“coloro che scrivono dell’agricoltura, affermano per cosa certa, che dall’humore corotto e la puzza delli letami generano certi animaletti di tanta picciolezza, che non si possono vedere, li quali nel respirare del fiato entrano per lo naso, et sono causa de una morte quasi subita alli animali et agli huomini”
(Alvise Cornaro, 1540)

Quando il Marchese de Strigis, ambasciatore del Duca di Mantova, arrivò a Venezia, correva l’anno 1630 e la peste si aggirava da tempo per l’Europa. Ormai da oltre due secoli la Repubblica di Venezia, primo stato al mondo, aveva destinato un luogo specifico nel quale isolare i malati di peste: nel 1423 fu riservata a questo scopo l’isola di S. Maria di Nazareth nei pressi del Lido, ed è probabilmente dal nome Nazaretum che derivò quello di Lazzaretto, con cui si designarono tutte le successive istituzioni create per questa funzione.

Nella seconda metà del Quattrocento, a quello che da allora si chiamò Lazzaretto Vecchio seguì la realizzazione sull’isola di Vigna Murata del Lazzaretto Nuovo, destinato alla quarantena degli equipaggi e delle merci che arrivavano via mare da luoghi dove si era manifestata un’epidemia. Non parendo opportuno confinare un personaggio di riguardo in situazioni tanto disagevoli, il Marchese fu ospitato nell’isola di San Clemente, dove in pochi giorni morì di peste. Era il giugno 1630 e il morbo entrò in città: contro il parere del Magistrato alla Sanità, che voleva dichiarare subito l’emergenza e isolare Venezia, il Pieno Collegio presieduto dal Doge rifiutò di adottare provvedimenti; anzi, il Magistrato venne severamente redarguito per le sue affermazioni “pregiuditiali a’ negotii et al commercio pubblico et privato et alla libertà della patria”.

Nel mese di ottobre, quando l’epidemia infuriava ormai senza controllo e i morti erano parecchie decine di migliaia, il Senato veneziano pronunciò un voto solenne, come già durante la pestilenza del 1576, per la quale ci si era appellati con successo al Redentore: per grazia ricevuta, terminata l’epidemia si era dato inizio alla costruzione di una chiesa dedicata al Redentore sull’isola della Giudecca, incaricando del progetto il grande architetto Andrea Palladio.

In questo caso si fece ricorso all’intercessione della Madonna, sotto la cui protezione si collocava Venezia. Con il voto solenne, proclamato il 22 ottobre 1630 dal Doge, la Serenissima si assumeva l’impegno di erigere una basilica dedicata a Santa Maria nei pressi della Dogana da Mar, dove tutte le navi in arrivo e in uscita dal porto dovevano sostare per le necessarie pratiche doganali; inoltre, allo stesso modo di quanto accadeva ogni anno per la festa del Redentore, il voto comprendeva la costruzione di un ponte di barche per collegare la nuova basilica a San Marco, in modo «ch’ogni anno nel giorno che questa Città sarà pubblicata libera dal presente male, Sua Serenità et li Successori Suoi anderanno solennemente col Senato a visitar la medesima Chiesa a perpetua memoria della Pubblica gratitudine di tanto beneficio».

Finalmente, il 21 novembre 1631 la città venne ufficialmente dichiarata libera dall’epidemia, e da allora Venezia celebra in questa data la festività della Madonna della Salute. Il progetto per la nuova basilica, tutta in marmo bianco, fu affidato a Baldassarre Longhena, che era stato allievo del Palladio. Longhena concepì un edificio a pianta centrale, sormontato da una grande cupola – “una chiesa in forma di corona per esser dedicata a essa Vergine” – affiancata da una seconda cupola, più piccola, che copre il presbiterio. In cima alla cupola maggiore fu collocata una statua della Madonna in un’inedita raffigurazione come Capitana da Mar, con in mano il bastone dell’ammiraglio che comandava la flotta della Serenissima, il Capitano da Mar, appunto. Dal Canal Grande si accede al sagrato con una scalinata, ai piedi della quale si ha l’impressione di vedere il monumentale edificio sorgere dalle acque.

