Un altro compositore che, come Verdi, fece la fame negli anni della gioventù mentre a Milano cercava la sua strada, è Giacomo Puccini (Lucca, 22 dicembre 1858 – Bruxelles, 29 novembre 1924) che diverrà il cantore degli amori dolci, struggenti di donne innamorate, tenere, appassionate, forti, disperate, crudeli.

Anche lui ebbe inizi duri, condivisi in una cameretta al terzo piano di una modesta casa, con un altro musicista, il livornese Pietro Mascagni. Spesso i due, come ricordano una volta raggiunta fama, successo e ricchezza, riempivano le pance vuote con caffelatte o alla meglio, con piattate di orrido minestrone e ogni tanto un’aringa con i ravanelli.
Così il giovane Puccini scriveva alla sorella suora: «La sera, quando ho qualche soldo vado al caffè ma passano moltissime sere che non ci vado perché un ponche cosa 40 centesimi. Mangio maletto e riempio la pancia di minestrone…e la pancia è contenta». Conclude mestamente: «se puoi mandami un “popoino” d’olio buono».

L’olio è quello “bono” delle verdi colline lucchesi, puro, dorato (anche Verdi se lo faceva spedire insieme al vino Chianti). Ne basta una goccia per insaporire, glorificare una semplice fetta di pane!. Del resto, in “Bohème” (rappresentata per la prima volta a Torino 1° febbraio 1896 con la direzione di un giovane Toscanini, bocciata dalla critica, ma promossa dagli applausi scroscianti del pubblico), il suo capolavoro, è ambientato in una Parigi poetica e minore, dove un gruppo di giovani artisti cercano di sbarcare il lunario, colorando la loro vita tra amori, delusioni e illusioni.
Puccini vi si rivede e canta con loro gli anni duri e fecondi degli inizi. Riferimenti culinari, in quest’opera, girano intorno ad una celebre locanda del Quartiere latino, il “Cafè Momus”, e alla rassegna gastronomicamente più sognata che gustata dei quattro squattrinati amici, che si dividono nella loro gelida stanzetta una povera aringa come fosse una sopraffina “lingua di pappagallo”. 03

Ma c’è un’altra tavola tra le note dell’opera “Tosca”, quella sontuosa del Barone Scarpia, capo della polizia papalina, nell’atmosfera tesa che seguì la caduta della 1ª Repubblica Romana su cui si immagina servita una cena raffinata e maledetta, battezzata con corposo “vin di Spagna” e caffè forte. Qui il dramma lirico raggiunge il culmine, con la fatale coltellata che una Tosca furente sferza, senza pietà, uccidendo l’odiato equivoco personaggio. Una tavola lussuosa, violenta e mortale in cui la musica piena di tensione, si trasforma in canto di morte e d’amore, ma sempre amore.

Nella sua vita, a tavola, Giacomo Puccini amò le cose semplici come la cacciagione che, da appassionato dell’arte venatoria, apprezzava quando andava “nelle Maremme” ospite dell’amico Conte della Gherardesca. Qui, elegantissimo, con la cacciatora di velluto, i pantaloni di tela, gli stivali di cuoio, la cartuccera (come ci raccontano le foto d’epoca) partecipava “attivamente” alle battute al cinghiale che si concludevano, con epici golosi arrosti o saporiti stufati accompagnati da robusti vini rossi toscani.

Ma, cara al suo cuore era anche la più modesta amatissima, caccia sul barchino nel Lago di Massaciuccoli a Torre del Lago, luogo prediletto e fonte di infinite appassionate melodie. Qui le prede, folaghe, germani, marzaiole, anitre
selvatiche, erano felici di diventare arrosti, stufati, risotti, cucinate e gustate nei capanni degli amici cacciatori, in un’atmosfera di goliardica complicità in cui il semplice cibo condiviso diventava sigillo di sentimenti che durarono una vita. In tanto le silenti acque del lago cantavano l’amore tenero e disperato di Butterfly di “un bel di vedremo”; Puccini amò sempre la buona cucina della terra di lucchesia e vi rimase fedele.

Anche quando ricco, famoso e applaudito in tutto il mondo (quando le sue scarpe e i vestiti venivano da Parigi, le camicie da Londra e il cappello era appositamente creato per lui dalla ditta Borsalino) volle però sempre che per la sua tavola ci fosse la fedele cuoca Isola Nencetti, a preparagli la semplice zuppa di cavolo nero, lo sformato di verdura, un bello stufato di cacciagione e fagioli cotti nel fiasco da condire con l’olio “bono”. Per finire, uno speciale latte alla portoghese, fatto però con uova e latte di giornata. Un buon vino delle colline di Montecarlo (Lucca) corroborava il tutto. Un mandarino per favorire la digestione, un caffè forte e la “fatale” sigaretta.
Il vino, come abbiamo visto, scintilla sulle liriche tavole dei nostri compositori e nei loro calici, così come sulle nostre quotidiane italiche mense.

Dettagli

Didascalie immagini

  1. Giacomo Puccini in una foto della maturità
  2. I giovani Pietro Mascagni e Giacomo Puccini, amici in competizione
  3. Locandina della Boheme
  4. Locandina di Tosca
  5. Giacomo Puccini fotografato in una battuta di caccia
  6. Locandina di Madame Butterfly

IN COPERTINA

Luigi De Servi, Ritratto di Giacomo Puccini, 1903, olio su tela, cm 124×78, Lucca, Museo Nazionale di Palazzo Mansi