«Noi siamo stati discepoli delle bestie nelle arti più importanti: del ragno nel tessere e nel rammendare, della rondine nel costruire le case, degli uccelli canterini, del cigno e dell’usignolo nel canto, con l’imitazione.»
Democrito (68B 154 DK)

Undici mostre a Bologna dislocate nel centro storico e al Mast per la 4ª edizione di Foto/Industria 2019 la Biennale di fotografia dell’Industra e del Lavoro con un unico tema – “costruire” – un‘azione cruciale, intimamente radicata nella natura della specie umana che viene esplorata a tutto tondo, dalle sue radici storiche e filosofiche agli inevitabili risvolti scientifici.

Dalle città alle industrie, dalle reti energetiche a quelle infrastrutturali, dai sistemi di comunicazione alle reti digitali, la Biennale indaga il complesso sistema dinamico del fare che caratterizza la presenza dell’uomo sul pianeta. È questa attività che dà forma alla tecnosfera: l’insieme di tutte le strutture che gli esseri umani hanno costruito per garantire la loro sopravvivenza sulla terra.

Con un peso stimato di trenta miliardi di miliardi di tonnellate, questo strato artificiale al di sopra della crosta terrestre è stato definito “tecnosfera” dal geologo Peter Haff, professore di geologia e ingegneria civile presso la Duke University.

Attraverso lo sguardo degli artisti la Biennale, promossa e prodotta dalla Fondazione MAST, prosegue fino al 24 novembre. Curate da Francesco Zanot, le dieci mostre del centro e quella al MAST (co-curata da Urs Stahel) offrono una panoramica su questo nuovo strato artificiale che si sta sviluppando a velocità vertiginosa.

Franceco Zanot, entra nel dettaglio e spiega: «Nella frase di Democrito, tra i più misteriosi filosofi dell’antica Grecia, sono contenuti gli elementi principali di questa edizione di Foto/Industria. L’imitazione è il processo alla base della produzione di ogni fotografia, che prende spunto dal mondo e lo trasforma in immagine. Il costruire è il tema portante delle undici mostre intorno a cui la Biennale si compone e si organizza, lungo un percorso sfaccettato che accumula elementi di riflessione su un’attività cruciale per l’intero genere umano.

Il gesto del costruire è profondamente radicato nella natura stessa degli esseri umani. Non si tratta soltanto di una questione di sopravvivenza (l’uomo costruisce innanzitutto per abitare, per difendersi e per attaccare), ma anche dello slancio verso il futuro che costituisce l’inestinguibile fiamma che illumina la nostra specie, in termini sia individuali sia collettivi. “Fare delle cose equivale a un processo di crescita” , scrive Tim Ingold in un volume che lega questo esercizio alle discipline dell’antropologia, dell’archeologia, dell’arte e dell’architettura.

È una questione darwiniana. Se l’industria costituisce nel suo complesso una sorta di apologia del fare, del costruire e del trasformare, animata da una costante tensione espansiva, innumerevoli altre sono le attività umane orientate verso questa direzione, più o meno grandi, più o meno importanti, più o meno diffuse. Il risultato viene identificato con il nome di “tecnosfera”, da quando il geologo Peter Haff ha coniato questo termine nel 2014, ritornando successivamente sull’argomento in numerose occasioni: “La Terra è avvolta da una fitta rete di dispositivi umani interconnessi e strutture costruite: questa è la tecnosfera. I suoi componenti […] richiedono energia per funzionare, materiale per crescere e ripararsi e informazioni per coordinare le esigenze con l’offerta”.

La tecnosfera si somma e si frappone così ai diversi strati che compongono e circondano la terra, dalla litosfera all’atmosfera, dall’idrosfera alla biosfera. In pratica include tutto ciò che l’uomo ha aggiunto all’ambiente naturale. Si tratta di una quantità talmente elevata di cose che, ovviamente, è possibile farne soltanto pochi esempi: utensili, reti informatiche, fabbriche, strade, armi, impianti energetici, case, città, fino all’inquinamento atmosferico.

