“credo che le cose inanimate siano in realtà animate,
vive e parlanti e hanno a che fare, credo, con il senso del mio lavoro”
(Luca Alinari)
I gesti ieratici, le espressioni trasognate, i colori resi eterei dal trascorrere dei secoli: i santi che sfilano sulle pareti della millenaria basilica fiorentina di San Miniato al Monte sembrano porgere un ultimo saluto a Luca Alinari (1943-2019) in un ventoso pomeriggio di marzo, con la città che si distende in basso ai piedi della collina. Si chiude qui la parabola creativa ed esistenziale dell’artista, circondato da una bellezza sfumata dalla mano impietosa del tempo, da quegli stessi toni pastello così frequenti nelle sue opere.
Il pittore fiorentino, dopo gli studi alla Facoltà di Lettere, appare sulla scena dell’arte nel 1968 con la prima esposizione personale presso la Galleria Inquadrature di Firenze, presentando opere polimateriche ispirate alla corrente “Neodada”, nelle quali si accostano e mescolano tecniche diverse: disegno con uso di colori fluorescenti, decalcomania, collage e trasposizioni fotografiche.
L’invito alla Biennale di Venezia consacra nel 1982 il suo successo; della ricca produzione nel campo della grafica, soprattutto serigrafie e litografie, è universalmente noto al grande pubblico il logo realizzato per i Mondiali di Ciclismo del 2013 che si corsero in Toscana, nel quale appare evidente il richiamo alle sinuose colline della terra natale.
Tra quelle colline Alinari trascorreva i suoi giorni, in un angolo silente e immerso in una dimensione temporale piena di echi del passato, pur a poca distanza dalla città. Una casa dalle pareti a calce, i cui sonori pianciti di vecchie mattonelle e i luminosi scorci di campagna dalle finestre aperte, sembravano appartenere al mondo della pittura macchiaiola: ci si aspettava di incontrare le sorelle Batelli intente al Canto di uno stornello, come nel celebre dipinto di Silvestro Lega, o la silenziosa operosità delle Cucitrici di Borrani. Una casa che campeggia al centro di Paesaggi per pochi intimi 1, amorevolmente descritta nelle sue nitide forme toscane dai profili in pietra serena, mentre alberi dall’inconfondibile sagoma, tipica dell’artista, la affiancano e ne sono quasi inglobati, divenendo fragili sostegni per il tetto che sembrano voler sollevare per lasciarlo volar via alla prima brezza.
Quello di Alinari non è un mondo favolistico che rimandi al rimpianto di un’innocenza perduta, poiché la poetica dell’ambiguità con cui tanto spesso gioca l’artista lo colloca in una dimensione altra rispetto al concetto d’innocenza-coscienza; anche i rimandi alla cultura figurativa degli anni Trenta, molteplici e frequenti, oscillano tra l’illustrazione per l’infanzia e il secondo Futurismo, rivisitati con uno sguardo al “realismo magico” dello stesso periodo, alle atmosfere sospese e trasognate di Donghi, o al tempo congelato di Casorati.
Da questo fondersi di un’arte intensamente dinamica con atmosfere che assimilano la figura umana agli oggetti inanimati e viceversa, in un gioco speculare, nasce la magia delle opere di Alinari, inafferrabile ma ammaliante. Non stupisce che letterati e poeti abbiano avvertito il fascino di questa pittura, da Edoardo Sanguineti, che dedicò una serie di sonetti agli esperimenti di scultura in plexiglas condotti negli anni Settanta (Fame di tonno, pastelli e poesie, del 1981), a Goffredo Parise e Alfonso Gatto. Non ultimo, Josè Saramago, premio Nobel per la letteratura, che visitando una mostra di Alinari a Lisbona rimase affascinato dalle opere esposte. Ne Il mondo chiede di essere inventato di nuovo Saramago definì Alinari un pittore “inquietante”, poiché “la sua pittura contiene una seduzione e, nello stesso tempo, qualcosa di ‘segreto’. Non si rivela mai completamente…”.
Il gioco di rimandi in virtù del quale niente è ciò che sembra, o è comunque anche molto altro, si esprime spesso con il tema del doppio: lo stesso personaggio specularmente affrontato con un procedimento quasi “araldico” (Facce da bravi ragazzi 1, 2000) o il vero e proprio sdoppiamento del soggetto rappresentato in primo piano, dietro il quale si affaccia, simile ma non identico, un altro personaggio; forse, in una pittura così parca di ombre, una personificazione dell’ombra come alter ego di ciascuno di noi. Oppure, metafora della metà mancante di un unicum spezzato all’origine e in costante, insopprimibile, ricerca di una ricongiunzione, come nel mito platonico dell’Eros.
Le opere degli ultimi anni, molte delle quali esposte nella rassegna monografica tenutasi al Museo del Bardo di Tunisi nel giugno 2018, appaiono quasi la “punta di iceberg” di un sommerso mondo interiore, intenso almeno quanto misterioso e complesso. Immagini che vorticano in un moto perpetuo spazio-temporale colto e bloccato come alla luce di un flash: l’impressione di vortice (di cui non si riesce a identificare la direzione – centrifuga, centripeta?) si acuisce nelle scene per le quali Alinari sceglie la forma del tondo, spesso convesso, non tanto o non solo in omaggio ai pittori del Rinascimento che la adottarono frequentemente, quanto proiezione in senso spaziale di immagini che per la loro stessa natura rifiutano la razionalizzazione imposta dal rettangolo o dal quadrato.
L’impressione di fuga verso spazi siderali, di levità, che aleggia nelle opere degli ultimi anni si accompagna a quel clima di understatement che pare la cifra caratteristica di un personaggio schivo, le cui opere promettono, ancora una volta, un sovvertimento dei codici, a cominciare dalla rinuncia a un titolo che inevitabilmente guiderebbe il visitatore verso un significato determinato a priori. Così, senza brusche fratture, ma in modo dolcemente insinuante e dall’ingannevole giocosa apparenza, s’invita lo spettatore a discendere in una spirale di livelli di lettura di cui non si vede il fondo; come in un rutilante caleidoscopio di segni e simboli che con una semplice serie di frammenti di vetro colorato riesce, a un minimo gesto della mano, ad aprirci sempre nuovi universi.
«Da ragazzino, sulle spiagge, raccoglievo ciottoli o tubetti strizzati di dentifricio. I ragazzini amano gli oggetti trovati. Poi arrivano i codici, i sistemi. I variegati rituali delle biennali accademie. Un giorno, sulle spiagge, troveremo anche quelli» (Luca Alinari).
Didascalie immagini
- Luca Alinari nel suo studio
(© Lorenzo Gualtieri) - Poco universo (1974)
(Gentile concessione Eredi Alinari) - Logo Mondiali di Ciclismo 2013
- Paesaggi per pochi intimi 1
(Gentile concessione Eredi Alinari) - Il volto (2005)
(Gentile concessione Eredi Alinari) - Facce da bravi ragazzi 1 (2000)
(Gentile concessione Eredi Alinari) /
Cominciare dalla fine (2005)
(Gentile concessione Eredi Alinari) - Temporale torna alla nube (2018)
(Gentile concessione Eredi Alinari) - Senza titolo (2018)
(Gentile concessione Eredi Alinari)
IN COPERTINA:
Luca Alinari nel suo studio
(© Lorenzo Gualtieri)
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