In questo armonico musical-lirico-gastronomico viaggio incontriamo anche il grande Giuseppe Verdi che ha illuminato, con la sua musica e la sua grande anima, tanta parte della storia e della cultura del nostro Paese.
Non goloso ma raffinato” così fu definito dal commediografo dell’epoca Giuseppe Giacosa (1847-1906) che aggiungeva: “la sua tavola è veramente amichevole… è un artista e, come tale considera, e con ragione, il pranzo quale opera d’arte”.
Infatti, nella sua bella casa di Sant’Agata (Busseto, Parma), la tavola ebbe sempre un posto di grande rilievo, non solo per le importanti personalità della musica, della politica, della cultura con cui la condivise, ma per la cura e la convivialità con cui venivano offerte le buone cose della sua terra (spalletta di San Secondo, salumi, cappelletti) insieme ai prodotti del suo orto e del suo pollaio.

Il Maestro fu sempre alla spasmodica ricerca di un vero cuoco, di un cappello bianco, ma spesso incontrò solo brucia pentole, come apprendiamo dalle lettere agli amici. Comunque, alla fine, la sua amata consorte Giuseppina Strepponi riuscì a farlo sedere a tavola contento. La cucina della loro elegante e bella dimora, spendente più di cento pentole di rame (casseruole, teglie, bricchi, stampi di varie forme) arricchita da un famoso forno, fatto venire dalla Francia,
completava insieme al curatissimo giardino, l’immagine di un raggiunto benessere, di cui, però, i coniugi Verdi non fecero mai sfoggio o esibizione.

La Signora Verdi curava molto la mise en place, con la posateria d’argento commissionata nel 1867, a Parigi, all’Orfèvrerie Christofle (con incise le due G sormontate dalla V) e le stoviglie di Sèvres di porcellana bianca e azzurra filettate d’oro. I bicchieri erano della Verrerie Royal de Saint Louis.
Mentre il pranzo era assolutamente informale (così raccontano gli ultimi discendenti del Maestro) con un menu sbrigativo, fatto di piatti semplici, la sera vigeva, invece, una quasi teatrale formalità sia nell’abbigliamento che nel menu curatissimo. In una specie di liturgia della forma si dava il via ad una laica processione, aperta da Giuseppe e Giuseppina che, sottobraccio, seguiti dagli ospiti, dal salotto rosso raggiungevano la sala da pranzo. Qui, sotto un grande lampadario di bronzo dorato, iniziava… ”l’opera lirica”, con un’ottima, anzi eccellete curatissima cena.

In una magica atmosfera, ricordano gli ospiti, di fronte ad una tavola impeccabile, si vivevano impagabili e indimenticabili momenti di amicizia e cordialità di cui il cibo era parte essenziale. Del resto Verdi fa intonare alla sua Violetta, nella seconda scena del primo atto di Traviata: “È al convito che s’apre ogni cor”.

Cose buone e genuine sulla tavola dei coniugi Verdi che, ad esempio, non si fecero mai mancare la vera pasta di
Napoli, che Giuseppina ordinava – con lettere precise in cui indicava quantità e qualità – ad un amico della città partenopea. Il riso, poi, era sempre presente nella dispensa e nei loro menu, perché il Maestro si considerava un vero specialista nel cucinare un certo risotto, di cui, in persona, con quasi professionale precisione, detta la ricetta alla consorte, da spedire all’amico Camille Du Locle, librettista direttore dell’Opera Comique di Parigi.

Anche quando i coniugi Verdi si recarono a San Pietroburgo per la prima de “La forza del destino” (10 novembre 1862), si erano fatti precedere da una bella golosa spedizione di italiche provviste (tagliatelle, maccheroni, riso, formaggi, salumi e vino) per “consolare” il Maestro nel gelo della Russia.

Verdi beveva volentieri il vino delle vigne dei suoi poderi, ma preferiva quello francese e il Chianti, che gli aveva fatto assaggiare Bettino Ricasoli a Parigi, durante l’Expo del 1855 (“Verdi sta benone, corre per il giardino e bene Chianti. Grazie a chi glielo fa avere così buono” Lettera di Giuseppina Strepponi alla cantante Teresa Stolstz). Questo vino dall’antico nome etrusco, dal colore rubino e il profumo di viola mammola, spesso, nel mondo rappresenta l’Italia, come nel mondo l’Italia parla con le note di Verdi.
Se lo faceva spedire a Sant’Agata per ferrovia in fiaschetti, dal suo amico albergatore di Montecatini Napoleone Melani. Qui ogni anno passava un periodo di cura delle acque. Spesso il buon Chianti lo seguiva nei soggiorni a Genova e a Parigi.

Dunque, il Maestro era davvero raffinato, ma lontano dai sofismi culinari di Rossini, sempre innamorato delle cose semplici, vere, genuine della sua terra. Anche nelle sue opere il cibo è musicalmente presente. Nel Rigoletto, in cui la scena si apre sul fastoso ricevimento nel Palazzo del Duca di Mantova, si può ipotizzare che sulla tavola della spumeggiante festa sia servito un menu gonzaghesco! Nella Traviata, in attesa del “Libiamo ne’ lieti calici”, nel bel salotto di Violetta si intravede una tavola riccamente imbandita. Nella “Forza del destino”, nella locanda della Sierra
Morena, dove è ambientato il secondo atto, si vede arrivare l’ostessa con una grande zuppiera fumante colma di riso, accolta dall’entusiasmo dei presenti che intonano: “Buono” “Eccellente” “Par che dica, Mangiami”.
Sempre nella “Forza del destino”, all’inizio del quarto atto c’è un altro cenno culinario, quello della distribuzione della minestra ai poveri che si spintonano affamati intorno a Fra Melitone.

E poi, gastronomicamente non consigliabile, c’è quella zuppetta che bolle nel terzo atto di Macbeth, nel pentolone intorno a cui si affannano le streghe incitandosi a vicenda: “Su via! sollecite giriam la pentola, Mesciamvi in circolo possenti intingoli“.
Finiamo, sorridendo, con un richiamo al cibo in Falstaff, ultimo capolavoro di Verdi (tratto da Le allegre comari di Windsor di William Shakespeare) nella rievocazione del conto che l’oste della “Giarrettiera” presenta, insieme
all’ennesima bottiglia di Xeres, sei polli, tre tacchini, due fagiani… un acciuga.
Cosi come la cultura italiana, anche la nostra cucina deve molto al grande Maestro di Busseto per aver diffuso con le sue note immortali anche l’amore per il cibo, per la sua terra, per il nostro paese. W Verdi!

Dettagli

Didascalie immagini

  1. Giovanni Boldini, Ritratto di Giuseppe Verdi, 1886, pastello, cm 65 x 54, Roma, Galleria Nazionale d’Arte Moderna (fonte)
  2. La villa di Giuseppe Verdi a Sant’Agata, Busseto
  3. Ritratto fotografico di Giuseppina Strepponi (fonte)
  4. Risotto alla Verdi dalla ricetta per Camille Du Locle (fonte)
  5. Giuseppe Verdi con la moglie e altri commensali
  6. Rigoletto nell’allestimento 2023 del Taranto Opera Festival (fonte)