Un uomo immerso nella natura, sovrastato dal cielo, circondato da un’immensa distesa ghiacciata, da monti e laghi, corsi d’acqua impetuosi. È un uomo che si muove in una realtà dominata dal vento, dal sole e dalla luna, da divinità nascoste che regolano l’incedere delle stagioni. Un uomo continuamente braccato da una natura sorda e potente. Questa è la vita in Siberia, questo è ciò che deve affrontare ogni volta il cacciatore che lascia il suo accampamento per mettersi sulle tracce di una preda. Perché laggiù, in Siberia, la caccia è una questione di vita o di morte per entrambi, preda e cacciatore.

È in questi luoghi lontani nello spazio – e nel tempo – che ci conduce I riti di caccia dei popoli siberiani, uno dei saggi più famosi di Éveline Lot-Falck (1918-1974), appena tradotto e stampato in Italia da Adelphi. Antropologa ed etnologa francese tra le più apprezzate del secolo scorso – per lei Claude Lévi-Strauss creò la cattedra di etnologia siberiana all’Ecole Pratique des Hautes Etudes – Éveline Lot-Falck ha partecipato in Francia al clima di grande cambiamento delle scienze sociali, attiva durante la resistenza al Musée de l’Homme, assiste all’uccisione di alcuni colleghi durante l’occupazione nazista, è considerata ancora oggi la massima esperta dello sciamanesimo siberiano e ci ha lasciato numerosi saggi e articoli fondamentali per avvicinarsi al mondo degli antichi abitanti della Siberia.
Leggere oggi il suo saggio è come entrare in possesso di una chiave magica, capace di aprire un mondo pieno di foreste incontaminate, popolate da uomini, divinità e animali, che s’incontrano e si allontanano, così profondamente vicini eppure mossi da pulsioni che li spingono su realtà parallele.
Un mondo dove la caccia non è un semplice scontro tra esseri viventi. Il cacciatore è come un sacerdote che per avvicinarsi alla preda deve stipulare una sorta di patto magico con la natura, perché “il diritto di uccidere si paga, come un permesso di caccia rilasciato da potenze superiori”: sono prescrizioni, ritualità che si ripetono nel tempo, generazione dopo generazione, utili a sopravvivere, a rendere fruttuosa la battuta di caccia. Ma soprattutto a conciliarsi con la preda uccisa, a chiedere perdono per l’atto di sangue commesso, a placarne l’anima, perché l’animale non torni a perseguitare il cacciatore.
E così quando si uccide bisogna guardare in faccia l’animale, addirittura l’orso attaccato nella tana va prima svegliato. Stessa attenzione è posta all’arma, che assiste il cacciatore e non lo deve mai abbandonare. Modalità e pensieri lontani, in cui però possiamo leggere un insegnamento: il rispetto per la natura e per tutti gli esseri viventi. Finché il giavellotto si è trasformato in un fucile, svuotando i gesti e l’azione del cacciatore da ogni contenuto magico-religioso. E allora dalla foresta fuggono gli spiriti, il cielo si acquieta, una bestia diventa simile all’altra. Ma anche un uomo – il cacciatore – diventa tristemente simile a un altro uomo.

Didascalie immagini

  1. Cacciatori siberiani in un’incisione del XIX secolo. (fonte)
  2. La copertina del libro

IN COPERTINA
Illustrazione di sciamano (fonte)

SCHEDA

Titolo: I riti di caccia dei popoli siberiani
Autore: Éveline Lot-Falck
Editore: Adelphi
Collana: Il ramo d’oro
Titolo originale: Les rites de chasse chez les peuples sibériens
Traduzione: Svevo D’Onofrio
Anno edizione: 2018
Pagine: 230