“Ave lento viaggiatore, ti saluta Phoebe, schiava di Manilio, figlio di Tito:
io che ottenni meritatamente ricompense pari ai compiti assolti
”.

E’ sempre motivo di piacere la segnalazione di esposizioni capaci di far rivivere reperti archeologici, un patrimonio immensamente importante perché custodisce gli albori della cultura umana anche se, troppo spesso, semplicisticamente relegato a ciottoli polverosi in questa epoca di sola apparenza dove ha “pollice verso” tutto quanto non si pone al centro dell’attenzione in modo accattivante. Premessa a parte, una bella mostra è in corso a Oderzo, antichissimo centro di origine di paleoveneta che raggiunse il massimo splendore nel Primo secolo come municipium romano e Phoebe è un’abitante proprio dell’antica Opitergium. Il suo ricordo riemerge nelle parole scolpite nella stele a lei dedicata e che conserva i volti di tre personaggi, due donne e un uomo, sullo sfondo di una grande conchiglia.
Uno stupendo cavallino in terracotta, dotato di ruote per il traino, rinvenuto in una tomba di fine Secondo, inizio Terzo secolo, narra di un bambino e dei suoi giochi infantili. Personaggi e consuetudini di una società attraverso il tempo: il mondo dei vivi che riemerge dalla città dei morti con questo evento promosso e organizzato dalla Fondazione Oderzo Cultura in collaborazione con la Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per l’area metropolitana di Venezia e le province di Belluno, Padova e Treviso e con il Polo Museale del Veneto.

L’anima delle cose. Riti e corredi dalla necropoli romana di Opitergium” presenta al pubblico una visione d’insieme di alcuni corredi tra i più belli e significativi rinvenuti a seguito delle campagne di scavi che, a partire dagli anni Ottanta, hanno interessato il centro di Oderzo, portando alla luce evidenze dell’antica città romana e rivelando il glorioso passato dell’abitato.
Opitergium, romanizzata grazie alla costruzione della via Postumia – l’asse viario che metteva in comunicazione Genova con Aquileia – e soprattutto in seguito all’estensione della cittadinanza romana ai suoi abitanti negli anni compresi tra il 49 e il 42 a. C. (come per le popolazioni dell’intera Transpadana), ha una storia rilevante di interventi urbani in chiave monumentale, in linea con il modello della capitale, ma anche di coinvolgimenti nelle vicende politiche e militari della stessa.

A fianco di Roma si posero i reparti opitergini nell’assedio di Ascoli Piceno tra il 90 e l’89 a.C.; mentre è tramandato da fonti storiche e letterarie il famoso atto eroico, di estrema fedeltà al partito cesariano, compiuto daltribuno Caius Vulteius Capito e dei suoi mille uomini, tutti opitergini, che nella guerra tra Cesare e Pompeo del 49 a. C. furono protagonisti di un suicidio collettivo pur di non cadere nelle mani degli avversari. Cesare ricompensò la città con l’esenzione ventennale dal servizio militare e l’aggiunta di trecento centurie all’agro opitergino.
L’importanza e lo splendore di Oderzo e dei suoi abitanti in epoca romana, come pure la decadenza in età tardoantica, emergono dalle indagini condotte nella necropoli della città di cui la mostra espone ben cinquanta corredi funerari dei novantaquattro selezionati e studiati dal comitato scientifico del progetto.

Lo studio approfondito dei corredi selezionati, preliminare al progetto espositivo, ha portato a una lettura sistematica dei diversi settori di necropoli, messi in rapporto con il centro urbano e le principali direttrici di traffico, e ad un più ampio discorso sulla ritualità funeraria opitergina, completando la documentazione sino ad oggi edita.
La mostra si sviluppa nelle sale di Palazzo Foscolo, ove sono esposti i corredi suddivisi per tipologie di deposizione – incinerazione diretta, incinerazione indiretta, inumazione – e prosegue nel salone centrale del Museo archeologico, che raccoglie numerosi reperti provenienti da contesti funerari, spesso riutilizzati negli edifici cittadini, ricostruendo idealmente l’assetto di una via che conduce a Opitergium.

Un racconto per oggetti attraverso sei secoli (dal Primo al Sesto) per fare nuova luce sulle pratiche funerarie in uso in età romana in città e di approfondire anche alcune questioni relative allo status economico e sociale dei defunti. Così, per esempio, un prezioso corredo scrittorio databile a età imperiale o lo stilo in ferro e il calamaio in vetro rinvenuti in tombe del Primo secolo, sono allusivi non solo della probabile attività del defunto, scriba o maestro, ma anche di una sua posizione sociale elevata; mentre appare evidente come, dopo la grande stagione del Primo-Secondo secolo in cui la necropoli opitergina conobbe la sua maggiore estensione e monumentalità, l’età tardoantica si connoti per la mancanza di strutture monumentali riferibili a ceti elevati e per la presenza di militari e stranieri (soprattutto orientali e talvolta germanici).