La tecnosfera ha un peso, stimato in circa trenta miliardi di miliardi di tonnellate (senza che ciò tuttavia modifichi la massa del pianeta, poiché è formata da elementi preesistenti), ed è composta da un’infinita varietà di materiali.

Ha un’ulteriore caratteristica che la differenzia da tutte le altre sfere terrestri: è la più giovane, ma ha già avuto un enorme impatto sul sistema globale per via della sua inefficienza, ovvero di una sostanziale incapacità di autosostenersi. Come in una delle tante parabole distopiche che occupano l’attuale rappresentazione del futuro, il genere umano prende coscienza della sua più maestosa costruzione nel momento in cui questa ne minaccia la fine. La sfida è aperta


Foto/Industria 2019 esplora quindi questo tema secondo un criterio di campionatura e, come sottolinea il Curatore, senza alcuna pretesa di esaustività, impossibile obiettivo in un campo tanto esteso. Ogni mostra, però, costituisce uno specifico approfondimento su di un aspetto della vastissima materia del costruire. Non solo per numero dei soggetti, ma, soprattutto, per i molteplici punti di vista e le implicazioni conseguenti.

Ne consegue come non sia stato importante analizzare solo cosa viene costruito, ma anche come, quando, perché viene fatto e, partendo dalla tecnologia, si aprono così riflessioni che spaziano negli ambiti della filosofia, dell’antropologia, della storia. 
Ogni ulteriore informazione al sito ufficiale

Didascalie immagini

  1. OSUKE BANDAI – Museo della Musica – Senza titolo, 2016 © Yosuke Bandai. Courtesy of Taro Nasu, Tokyo
  2. LISETTA CARMI – Santa Maria della Vita – Porto di Genova, Lo scarico dei fosfati, 1964 © Lisetta Carmi. Courtesy of Martini & Ronchetti, Genova
  3. DAVID CLAERBOUT – Spazio Carbonesi – Palazzo Zambeccari – Olympia (The real time disintegration into ruins of the Berlin Olympic stadium over the course of a thousand years) 2018.11.01 – 08:59 h © David Claerbout by SIAE 2019. Courtesy the artist and galleries Sean Kelly, New York; Esther Schipper, Berlin; Rüdiger Schöttle, Munich
  4. MATTHIEU GAFSOU – Palazzo Pepoli Campogrande – 4.5.1 © Matthieu Gafsou / Galerie C / MAPS
  5. LUIGI GHIRRI – Palazzo Bentivoglio – Ferrari, Maranello,1985-88 © Eredi di Luigi Ghirri
  6. DÉLIO JASSE – Fondazione del Monte – Palazzo Paltroni – Algures, 2019 © Délio Jasse. Courtesy of the artist and Tiwan Contemporary
  7. ANDRÉ KERTÉSZ – Fondazione Carisbo – Casa Saraceni – American Viscose Corporation, Marcus Hook, Pennsylvania, 1944 © Donation André Kertész, Ministère de la Culture (France), Médiathèque de l’architecture et du patrimoine, diffusion RMN-GP 
  8. ARMIN LINKE – Biblioteca Universitaria di Bologna – Innalzamento del livello del mare al villaggio Kulili Plantation, Isola di Karkar, Papua Nuova Guinea, 2017 © Armin Linke 2018. Courtesy Galleria vistamare/ vistamarestudio, Pescara / Milan 
  9. ALBERT RENGER PATZSCH – Pinacoteca Nazionale – Fonderia di rame lungo il Reno a Duisburg, 1929 Albert Renger-Patzsch Archiv / Stiftung Ann und Jürgen Wilde,
    Pinakothek der Moderne, München © Albert Renger-Patzsch / Archiv Ann und Jürgen Wilde, Zülpich / by SIAE 2019 
  10. STEPHANIE SYJUCO – MAMbo – Spectral City, 2018 Video, tecnologia digitale 3D / 3D digital © Stephanie Syjuco. Courtesy of the artist and RYAN LEE Gallery, New York
  11. EDWARD BURTYNSKY Anthropocene – Fondazione MAST – Oil Bunkering #1, Niger Delta, Nigeria 2016 © Edward Burtynsky, cortesy Admira Photography, Milano /
    Nicholas Metivier Gallery, Toronto

