Quando Dio chiese ad Abramo di sacrificare la cosa che più aveva a cuore – il suo unico figlio, Isacco – il profeta non ebbe indugi e rispose «Eccomi», quindi raggiunse il luogo che Dio gli aveva indicato, preparò la legna e il coltello, pronto a fare il suo dovere. E la stessa cosa – «Eccomi» – rispose quando il figlio lo chiamò per chiedergli dove fosse l’agnello da sacrificare, senza sapere ancora che l’animale predestinato era lui. Solo quando Abramo fu sul punto di abbassare l’arma sul figlio inerme, l’angelo del Signore lo bloccò.
Ma cosa c’è dietro quell’«Eccomi», dietro quella disponibilità frutto di un amore incondizionato, dietro quel volerci essere con il corpo e con lo spirito? Veramente non c’è alcuna emozione, nessun istante di ripensamento o esitazione, nessun risentimento? Come può Abramo essere un padre premuroso con suo figlio e allo stesso tempo seguire in maniera incondizionata il suo Dio?
Esserci per gli altri è forse la più grande forma d’amore che l’uomo possa esprimere, esserci sempre e comunque – essere capaci di rispondere «Eccomi», qualunque sia la richiesta, in qualsiasi situazione. Finché avviene che questa disponibilità diventa una connotazione, un obbligo morale, e gli obblighi morali conducono necessariamente una persona all’estraniazione, a perdersi, a distaccarsi da sé e dall’altro. A non esserci più, e quindi – buffo, no? – alla fine dell’amore.
È qui, lungo queste dolorose crepe dell’anima che si muove Eccomi (2016), l’ultimo discusso libro di Jonathan Safran Foer, scrittore statunitense salito alla ribalta con il suo romanzo d’esordio Ogni cosa è illuminata (2002), nel quale è tornato in Ucraina a ricercare le sue radici ebraiche, e arrivato al successo internazionale con Molto forte, incredibilmente vicino (2005), che racconta la commovente storia di Oskar Schell.
I protagonisti di Eccomi vivono a Washington D.C., e stiamo parlando di una famiglia perfetta. Jacob e Julia Bloch, quarantenni, sposati da sedici anni, impegnati, lui scrive una serie tv e lei è un architetto. Poi ci sono i loro tre figli Sam, Max e Benjy, più tutti i parenti, i nonni e i cugini che stanno arrivando da Israele. Tutti perfetti. O meglio, perfettamente ingarbugliati nel cataclisma che scuote i cuori e le menti di chi tenta sempre e comunque di dire «Eccomi», di assolvere ai propri doveri – di marito, di padre, di moglie, di madre, di figlio – e vuole al contempo rimanere fedele a se stesso. Gli obblighi morali, il modo giusto di comportarsi, di parlare, di mangiare, perfino di fare silenzio o di fare sesso pesano su tutti come macigni. Tutto questo però non fa pensare al modo giusto di stare al mondo, quanto piuttosto a una malattia.
A Jacob però non piacciono le cose che scrive e Julia non ha mai progettato una casa in vita sua, questa è la verità. Sembrano muoversi su piani diversi dell’esistenza, impauriti e schiacciati dalle consuetudini domestiche, dall’obbligo di essere bravi genitori. Perché a questo pensano, al grande sforzo che si fa ad apparire genitori perfetti – «Eccomi!» – come fosse una prestazione pubblica da condividere con gli altri, con il mondo. «Ti rende triste il fatto che amiamo i bambini più di quanto ci amiamo noi?», chiede Julia a Jacob, mentre i figli sono ormai l’unico pernio della loro esistenza, o forse uno scudo. «Avevano sviluppato una paura pazzesca di non avere attorno i bambini a riempire il vuoto», il vuoto che circonda chi deve sempre esserci. Chi ha paura di non essere sempre pronto a dire «Eccomi».
Anche quando lasciano i figli a casa per recarsi in un albergo da soli, dov’erano stati appena sposati, Jacob e Julia riescono solo ad abbracciarsi; come se tutto ciò che impedisce loro quotidianamente di fare sesso – la privacy, i figli, il tempo – non fosse altro che una scusa.
La crisi della famiglia va avanti per quattro intense settimane, tra problemi detti e taciuti, tradimenti veri o presunti, sms pornografici e masturbazioni in bagno, le ribellioni e le ossessioni dei figli, i festeggiamenti per il Bar Mitzvah di Sam, finché un terremoto in Medio Oriente sconquassa Israele e l’esistenza di tutti.
E nel mezzo? Foer ci regala anche tante pagine divertenti, ironiche, che fanno sobbalzare il lettore e il suo umore. Come quando nei bagni dell’aeroporto, col pene di fuori in piedi davanti a un orinatoio, Jacob scambia un fugace sorriso con un uomo, sempre col pene di fuori, che sta urinando a scatti, a pochi metri da lui. Per poi accorgersi che si tratta di Steven Spielberg, scoperta che scatena in Jacob una serie di domande ed emozioni.
Salutato come un grande successo internazionale dalla critica, atteso dai suoi lettori, Eccomi ha suscitato in realtà diverse reazioni. Di sicuro, come afferma il New York Times, può essere considerato uno dei migliori romanzi dell’anno. E di sicuro, aggiungiamo noi, è una storia da leggere.
Dettagli
DIDASCALIE IMMAGINI
1. Jonathan Safran Foer (fonte)
2. La copertina del libro.
IN COPERTINA:
Jonathan Safran Foer (fonte)
Titolo: Eccomi
Autore: Jonathan Safran Foer
Titolo originale: Here I am
Traduzione: Irene Abigail Piccinini
Editore: Guanda
Collana: Narratori della Fenice
Nuova edizione: 2016
Pagine: 666