«La felicità non è che il compimento», annota Giacomo Leopardi nel suo Zibaldone, il 31 ottobre 1823. Ed è questa la sensazione da cui parte Alessandro D’Avenia nel suo L’arte di essere fragili. Come Leopardi può salvarti la vita, un saggio su quello che potremmo definire il faticoso mestiere di vivere. Pessimista, sfortunato, addolorato. Sono questi alcuni degli aggettivi che ci vengono in mente pensando a Leopardi – ah, mi sono dimenticato la gobba! – perché è così che le letterature italiane scolastiche per quasi un secolo ce l’hanno frettolosamente descritto. Così come Rimbaud era un omosessuale visionario e drogato di assenzio e Kafka un introverso malato psicopatico (anche se le antologie non utilizzano esattamente questi termini, ciò che c’è sotto, la substantia, è questa). Chi è sopravvissuto ai “racconti” della maggior parte dei professori però sa che queste etichette sono sciocche. Sa che dietro la storia della letteratura e della critica letteraria, c’è una delle cose più belle che abbiamo. C’è la letteratura. Che è tutt’altra cosa.
Giacomo Leopardi era un bambino – e poi un uomo – assetato di infinito, di voglia di vivere, ricercava l’amore e anche il successo. Per intendersi, quando giocava con i fratelli nel giardino di casa voleva sempre primeggiare. Così come quando scoprì la straordinaria biblioteca paterna, un vero e proprio tesoro, e si tuffò con passione nei classici, nelle lingue antiche, in uno studio matto e disperatissimo. Sì, è vero, forse ha esagerato, potremmo dire ora, ma la sua era un’intelligenza fervida, intuitiva. Giacomo aveva voglia di sapere, di sognare, di pubblicare. E poi voi che avreste fatto? Avreste continuato a vagare per le strade di un paesino sperso nella campagna, a rincorrere lucertole, o avreste cominciato a leggere le gesta degli antichi eroi?
Il saggio di D’Avenia ha il pregio di raccontarci un Leopardi poco conosciuto, che è poi quello reale. E di parlare anche di noi. Da una parte troppo spesso concentrati sui risultati anziché sulle persone, e dall’altra stancamente accondiscendenti con i giorni che ci passano davanti agli occhi sempre uguali, uno dopo l’altro. Giorni senza gioia. Ma dove nasce questa diffusa infelicità del nostro tempo? O forse dovremmo dire di tutti i tempi? Ha origine dalla carenza di passioni? Nasce proprio da quelle stesse passioni che hanno attraversato Leopardi per tutta la sua breve esistenza? Di sicuro è proprio dalla ricerca che ha cominciato Leopardi – che come pochi altri ha avuto sensi finissimi per predare la gioia intorno a lui – che l’autore, professore amatissimo dai più giovani per i suoi romanzi, dà inizio al suo dialogo interiore alla ricerca della felicità perduta.
Dettagli
Didascalie immagini
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La copertina del libro
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Alessandro D’Avenia (fonte)
IN COPERTINA:
Particolare di Casa Leopardi, a Recanati (fonte)
Titolo: L’arte di essere fragili
Autore: Alessandro D’Avenia
Editore: Mondadori
Collana: Scrittori italiani e stranieri
Anno edizione: 2016
Pagine: 216