Al Teatro Regio di Torino, dopo ventinove anni, è tornata la più fortunata opera francese di Gaetano Donizetti La Fille du régiment (con il libretto è di Jean-François Alfred Bayard e Jules-Henry Vernoy de Saint-Georges) rappresentata per la prima volta al Théâtre national de l’Opéra-Comique di Parigi l’undici febbraio 1840. Mettendo da parte ogni snobismo, i transalpini se ne innamorarono subito e, per anni, adottarono il coro Salut à la France come proprio inno non ufficiale, in alternativa alla Marsigliese.
A rendere il lavoro irresistibile è la successione di marce brillanti, episodi spiritosi e numeri vocali dal virtuosismo sbalorditivo, come l’aria Ah! Mes amis con i suoi nove “do di petto” e la popolarità tende a focalizzare l’attenzione degli ascoltatori sulla figura di Tonio e sul tenore che lo interpreta, protagonista dell’opera – tanto sul piano drammaturgico quanto su quello vocale – e Marie quasi onnipresente in scena. E’ lei a dare voce, con ardite coloriture, alla leggerezza dell’opéra-comique, divenendo emblema di un ambiente, un’epoca, un genere e una vocalità.
Di una semplicità disarmante, interamente fondata sulla manifestazione di sentimenti schietti, ma non senza una vena di ironia, la vicenda è ambientata in un paesino del Tirolo con trama lineare e pochi personaggi: Marie e Tonio, cui si aggiunge il Reggimento, del quale Sulpice è il comandante.
Le donne forti sono una costante nella produzione di Donizetti e, tra tutte, Marie, è la più solare, ma anche la meno femminile: trovata sul campo di battaglia quando era bambina, allevata dall’esercito napoleonico, ha imparato ad amare la patria e a imprecare come un soldato. E’ innamorata del giovane austriaco Tonio che, per amore, si arruola nell’esercito francese diventando, di fatto un traditore anche se, tale parola, non viene mai pronunciata.
Quando la marchesa di Berkenfield – che si presenta come sua zia – per vincoli di sangue e familiari vuole portare Marie a casa sua per educarla, la giovane è disperata. Cresciuta come un maschio non può sentire sua la vita prospettata e, ancor meno, sposarsi con un nobile.
Con un colpo di scena, la marchesa rivela di essere la madre di Marie, per indurla al matrimonio, ma poi decide di non ripetere, con la figlia, lo stesso errore dei suoi genitori comprendendo che la felicità è più importante (la marchesa ha perso l’amore della sua vita, Robert) e non vuole che le questioni di rango rendano misera la vita della figlia.
È Marie, che accoglie il pubblico all’ingresso in sala attraverso un filmato, che dà il “la” allo spettacolo: gli spettatori vedono il video di un’anziana signora che guarda malinconicamente fuori dalla finestra, presumibilmente della casa di riposo dove è ricoverata. Partita l’Ouverture, il volto della signora si rianima: la sua famiglia è venuta a trovarla.
Mentre gli adulti discutono con l’infermiera sul suo stato di salute, la felicissima nonna si intrattiene con i nipotini parlando dei suoi ricordi di gioventù, la maggior parte dei quali sono esposti sul mobile accanto al suo letto. La nonna è un’anziana Marie, i cui ricordi si mescolano al presente: la scenografia è infatti costituita da una copia ingigantita degli oggetti che si vedono sul mobile, tra cui una statua della Madonna, la lampada e le scatole delle medicine.
Questo nuovo allestimento coprodotto con il Teatro La Fenice di Venezia è firmato dal duo Barbe & Doucet che mescolano, con umorismo elementi reali e surreali, com’è tipico nelle loro produzioni. A Torino la regia è stata ripresa da Florence Bas, le luci sono di Guy Simard, la regia video è di Guido Salsilli. Spassosa quanto impegnativa, è diretta da Evelino Pidó, ambasciatore dell’opera romantica e del belcanto, esperto di Gaetano Donizetti, tornato al Regio (dalla Medea del 2008) alla guida dell’Orchestra, del Coro del Regio e di un cast di specialisti. Fin dall’overture appare nitidissima la lettura scelta e supportata da un’Orchestra in forma smagliante, come anche il Coro.
Alla sesta delle sette recite previste (in una Torino che dopo giorni di pioggia insistente, ha regalato qualche timido raggio di sole) molto bravi i solisti a iniziare da Marie, sostenuta dal soprano Giuliana Gianfaldoni, apprezzata particolarmente in “il faut partir…” del primo atto.
Tonio, il tenore americano John Osborne un belcantista puro che, di questo ruolo, ne ha fatto il cavallo di battaglia in tutti i teatri, ha affrontato la pericolosa parte che culmina, alla fine del primo, con famosi “do” bissati con il pubblico in delirio. Se non ci sono parole per il suo raffinato fraseggio, anche nel secondo atto, in “pour me rapprocher de Marie“, ha ottenuto applausi scroscianti.
Sulplice, baritono, alla prima è stato Roberto de Candia poi, nelle altre recite, sostituito da Simone Alberghini che ha offerto un personaggio in tutte le sue sfaccettature.
La marchesa di Berkenfield, il mezzosoprano Manuela Custer, una garanzia in quanto perfettamente a suo agio nel ruolo sia vocalmente che scenicamente.
Hortensius, il basso Guillaume Andrieux bravo come il Caporale, il basso Lorenzo Battagion e il Contadino, il tenore Alejandro Escobar.
La duchessa di Crakentorp, affidata al trasformista Arturo Brachetti, ha creato un ulteriore spettacolo nello spettacolo. Prima infermiera (che fa iniezioni a tutti) poi duchessa, ha deliziato esibendosi in una canzone piemontese degli Anni trenta “Ciribiribin” con la complicità del maestro Evelino Pido, dell’Orchestra e Coro scatenando la standing ovation del pubblico.
E’ probabile che i melomani puristi ne siano rimasti scioccati e forse, qualcuno, avrà storto il naso, ma in sala non ce ne siamo accorti in quanto il pubblico ha molto apprezzato, e solo l’esibizione di Arturo Brachetti, vale il biglietto anche per la fulminea bravura nel cambio abiti.
Alla fine tantissimi sentiti applausi del pubblico presente al Regio per un gran bel pomeriggio all’insegna della musica.