(prosegue dalla prima parte)

Purtroppo, la “Rovera di Dante” oggi non domina più il paesaggio del Delta, a ferirla gravemente, nel 1976, fu un fulmine. Poi, nella notte tra il 24 e il 25 giugno 2013, ormai indebolita, collassò e varcò ogni confine la notizia del crollo di quello stupendo gigante, per cingere il suo tronco erano necessari dieci bambini o sei adulti, la cui cima svettava a un’altezza di ventisei metri.
In molti si commossero sinceramente e andarono a salutare il colosso. Un’artista, Miranda Greggio, con l’opera “Cortex” ne delineò una specie di “sindone” e il tronco abbattuto è stato messo al sicuro in un magazzino in attesa di poterlo offrire alla pubblica ammirazione. Un suo frammento è già esposto nel Museo di San Basilio, mentre nuovi germogli stanno crescendo, preservando la memoria di Dante e del Grande Patriarca del Parco del Po.

Come in una favola dove non è ammesso un finale triste, la terra su cui si ergeva la “Grande Quercia di Dante”, continua a far emergere altre testimonianze della sua più volte millenaria storia. Infatti, all’epoca del passaggio del sommo poeta, vi sorgeva un romitorio collegato all’Abbazia di Pomposa. In epoca romana, la Via Popillia che, attraverso Adria, congiungeva Rimini all’importante colonia romana del nord Italia, Aquileia, protesa verso le ricchezze del Norico. A San Basilio una stazione di posta e cambio cavalli, la mansio Hadriani, segnalata nella Tabula peutingeriana, la più antica carta stradale romana conosciuta. Resti di una lussuosa villa romana e di un battistero paleocristiano ancora visitabili in un’area musealizzata nei pressi della chiesetta.

Da qualche anno gli archeologici hanno focalizzato sulla “San Basilio” ancora più antica, quella presente in epoca etrusca e gli scavi in corso – a cura delle Università di Venezia e di Padova insieme alla Soprintendenza di territorio e al Museo archeologico nazionale di Adria – stanno delineando la presenza di un sito di una certa importanza già prima dei noti insediamenti romani.

Alberta Facchi, Direttore del Museo di Adria, ha sottolineato come da queste ultime indagini sia emerso un dato e cioé la possibile continuità tra l’insediamento etrusco e quello romano, senza che – come si riteneva in passato – ci sia  stata una interruzione temporale tra la presenza etrusca, documentata dallo scorcio del VII secolo, e quella romana del II sec. a.C.

E’ qui che si sperimentò per la prima volta quella presenza multiculturale di genti venete, etrusche e di naviganti greci, che vi convergevano per commerciare. Ad Adria, e a San Basilio, i Greci scambiavano i prodotti di lusso provenienti dal Mediterraneo – tra cui il vino e l’arte di berlo, insieme a pregiati unguenti profumati – con i prodotti della pianura, i metalli dell’Oltralpe e la preziosa ambra del Baltico.

I recenti scavi permettono di ipotizzare che il sito non fu offuscato e cancellato dalla nascita di Adria (che nel VI secolo divenne una vera e propria città), ma mantenne un ruolo nel sistema di commercio tra Etruschi e Greci. Proprio questo ruolo. e le sue modalità di sviluppo, è ciò che i prossimi scavi e le tesi di laurea ad essi connessi si prefiggono di indagare. Il progetto di scavo a San Basilio è stato temporaneamente sospeso a causa dell’emergenza Covid-19. Riprenderà nella primavera 2021 con il suo duplice volto di indagine scientifica e operazione di turismo partecipativo.

Didascalie immagini

foto 1
la “Rovera di Dante” la mattina del 25 giugno 2013
giace a terra per il collasso avvenuto durante la notte

foto 2
paesaggio autunnale nel Polesine
nei pressi di San Basilio

foto 3, 4, 5 e in copertina
scatti durante gli scavi a San Basilio
attualmente interrotti a causa Covid-19