In copertina un particolare di
EDWARD BURTYNSKY Anthropocene – Fondazione MAST – Tetrapods #1, Dongying, China 2016 – © Edward Burtynsky, courtesy Admira Photography, Milan / Nicholas Metivier Gallery, Toronto 

Le undici esposizioni ospitano i lavori di:

  • Albert Renger-Patzsch (Pinacoteca Nazionale)
    PAESAGGI DELLA RUHR
    Tra il 1927 e il 1935, Albert Renger-Patzsch, tra i più importanti artisti della Nuova Oggettività tedesca, ha realizzato un’ampia serie di fotografie nella regione della Ruhr, ottenendo una dettagliata rappresentazione di uno tra i più archetipici paesaggi industriali europei. Il risultato è l’unico lavoro di Renger-Patzsch che non sia stato
    realizzato su commissione, un autentico capolavoro della fotografia documentaria e modernista che ha successivamente influenzato numerosi autori, tra cui i coniugi Bernd e Hilla Becher e i maggiori rappresentanti della cosiddetta scuola di Düsseldorf. Ora le 70 fotografie di questa mostra sono più importanti che mai: costituiscono un
    fondamentale supporto visivo per il dibattito sull’urbanistica, la crescita delle città e la rigenerazione del paesaggio delle zone minerarie.
    (mostra organizzata con il supporto speciale e la collaborazione scientifica dell’Ann und Jürgen Wilde Foundation, Pinakothek der
    Moderne, Monaco di Baviera).
     
  • André Kertész (Fondazione Carisbo – Casa Saraceni)
    TIRES / VISCOSE
    Tra i protagonisti della street-photography al fianco di autori come Henri Cartier-Bresson e Robert Frank, l’ungherese André Kertész ottiene la cittadinanza americana nel 1943, potendo così esercitare il mestiere di fotografo negli Stati Uniti. Celebre per le istantanee che esprimono l’irresistibile vitalità della città e delle persone che la popolano, realizza i suoi più importanti lavori su commissione l’anno successivo. Nel pieno della guerra fotografa prima per la celebre rivista ‘Fortune’ la fabbrica di pneumatici Firestone, impegnata a rifornire le truppe al fronte, poi gli stabilimenti della American Viscose Corporation, concentrandosi sul rapporto tra uomo e macchina
    e sulla ricerca per la produzione di una fibra artificiale. Rarissimi e inediti, questi reportage evidenziano i tratti tipici del lavoro di Kértesz: i dettagli di un filo o di una mano al lavoro sono trattati come preziose nature morte. 
    (mostra prodotta in collaborazione con la Médiathèque de l’architecture et du patrimoine e Diaphane nell’ambito di Usimage 2019)
     
  • Luigi Ghirri (Palazzo Bentivoglio)
    PROSPETTIVE INDUSTRIALI
    Tra i più celebrati artisti italiani del secolo scorso, Luigi Ghirri ha plasmato un intero immaginario fotografico, trasformando gli oggetti della propria quotidianità e l’intero paesaggio circostante in autentici strumenti di riflessione concettuale. Al fianco della ricerca personale, Ghirri ha realizzato importanti nuclei di lavoro per l’architettura, la pubblicità e l’industria. La mostra presenta per la prima volta in maniera estesa il rapporto tra Ghirri e la commissione industriale. Le fotografie realizzate per Ferrari, Costa Crociere, Bulgari e Marazzi, in gran parte inedite, vengono presentate insieme a materiali che raccontano l’intero processo di lavoro di Ghirri, dagli album di provini originali alle cartelle finali, strumenti preziosi per approfondire la carriera di un protagonista assoluto della storia della fotografia.
     
