Glielo fece arrivare per ognuno dei tanti Natali, che costellarono la loro lunga e proficua amicizia il suo editore Giulio Ricordi a cui Giuseppe e Giuseppina Verdi furono sempre molto legati, non solo per il reciproco interesse ma anche per sinceri sentimenti di stima e vivissima, quasi confidenziale convivialità. A Sant’Agata di Busseto, a casa Verdi, in prossimità delle feste di Natale, c’era viva attesa per l’arrivo, da Milano del grande pacco contenente il tipico dolce meneghino, mentre già si cominciava ad affaccendarsi, nell’attrezzatissima cucina del Maestro, luccicante di cento pentole di rame, per organizzare il menu del cenone della Vigilia.

Non sarebbero mancati “i marubini” (nome cremonese dei “cappelletti”) che si preparano anche a Busseto con ripieno fatto solo di uova, pane e parmigiano. Affogati nell’ottimo brodo preparato con carni varie e scelte e verdure ed aromi dell’orto. Poi il cappone di Natale bello, grosso e grasso, dal ricco pollaio del Maestro (che si vantava anche di venderne, con successo, al mercato settimanale di Cremona), coniugato felicemente con la gustosa, colorita, piccante mostarda di Cremona.

Per Capodanno, invece, trionfava il “Pollino”, così nelle sue lettere, Verdi chiama il tacchino. Poi dolcetti tipici e casalinghi, ma si aspettava in gloria, per il gran finale, il famoso grandissimo panettone degli amici Ricordi, da battezzare con il miglio millesimato champagne ideale per brindisi augurali. La sala da pranzo in cui si svolgeva questa gioiosa, quasi teatrale, convivialità, era una delle stanze più importanti della bella dimora patriarcale in cui i coniugi Verdi avevano saputo trasformare una grande casa colonica tipica della bassa padana. Era il ritratto di una coppia unita e felice, che aveva raggiunto una notevole agiatezza, di cui non fece sfoggio o esibizione.

Erano però, concesse, alcune raffinatezze per la loro tavola, a cui, negli anni, sedettero illustri rappresentanti della cultura italiana ed europea, ma anche importanti politici della nascente Italia. Nel 1867, durante un soggiorno a Parigi, commissionarono all’Orfèvrerie Christofle, un servito di posate d’argento di cento pezzi. Su ognuno era incisa una lettera “V” che sormontava le due “G” di Giuseppe e Giuseppina. Sulla tavola scintillavano i cristalli di Saint Louis, mentre le bellissime stoviglie di Sevres, di porcellana bianca col bordo azzurro filettato d’oro, sembravano pronte ad accogliere il menu natalizio del Maestro.

Ma era l’arrivo in questo Natale 1881 dell’enorme panettone (della pasticceria Cova) omaggio augurale degli amici Ricordi a segnare il clou della festa tra il tintinnio dei calici di champagne. Finanche l’imballaggio di questo panettone era grandissimo, accuratissimo per garantire che il prezioso ghiotto contenuto arrivasse fragrante ed integro con la sua “mole enorme” di dolcezza. Questo panettone poi, era circondato di sacchetti ricolmi di squisiti dolci di cioccolata, che alludevano alla loro amicizia ma anche ai reciproci impegni di lavoro. In uno c’era un bel sole che rappresentava il Maestro, quale astro che illuminava la musica e la cultura italiana, in un altro un ancora… la salvezza dell’editore, in un altro ancora la croce di Genova che richiamava all’opera Simon Boccanegra.

Infine, nell’ultimo, un bel Leone di Venezia, quale invito, anzi pungolo a Verdi, alla composizione di “Otello” tratto dall’omonima tragedia di Shakespeare. Però quest’opera ebbe una gestazione lunga sofferta e laboriosa (1879-1887!) punteggiata di tante e tante sollecitazioni dell’editore Ricordi che si servì anche di vari panettoni natalizi per invitare, spingere il Maestro a completare e a dare alle stampe il suo nuovo e atteso capolavoro. In occasione del Natale 1882, offerto con il consueto affetto da Ricordi, arrivò a Sant’Agata un panettone davvero tanto grande, magnifico.

Al momento in cui si tolsero carte veline, lacci dorati, nastri di seta del prezioso imballaggio, apparve sulla sommità del profumato dono, la sorpresa di un bambolottino di cioccolata: un morettino nudo, un piccolo Otello, al quale però mancavano le gambe! (per dire che all’opera tanto attesa si doveva dare la possibilità di andare… correre per il mondo). Anche l’anno dopo per Natale 1883 l’editore, insistendo, non deluse. Infatti, tra la sorpresa di tutti gli ospiti della bella e buona cena della Vigilia nella sala da pranzo di Villa Sant’Agata, il Maestro con studiata teatrale gestualità, compì il rito dell’apertura del graditissimo pacco. Questa volta, tra la sorpresa generale, apparve un vero e proprio mezzo busto di Otello, Moro di Venezia, di cioccolata. Tra mille “Oh” di meraviglia si brindò “nei lieti calici”, augurandosi che l’anno dopo Otello potesse alzarsi in piedi e correre per le vie del mondo a portare ovunque la grande musica e la grande anima del Maestro… ma anche gli spartiti editi da Ricordi.

Invece passarono ancora altri cinque anni, cinque Natali in cui si ripetè il goloso rito del panettone di Ricordi, prima che l’opera debuttasse trionfalmente al Teatro alla Scala di Milano, il 5 febbraio 1887. Da allora Otello “Moro di Venezia” cominciò a correre per tutti i teatri del mondo, per la gloria della grande musica del grande genio italiano e, non si è più fermato.

Didascalie immagini

  1. Villa Sant’Agata
    (fonte)
  2. Verdi compone nella sua mente l’Otello
    © Mary Evans P.L. / Cordon Press
    (fonte)
  3. Ritratto di Giuseppina Verdi
    (fonte)
  4. Giovanni Boldini, Ritratto di Giuseppe Verdi, 1813
    (fonte)
  5. Pasticceria Cova, Milano
    (fonte)
  6. Panettone
    (fonte)
  7. Ritratto di Giulio Ricordi
    (fonte)

IN COPERTINA
Il panettone, goloso dono per Giuseppe Verdi da Giulio Ricordi