Quando pensiamo all’alloro (Laurus Nobilis) bella pianta forte ed orgogliosa, dal verde cupo, lucido, intenso, dal profumo penetrante, onore di siepi alte e maschie, possenti come mura di fortezza, subito ci torna in mente quella versione di greco che ce ne illustrava la storia delicata di un tragico amore non corrisposto. La bellissima e casta Dafne figlia della Terra e del fiume Ladone, per sfuggire alle pressanti avances dell’affascinante intraprendente Apollo, pervicace corteggiatore, e proteggere il proprio candore, si trasformò in questo vigoroso virgulto. Proprio così, come l’ha immortalata il Bernini (1622), fermando splendidamente sul marmo quel drammatico irripetibile momento (Galleria Borghese Roma). Apollo, toccato nel cuore dalla purezza di Dafne, pensò di onorarla cingendosi il capo con le verdi fronde appena spuntate dalla terra. Sentitosi così completamente appagato, quasi la sua irraggiungibile amata fosse accanto a lui.

Da quel momento il Laurus Nobilis (della famiglia delle Laureacee) diventò di “moda” come simbolo di gloria riportata sui campi di battaglia (Apollo contro Eros), nelle scienze, nelle lettere, nelle gare sportive. Una corona di alloro (Corona triumphalis) cominciò a decorare la fronte di vincitori dei giochi di Olimpia e Delfi, poi quelle dei condottieri vittoriosi, degli imperatori, dei re… dando via via ispirazione ad una infinita suggestiva iconografia che arriva fino ai giorni nostri.
L’alloro, poi, pianta sempre verde che non è schiava dei cicli delle stagioni, diventa anche simbolo dell’immortalità, di quella gloria vera che resiste all’usura del tempo e della memoria. Plinio il Vecchio (23 d.C-79 d.C) nel suo “Naturalis Historia”, lo vuole intenzionalmente mandato sulla terra da Giove per cingere la fronte degli imperatori e dei condottieri vittoriosi. Francesco Petrarca (1304-1375) non gli lesina elogi onorandolo con questi versi: “Arbor vittorioso, trionfale, onor d’imperatori e di poeti” inserendo la poesia tra le cose degne di tale e tanto onore.

Ecco dunque che l’alloro entra nell’immaginario collettivo come simbolo di alto e meritato riconoscimento quando, come corona posta sul capo di un personaggio ne segnala la grandezza, l’eccellenza, la magnanimità, il coraggio, insomma tutte quelle virtù proprie dell’eroe che raggiunge l’immortalità. Così, nel correre della storia dell’uomo, re, imperatori, condottieri, scienziati, scrittori etc… furono ben lieti di potersi adornare con tale vegetale decorazione (che in alcuni casi, poi divenne d’oro!)
Nel Medio Evo, le università pensarono di gratificare i giovani che completavano il corso di studi cingendo loro la fronte, durante una suggestiva cerimonia, con una ghirlanda di alloro Laurus Nobilis. Da qui la parola laureato!
Non per sminuire il valore epico di questa gloriosa pianta, una curiosità mi porta a segnalarne anche la sua aromatica presenza in antichi e rari testi di un arte non meno degna d’onore: la gastronomia. Il grande Catone (234 a.C-149 a.C) nel suo “De re rustica” ce ne parla dettagliatamente al capitolo centoventuno. Qui ci descrive, con precisione attenta e ghiotta, un certo “pasticcio al vino dolce” che prevedeva alla fine “una grattatina di legno di alloro”. Non solo, ma il tutto deve essere cotto “su foglie dello stesso albero”. Dunque, fin dall’antichità è testimoniata la presenza del Laurus tra le pentole e i fornelli.

Ma dobbiamo raggiungere la grandiosità e il lusso sfrenato di Gavio Apicio (25 a.C-37 d.C.) grande gaudente, raffinato gourmand, gastronomo, scrittore d’epoca imperiale, per trovare nel suo “De re coquinaria”, la succulenta, opulenta ricetta del “Porcellum laureatum”. Qui il grande chef prescrive che il maialetto tenero tenero, prima scottato, venga completamente imbottito di aromaticissime foglie di alloro e poi fatto arrosto. A questo punto ci vengono in mente il sapore e il profumo dei nostrani fegatelli di maiale che l’alloro avvince appassionatamente dentro la rete (omento) prima di avviarli al calore avvolgente del forno che ne esalta al massimo la preziosa gustosità. Ma l’alloro scelse, anche, fin da tempi lontanissimi di stringersi accanto ai dolcissimi fichi maturi, intenzionati a seccarsi per diventare un calorico tentatore dolcissimo dessert, ma anche di consolare il funghetto che dall’umido sottobosco passa “sottolio”, e di accompagnare, come in una danza le castagne che borbottano mentre bollono cuocendo nella pentola di coccio. E poi, le salsicce, gli arrosti, il pesce appena pescato e votato alla santificazione sulla griglia. Insomma fin dalla notte dei tempi il nobilissimo altolocato Laurus non disdegnò di scendere dai troni alle fumose grasse cucine per la gioia di ghiottissimi e raffinati buongustai. Oggi ci dicono di una moderna ricetta di “spaghetti all’alloro” Chissa?

Comunque dopo questo ideale saporito menu dove l’alloro si è declinato nelle sue più variegate e golose forme, mi pare doveroso ricordare che… uno smeraldino liquore fatto con le lucenti verdi sue foglie potrebbe facilitarci la digestione (che è un’altra delle grazie di questa preziosa favolosa pianta)

Didascalie immagini

  1. Gian Lorenzo Bernini, Apollo e Dafne, 1622-1625, marmo, 243 cm, Galleria Borghese, Roma
    (fonte)
  2. Nicolas Coustou, Monumento a Giulio Cesare, 1696, marmo, 242 cm, Museo del Louvre, Parigi
  3. L’alloro nobilitato anche sulle monete romane del Museo Archeologico Nazionale di Firenze
  4. L’alloro, prezioso condimento in cucina

IN COPERTINA
Gian Lorenzo Bernini, Apollo e Dafne, 1622-1625, marmo, 243 cm, Galleria Borghese, Roma
(fonte)
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