  • Lisetta Carmi (Genus Bononiae – Santa Maria della Vita)
    PORTO DI GENOVA
    Lisetta Carmi è senza dubbio tra i fotografi più importanti del Novecento italiano. Nell’ambito di Foto/Industria sono esposti due suoi lavori, entrambi realizzati nel 1964. Il primo è un progetto sul porto di Genova, dove ritrae con la medesima intensità le forme maestose e terrificanti e la fatica degli uomini. Il secondo è una serie sull’Italsider, ugualmente realizzata a Genova, ancora in gran parte inedita e caratterizzata da un evidente slancio sperimentale, per cui astrazione e lavoro sono combinati in una indissolubile quanto potente amalgama. Accompagna la mostra la musica di Luigi Nono, che visita con Lisetta Carmi gli stabilimenti dell’Italsider nel 1964, ne registra i rumori e li pone alla base della sua composizione “La fabbrica illuminata”. 
     
  • Armin Linke (Biblioteca Universitaria di Bologna – BUB)
    PROSPECTING OCEAN
    Videomaker e fotografo italiano di fama internazionale, Armin Linke lavora da molti anni sui temi della trasformazione del territorio e delle forze economiche e politiche che la promuovono. Prospecting Ocean è uno studio, realizzato grazie alla collaborazione di scienziati, tecnici e legali, sullo sfruttamento delle risorse marine e l’amministrazione dei fondali di tutto il mondo. Realizzate con speciali veicoli sottomarini a controllo remoto e altri strumenti tecnologici all’avanguardia, le immagini mostrano ciò che risulta normalmente invisibile, svelando un denso intrico di macchinari e tubazioni per estrarre e distribuire risorse preziose. Il libro del progetto sarà edito da The MIT Press alla fine del 2019.
     
  • David Claerbout (Spazio Carbonesi – Palazzo Zambeccari)
    OLYMPIA
    Olympia è il più ambizioso e visionario progetto realizzato dall’artista belga David Claerbout. Protagonista è il celebre Olympiastadion di Berlino, noto per avere ospitato le olimpiadi del 1936, progettato dall’architetto Werner March. Secondo il suo progetto originario, lo stadio dovrebbe resistere per mille anni: tale era infatti la durata attesa dai gerarchi per l’intero ciclo del Terzo Reich. Per questo lavoro David Claerbout si è dunque chiesto come dovrebbe apparire l’Olympiastadion tra un millennio, sviluppando un complesso software di computer grafica che simula il degrado dell’architettura in tempo reale in una proiezione di grande formato, fino alla sua totale sparizione.
     
  • Matthieu Gafsou (Palazzo Pepoli Campogrande)
    H+
    Il Transumanesimo è un movimento che si dà come obiettivo quello di migliorare le performance cognitive, psichiche e fisiche dell’uomo attraverso l’utilizzo della scienza e della tecnologia. Spesso abbreviato con la sigla H+, è il soggetto della mostra del fotografo svizzero Matthieu Gafsou, tra i maggiori talenti emergenti sulla scena internazionale. Il progetto costituisce una vasta ricerca su questo fenomeno, svolta all’interno di istituzioni scientifiche, laboratori e comunità in diversi paesi. A partire dalla capillare diffusione degli smartphone, che costituiscono ormai l’estensione del corpo di miliardi di individui, il lavoro documenta dispositivi e innovazioni che vanno dai supporti medici (pacemaker, protesi, arti cibernetici) agli innesti di microchip, dai cibi sintetici alle strategie anti-invecchiamento.
     
