Quando Caterina de Medici, nell’ottobre 1533, salpò raggiante alla volta di Marsiglia per incontrare, finalmente, il promesso sposo il bel delfino di Francia Francesco II, aveva con sé, come viatico nunziale, un tale patrimonio d’oro, sete, pietre preziose, gioielli, opere d’arte e fiorini tanti da far invidia ad una principessa di rango. Il suo caro zio, Papa Clemente VII, autore di questo matrimonio (“diplomatico” che rimpinguava le casse del tesoro parigino) proiettando la famiglia dei mercanti fiorentini nel Gota di quelle monarchie che facevano la storia d’Europa. Nel salutarla, le consigliò di aggiungere al prezioso bagaglio, un bel sacco di fagioli, di quelli arrivati da poco dal Nuovo Mondo di cui era diventato grande estimatore, fine conoscitore, promotore, oggi si direbbe testimonial!

Cristoforo Colombo, di ritorno dal suo secondo viaggio nelle Indie, ovvero le Americhe, tramite un ambasciatore, gli aveva fatto pervenire, quale ossequiente omaggio, un sacchetto di strani semi a forma di rene. Incuriosito, Sua Santità, li consegnò ad un suo fido canonico, appassionato di botanica, considerato il pollice verde della Curia, tale Piero Valeriano. Costui, ammaliato dalla novità di queste leguminose, arrivate da tanto lontano, fin qui dove esistevano unicamente fagioli appartenenti all’antico seme “vigna Sinensis”, li studiò con attenzione e zelo, li seminò seguendo con scrupolosa cura la germinazione. Quando grandi, lucidi, carnosi, esplosero questi fagioli del Nuovo Mondo, rispetto ai quali gli autoctoni fagioletti con l’occhio facevano una ben magra figura, esultò di soddisfazione. Naturalmente, per dar conto dettagliato del suo lavoro, per comunicare il buon esito del suo verde esperimento, chiese e ottenne udienza al Santo Padre. Anzi, anche se un po’ timoroso presentò gli esotici fagioli, saporitamente stufati, in un vassoio di rara maiolica di Faenza, a Clemente VII ed ai cardinali che in quel momento erano con lui. Tutti vollero godere di questa golosa novità e fu un successo. A questo punto il Pontefice fiorentino divenne il I° promotore di questi “nuovi fagioli”. Subito ne fece dono di un bel sacco alla nipotina ed alcuni esemplari all’accademico biellese Giovanni Pietro. Costui, intuitone il valore nutrizionale (e dell’affare), subito organizzò la coltivazione su larga scala nelle sue terre.
Clemente VII, generosamente omaggiò di una certa quantità, anche l’Abbazia di S. Nicola di Controne dove i monaci levarono laudi al cielo per ringraziarlo del contributo. Con questi semi benedetti avrebbero consolato le loro magre zuppe fino ad allora realizzate con i fagioletti locali combinati con le verdure dell’orto.

Del resto questi antichi legumi erano quelli che da tempo immemorabile saziavano italiche pance vuote, tanto da essere ricordati anche dai poeti dell’Antica Roma. Se il grande Virgilio li bolla come cibo del popolino, indegno di entrare nelle cucine dei signori, Marziale invece in un gustoso epigramma, loda i “vilem phaseulum” virgiliano così: “Se i fagioli bollono per te in una pentola di terra rossa puoi anche rifiutare gli inviti di anfitrioni sontuosi”.
Carichi di significato religioso, e umiltà, nell’Europa Medievale, saranno proprio gli antichi fagioli autoctoni (secondo Umberto Eco – Corriere della Sera 16 maggio 1999) così ricchi di proteine, vitamine ABCE, ferro, fosforo, potassio, zinco, a salvare l’Occidente.
Fino all’anno 1000, i nostri antenati venivano decimati dalle funeste endemiche epidemie. L’inizio della coltivazione razionale ed intensiva di questo vile divino legume fece si che cominciarono a nutrirsi meglio, a diventare più robusti e sani e…a fare più bambini.
A poco a poco l’Europa si ripopolò mentre bianche e cattedrali romaniche sorgevano per una rinnovata fede nella vita. Nel Rinascimento, i nuovi fagioli a poco a poco relegarono i fagioli con l’occhio a companatico di poveracci e zotici, mentre questi assurgevano a cibo degno di mense cardinalizie e principesche. Si disse infatti che, proprio grazie ai fagioli portati da Firenze e al vino Chianti della sua dote, Caterina ormai regina di Francia, riuscì alla fine a dare alla dinastia del Valois ben nove figlii di cui tre Re di Francia e una Regina di Spagna.
Intanto l’antico modesto phoseulus, vegetale appassionato  a braccetto  con i fratelli arrivati da oltre Oceano, generava quei borlotti cannellini, zolfini, toscanelli, spulciarelli che oggi ci rallegrano nelle ricette regionali, diventando quell’autorevole parte integrante della dieta mediterranea.

Dunque Clemente VII, papa fiorentino (che Leopold Von Ranke storico tedesco nel suo “Storia ecclesiastica e politica dei Papi XIV-XVII secolo) definisce: “il più …..di tutti i Papi saliti sul trono di Pietro, infinitamente scaduto in reputazione, senza autorità né spiritualità …….che ha lasciato traccia di se per il suo grande mecenatismo, che amò la bella tavola, il buon cibo, nell’armonia del convito, va riconosciuto il merito di aver legato il suo nome anche alla saporita storia dei fagioli.

Dettagli

Didascalie immagini

  1. Sebastiano del Piombo, Ritratto di Clemente VII
  2. Annibale Carracci, Mangiafagioli, 1584-1585, olio su tela, 57×68 cm, Galleria Colonna, Roma
  3. Fagioli

IN COPERTINA:
Annibale Carracci, Mangiafagioli, 1584-1585, olio su tela, 57×68 cm, Galleria Colonna, Roma
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