Giuseppe Verdi la cui partitura è stata protagonista alla Fenice dopo ventotto anni dall’ultima rappresentazione. Dramma lirico su libretto di François-Joseph Méry e Camille Du Locle, è stata  proposto nella versione in quattro atti tradotta in italiano da Achille De Lauzières e Angelo Zanardini, presentata per la prima volta al Teatro alla Scala di Milano il 10 gennaio 1884.
Il regista Robert Carsen è tornato, invece, dopo quindici anni esatti dal debutto della Traviata che inaugurò la Fenice ricostruita.

Questo Don Carlo è stato la prima italiana dell’allestimento – con le scene di Radu Boruzescu, i costumi di Petra Reinhardt, il light design di Robert Carsen e Peter Van Praet e i movimenti coreografici di Marco Berriel – realizzato dall’Opéra National du Rhin di Strasburgo e dall’Aalto Theater di Essen. Verdi scelse di misurarsi con il dramma storico tedesco ambientato nella Spagna del sedicesimo secolo, affascinato dagli estremi contrasti della drammaturgia e dall’idea di fondo che anima l’opera: quanto siano inconciliabili assolutismo e ragione di Stato con l’aspirazione alla libertà dei popoli, così come con le inclinazioni personali dei singoli individui. 

Il Regista, spiega: «Don Carlo è un’opera complicata e combina le più belle pagine di musica che Verdi abbia mai scritto con una drammaturgia confusa. Per questo allestimento abbiamo scelto di mettere in scena la versione di Milano, che ci sembra essere la più adatta perché più intima, più breve, più condensata e quindi più intensa. In questa versione non è la storia che domina, ma la psicologia dei personaggi. Tuttavia, alcuni temi come la religione o il potere sono cruciali e non possono essere ignorati. Così come il contesto politico nel quale si svolge l’azione, segnato dal contrasto tra la Spagna cattolica e la rivoluzione protestante nelle Fiandre.

Conosciamo il rapporto di Verdi con la Chiesa, un rapporto pieno di contrasti, e in quest’opera il compositore non manca di denunciare quello ‘strangolamento’ in cui la Chiesa tiene costrette le persone e le domina. Il concetto di ‘controllo’ è molto presente in quest’opera, ad esempio nel conflitto tra la Chiesa cattolica e la violenza inflitta ai protestanti nel Nord. Questo non vuol dire che il senso di questo lavoro sia nel suo racconto storico. È un’opera, con uno sviluppo poetico intorno a certi temi. Se anche il pubblico cercasse una verità storica in questo lavoro, rimarrebbe deluso, perché niente è storicamente corretto. Ci troviamo invece in una narrazione psicologica il cui background è un paesaggio emotivo.
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Durante la messinscena non sono pochi i “coup de théâtre” che solo il genio di Robert Carsen può offrire con un minimalismo dominato dal grigio scuro e dal nero, sul palcoscenico solo quanto indispensabile quasi come se fosse “non rappresentato” scenicamente. Abituati a vedere l’opera con tutto lo sfarzo possibile, sin dall’inizio, Carlo contempla un teschio – quasi fosse  Amleto – osservato dai monaci  che tutto controllano. Un oscuro potere temporale di cui Filippo ll è capo supremo e, se tutti i personaggi, monaci e popolo, indossano abiti rigorosamente scuri ed estremamente semplici lui, durante la scena dell’Autodafe, è vestito in modo sontuoso. Sorprendono, in questa scena, non i soliti eretici frustrati e torturati che vanno al rogo, ma gli uomini intenti a riporre libri in casse che poi, davanti al re, saranno bruciati.

Ancora, Filippo, in mezzo alla folla lo si intravede con una tiara luccicante, mentre arrivano i deputati  fiamminghi che strisciano in ginocchio, e a piedi nudi, portando la loro supplica e attorniando il re. Di forte impatto, nell’atto successivo, quando Carlo è imprigionato, incatenato a piedi nudi, si voglia ribadire come lui sia con i ribelli. Però, il vero colpo di scena avviene nell’ultimo atto (anche se già nel terzo la vicenda assume toni noir) facendo mugugnare i tradizionalisti. Infatti il Marchese di Posa non muore e suggella un patto con Il grande inquisitore per divenire capo supremo. Al termine del quarto atto il frate dovrebbe trascinare Carlo nel sepolcro di Carlo V salvandolo dalla morte, invece Carsen ha cambiato il finale così, sia Carlo che Filippo verranno uccisi con lo sgomento generale e, in fondo al palcoscenico, si vede Rodrigo con tiara in testa e mantello.

Il maestro Myung-Whun Chung oramai di casa alla Fenice, sia in ambito operistico che sinfonico, ha scelto una lettura ineguagliabile e l’Orchestra del Teatro lo segue alla perfezione  coadiuvati da un Coro in stato di grazia diretto dal Maestro Claudio Marino Moretti. Già all’overture, ma anche al rientro per la seconda parte e nel finale, il M° Chung è stato accolto da standing ovation dal pubblico in un teatro esaurito per tutte le rappresentazioni.

Il cast dei cantanti potremmo osare definirlo stellare con tre debutti nel rispettivi ruoli. Filippo ll (basso) di un bravissimo Alex Esposito che speriamo di riascoltare presto in una parte a lui congeniale.
Carlo (tenore) di Piero Pretti, bravo e credibile. Il suo duetto finale con Elisabetta vale il biglietto dello spettacolo.
Rodrigo (baritono) di Julian Kim è stato una sorpresa che ha fatto la differenza.
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Altra sorpresa Il grande  inquisitore (basso) di Marco Spotti. Molte bene anche gli altri e, alla fine, applausi per tutti con la consapevolezza di aver assistito a un allestimento indimenticabile. Bravi.

Didascalie immagini nel testo e in copertina
alcuni momenti del Don Carlo 
foto © Michele Crosera
courtesy Fondazione Teatro La Fenice

Don Carlo
di Giuseppe Verdi

Direttore Myung-Whun Chung

Regia Robert Carsen

Assistente alla regia e movimenti coreografici  Marco Berriel

Scene Radu Boruzescu

Assistente alle scene Serena Rocco

Costumi Petra Reinhardt

Luci Robert Carsen e Peter Van Praet

Personaggi e interpreti

  • Filippo II Alex Esposito
  • Don Carlo Piero Pretti
  • Rodrigo marchese di Posa Julian Kim
  • Il grande inquisitore Marco Spotti
  • Un frate Leonard Bernad
  • Elisabetta di Valois Maria Agresta
  • La principessa Eboli Veronica Simeoni
  • Tebaldo Barbara Massaro
  • Il conte di Lerma Luca Casalin
  • Un araldo reale Matteo Roma
  • Una voce dal cielo Gilda Fiume
  • Deputati fiamminghi
    Szymon Chojnaki, William Corrò, Matteo Ferrara, Armando Gabba, Claudio Levantino, Andrea Patucelli

Orchestra e Coro del Teatro La Fenice

Maestro del Coro Claudio Marino Moretti

Teatro La Fenice

Allestimento
Opéra national du Rhin Strasbourg
e
Aalto-Theater Essen

versione in francese
con sovratitoli in italiano e inglese

dal 24 novembre al 7 dicembre 2019
(la recensione si riferisce alla replica del 7 dicembre)

Dove e quando

Evento: Teatro La Fenice – Campo San Fantin, 1965 – Venezia