  • Stephanie Syjuco (MAMbo – Museo d’Arte Moderna di Bologna)
    SPECTRAL CITY
    Stephanie Syjuco combina nei suoi lavori fotografia, video e nuovi media digitali. Americana di origine filippina, ha esposto in alcuni dei più importanti musei internazionali. “Spectral City” è un video realizzato con immagini scaricate da Google Earth che ricostruisce il percorso compiuto dal ‘cable car’ di San Francisco nel film “A Trip
    Down Market Street” del 1906, per realizzare il quale i Miles Brothers avevano montato una cinepresa sulla parte anteriore di un ‘cable car’. Pochi giorni dopo le riprese il grande terremoto di San Francisco avrebbe cancellato gran parte degli edifici documentati dalla pellicola. Parallelamente, nel video di Stephanie Syjuco l’algoritmo di
    Google cancella ogni presenza umana. Completamente deserta, la città appare proprio come dopo un enorme cataclisma. “Spectral City” è una riflessione sui limiti e le distorsioni della visione delle macchine, sullo spazio pubblico e sul continuo processo di costruzione e ricostruzione della città.
     
  • Yosuke Bandai (Museo Internazionale e Biblioteca della Musica)
    A CERTAIN COLLECTOR B
    I rifiuti sono un inevitabile oggetto di attenzione e dibattito nel contesto della Tecnosfera. Per via della loro natura in gran parte tecnologica e artificiale, minacciano l’umanità con tempi di smaltimento sempre più lunghi: decenni, secoli, a volte addirittura millenni. Il fotografo giapponese li mette al centro del proprio lavoro che costituisce
    insieme una riflessione estetica e filosofica. Per le sue immagini, egli raccoglie una serie di rifiuti e altri materiali trovati e ne fa una serie di sculture minime e fragili, che durano il tempo di una ripresa fotografica. Il risultato sono immagini insieme attraenti, misteriose e disturbanti, fuori scala, frutto di un attento processo di revisione in cui gli
    oggetti di partenza, pure rimanendo del tutto riconoscibili, sono completamente trasformati.
     
  • Delio Jasse (Fondazione del Monte – Palazzo Paltroni)
    ARQUIVO URBANO
    Delio Jasse è tra i giovani fotografi più interessanti del panorama internazionale. Protagonista di numerose mostre personali, ha rappresentato il proprio paese, l’Angola, alla 56esima Biennale di Venezia. All’interno di Foto/Industria, Jasse presenta il suo ultimo lavoro: Arquivo Urbano, una serie dedicata alla capitale dell’Angola, Luanda, città abitata da 8 milioni di persone che dovrebbero duplicare entro un decennio. Realizzate attraverso la sovrapposizione di diverse immagini, le opere di questo progetto rimandano al passato coloniale che si riflette nelle facciate degli edifici e promuovono una complessa riflessione sul futuro, già evidente nello stile moderno delle
    nuove costruzioni. Jasse guarda al passato e contemporaneamente realizza una sorta di utopia architettonica cherimanda all’incertezza della crescita delle nuove metropoli africane.
     
  • Edward Burtynsky, Jennifer Baichwal e Nicholas de Pencier (MAST)
    ANTHROPOCENE
    Anthropocene è un progetto artistico che indaga l’indelebile impronta umana sulla Terra attraverso le straordinarie immagini di Edward Burtynsky, Jennifer Baichwal e Nicholas de Pencier. Combinando fotografia, cinema, realtà aumentata e ricerca scientifica, i tre artisti danno vita a un’esplorazione multimediale di grande impatto visivo che documenta i cambiamenti determinati dall’attività umana sul pianeta e ne testimonia gli effetti sui processi naturali. Il progetto si basa sulla ricerca del gruppo internazionale di scienziati Anthropocene Working Group impegnato nel raccogliere prove del passaggio dall’attuale epoca geologica – l’Olocene, iniziata circa 11.700 anni fa – all’Antropocene (dal greco anthropos, uomo). La ricerca è volta a dimostrare che gli esseri umani sono diventati la singola forza più determinante sul pianeta.

Dove e quando

Evento: Bologna – 11 mostre fra Centro storico e Mast
  • Fino al: – 24 November, 2019