A testimoniarlo sarebbero il precoce diffondersi dell’inumazione (tipica nei territori orientali), la notevole quantità di vasellame ceramico e vetri e monili di importazione orientale (pensiamo ai pendenti a forma di brocchetta, in pasta vitrea scura con decorazioni a zig zag di filamenti applicati di colore giallo e azzurro, prodotti nelle regioni dell’Oriente mediterraneo a partire dal IV secolo d. C. e importati in Occidente come amuleti, da portare al collo, legati all’acqua e al bere che ritemprano) o alcuni elementi di corredi, come le fibule a cerniera e a testa di cipolla, fibbie in lamina ripiegata, particolari coltelli.

Filo conduttore dell’esposizione è l’idea che, al di là del necessario confronto con il tema della morte, al quale il mondo romano si accosta in modo pragmatico, in una precisa scansione di rituali, gli oggetti del corredo siano strumenti per dare voce alle persone alle quali appartenevano. Muovendosi tra le sale, i ritratti degli antichi opitergini: una donna con i suoi gioielli e uno specchio, un bambino con un sonaglio (la statuina di Genius Cucullatus) donato come passatempo ma anche a protezione dagli spiriti maligni, forse un soldato romano con il suo coltello.

Il percorso si conclude, a Palazzo Foscolo, con una sezione fotografica dedicata al lungo processo di studio, analisi, restauro ecc. che porta il bene archeologico dallo scavo alla sua esposizione al pubblico, coinvolgendo tante diverse competenze; mentre al Museo archeologico il pubblico può ammirare in conclusione i cosiddetti “reperti notevoli”, rinvenuti negli scavi della necropoli opitergina, ma non riconducibili a corredi precisi come un anello chiave, un bracciale in oro di probabile provenienza magno greca o un eccezionale secchio in bronzo rinvenuto all’interno di un pozzo della necropoli in Via Spiné grazie agli scavi del 2013 realizzato con un gran numero di laminette di reimpiego, assemblate tra loro con ribattini. L’attento restauro cui l’oggetto è stato sottoposto ha rivelato una laminetta figurata risalente addirittura alla seconda età del Ferro.
Un tuffo immersivo nella storia alla scoperta della testimonianze di donne e uomini che abitarono quelle terre.

Accompagna la mostra un bel catalogo Edizioni Ca’ Foscari Digital Publishing.

Didascalie
tutte le immagini: archivio fotografico SABAP-VE-MET
(foto © Maddalena Santi)

  1. Stele dedicata a Phoebe risalente al Primo secolo d.C.
  2. Via degli Alpini (1994),US 468-469
    Cavallino giocattolo
    Ι – V secolo d.C.
    Corpo ceramico arancio;ricomposto
  3. Via Spiné (2013) – Tomba 13
    Seconda metà Ι – inizi ΙΙ secolo d.C.
    Vari materiali:Olpe, bicchiere, coppe, piatto in vetro azzurro trasparente, balsamari, spilloni, monete
  4. Via Spiné (2013) – Tomba 16
    Seconda metà Ι – inizi ΙΙ secolo d.C.
    Vari materiali, tra cuibottiglia in vetro blu cobalto trasparente e vetro bianco
  5. Via degli Alpini (1993-94) – Tomba 12
    Seconda metà ΙV secolo d.C.
    Elementi di collana, pettine in osso e ferro bottiglia
  6. Via degli Alpini (1993) – Tomba 84
    ΙV secolo d.C.
    Elementi di collana
    Pasta vitrea di diversi colori
  7. Via degli Alpini (1994),US 201
    Fibula
    ΙΙΙ secolo d.C.
    Bronzo e smalto rosso, blu e bianco;
    lacunosa, corrosa e leggermente
  8. Via Spiné (2013),US 563
    Secchio
    ΙΙΙ secolo d.C.
    Bronzo
  9. Opera Pia Moro (2005)
    Collana d’oro – frammentaria
    ΙV – ΙΙ secolo a.C.
     

In copertina
Sottopasso SS 53 (1999-2000) – Tomba 43, 
Prima metà Ι secolo d.C.
17 balsamari fittili in ceramica a corpo piriforme 
e collo cilindrico

Orari mostra
venerdì, sabato e domenica
dalle 14 alle 19
tutti i giorni su richiesta
aperture straordinarie
Giovedì 26 dicembre 
mercoledì 1° gennaio 
lunedì 6 gennaio,
domenica 12 gennaio
lunedì 13 e 20 gennaio

 

Dove e quando

Evento: Palazzo Foscolo e Museo Arcehologico Eno Bellis – Oderzo
  • Fino al: – 31 May, 2020