I lavori durarono oltre cinquanta anni, e giunsero infine a compimento nel 1687 con la realizzazione dell’altar maggiore, sormontato da un gruppo marmoreo opera dello scultore fiammingo Giusto Le Court: la Madonna col Bambino in braccio appare sopra le nubi, mentre un angelo caccia con la fiaccola un’orrida vecchia che simboleggia la peste; la città di Venezia è rappresentata come una dama in vesti sontuose, inginocchiata ai piedi della Madonna. Sull’altare fu collocata un’antica icona raffigurante la Vergine e il Bambino, conosciuta con l’appellativo di Mesopanditissa (la Mediatrice), perché davanti a questa immagine nel 1264 era stata firmata la pace che poneva termine alla guerra tra Venezia e Candia.

Il 21 novembre, a Venezia giorno festivo a tutti gli effetti, la Madonna della Salute viene celebrata solennemente da quasi quattrocento anni: per la ricorrenza arrivano alla basilica pellegrini da tutte le isole e dall’entroterra, mentre il ponte votivo che permette di attraversare il Canal Grande viene montato alcuni giorni prima.

A differenza della festa del Redentore, che si celebra nel mese di luglio e vede l’afflusso in città di un gran numero di turisti, attratti anche dallo spettacolo pirotecnico sull’acqua e dalle regate, la festa della Salute è legata piuttosto a una devozione popolare molto sentita a livello locale, che tramanda da secoli le proprie tradizioni; tra queste, la preparazione di uno speciale piatto che si consuma in occasione della festa nelle case e in alcune trattorie: la “castradina”, una zuppa di verza e carne di montone, affumicata e salata, che rievoca la memoria della grande pestilenza del 1630.

Venezia era isolata dalla terraferma e i veneziani avevano come uniche risorse alimentari il pesce della laguna e le verdure delle isole; la sola carne disponibile in città era il montone affumicato e salato che arrivava via mare dall’altra sponda dell’Adriatico: i Dalmati erano infatti gli unici a rifornire di cibo la città. Considerato piatto “de obligo su le tole, sia dei povaréti che dei siori, nobili o mercanti”, in occasione della festa della Salute del 2019, celebrata a pochi giorni dall’eccezionale acqua alta che tanti danni ha prodotto in città, la castradina è divenuta ancora una volta il piatto-simbolo della rinascita di Venezia.

Didascalie immagini 

  1. L’isola del Lazzaretto Vecchio vista dal Lido
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  2. Veduta della chiesa del Redentore con il ponte votivo, montato ogni anno in occasione della festività che si celebra la terza domenica di luglio
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  3. Giovanni Antonio Canal (il Canaletto): L’entrata nel Canal Grande dalla Basilica della Salute (circa 1740) – Collezione privata. Sullo sfondo il ponte votivo che attraversava il Canal Grande congiungendo la Punta da Mar (oggi Punta della Dogana) con San Marco
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  4. Veduta della basilica della Salute dal bacino di San Marco. In primo piano la Punta della Dogana
    (© Donata Brugioni)
  5. Interno della basilica della Salute con il prezioso pavimento a tarsie marmoree
    (© Donata Brugioni)
  6. L’altar maggiore con il gruppo marmoreo opera dello scultore fiammingo Giusto Le Court (1627-1679)
    (© Donata Brugioni)
  7. Veduta del ponte votivo; sulla destra la cupola della basilica della Salute e la Punta della Dogana
    (© Donata Brugioni)
  8. Giusto Le Court: La Peste fugge da Venezia (particolare del gruppo marmoreo sopra l’altar maggiore della basilica della Salute)
    (fonte)

In prima pagina:
Veduta della basilica della Salute dal bacino di San Marco. In primo piano la Punta della Dogana
(© Donata Brugioni)
[particolare]