«Io riandavo con la memoria agli anni della mia prima giovinezza e a Ferrara, e al cimitero ebraico posto in fondo a via Montebello. Rivedevo i grandi prati sparsi di alberi, le lapidi e i cippi raccolti più fittamente lungo i muri di cinta e di divisione e, come se l’avessi addirittura davanti agli occhi, la tomba monumentale dei Finzi-Contini.»
(Giorgio Bassani, Il giardino dei Finzi-Contini)

All’interno della cerchia di mura che racchiude il centro di Ferrara, passeggiando sui rampari delle Mura degli Angeli che sovrastano l’area dell’Addizione Erculea, ci si affaccia su un vasto spazio verde situato non lontano della Certosa e dal cimitero cattolico che la circonda. A una svolta dell’appartata e serpeggiante via delle Vigne, un grande cancello di uno stile eclettico che unisce suggestioni orientaleggianti assiro-babilonesi al gusto nordico dello Jugendstil in voga agli inizi del Novecento – quando l’architetto Carlo Contini ne concepì il disegno – introduce al cimitero ebraico della città.

Ferrara è stata per secoli uno dei centri più importanti dell’ebraismo in Italia, come documentato dal MEIS, il Museo Nazionale dell’Ebraismo Italiano e della Shoah, che ha sede proprio qui. A questo proposito vale la pena di ricordare che agli inizi del mese in corso è giunta al MEIS una lettera di offese e minacce antisemite, condannata da tutto il mondo della cultura e delle istituzioni e sulla quale sono in corso le indagini da parte della Digos.

L’antico Orto degli Ebrei è l’area che venne acquistata dalla comunità ebraica locale nel corso del XVI secolo (la tomba più antica risale al 1549) per farne il proprio luogo di sepoltura, ed è il più antico cimitero ebraico dell’Emilia Romagna tuttora in uso. Dal grande cancello si accede all’area riservata alle tombe più recenti, mentre le sepolture ottocentesche affiancano il viale che conduce al monumentale edificio della camera mortuaria – dedicata alla memoria delle vittime delle deportazioni – allineandosi anche lungo il muro di cinta. Le lapidi più antiche, poche superstiti scampate alla distruzione ordinata dall’Inquisizione nel 1755, sono disseminate in un vasto spazio erboso.

Sulle tombe i visitatori depositano piccoli ciottoli; la pietra nella tradizione biblica ebraica ha un forte valore simbolico: il vocabolo even ( אבן ), che in ebraico significa pietra, si può scomporre nelle parole av e ben,  Padre e Figlio, rappresentando così il senso della continuità attraverso la trasmissione della tradizione. La pietra è quindi legame e memoria, ricordo che si trasforma nel simbolo del passaggio ininterrotto tra generazioni, oltre la morte del singolo individuo.

Anche sulla tomba di Giorgio Bassani, che qui riposa, sono numerosi i ciottoli lasciati da coloro che si sono soffermati davanti al monumento funebre dedicato allo scrittore, opera di Arnaldo Pomodoro: una stele in bronzo sembra erompere dalle profondità della terra, aprendosi un varco nella piattaforma sulla quale è collocata. La superficie della stele è solcata da tanti piccoli segni che richiamano la fitta trama della scrittura, evocando la pagina di un manoscritto che si erge a creare un ideale collegamento fra terra e cielo.

Generalmente nei cimiteri cattolici lapidi, croci, statue e cappelle si affollano contendendosi uno spazio che finisce con l’apparire insufficiente, creando a volte un effetto di horror vacui; qui le aree in cui sorgono tombe di varie epoche si alternano ad ampi prati verdi, dove la sola presenza è quella dei grandi alberi che distendono attorno a sé le lunghe braccia di nodosi rami. E il verde silenzio di questa inattesa vastità sembra popolarsi delle voci e delle presenze di tutti coloro ai quali è stato negato di poter riposare in questa terra, la propria terra, dissolti in polvere e fumo, dispersi nel vento.

E sembrano echeggiare, nel silenzio che tutto avvolge, le parole di Giorgio Bassani, che a questo senso di sperdimento ha dato voce: «E mi si stringeva come non mai il cuore al pensiero che in quella tomba uno solo l’avesse ottenuto, questo riposo. Infatti non vi è stato sepolto che Alberto, il figlio maggiore, morto nel ’42 di un linfogranuloma; mentre Micòl, la figlia secondogenita, e il padre professor Ermanno, e la madre signora Olga, e la signora Regina, la vecchissima madre paralitica della signora Olga, deportati tutti in Germania nell’ autunno del ’43, chissà se hanno trovato una sepoltura qualsiasi». (Giorgio Bassani: Il giardino dei Finzi-Contini).

Didascalie immagini

  1. Il monumentale cancello di accesso al Cimitero Ebraico di Ferrara
    (fonte)
  2. Tombe lungo il viale d’ingresso
    (© Donata Brugioni)
  3. Sulla tomba di Paolo Ravenna, avvocato e studioso della storia ebraica di Ferrara, secondo la tradizione, amici ed estimatori hanno deposto piccoli ciottoli.
    (fonte)
  4. Tombe ottocentesche
    (© Donata Brugioni)
  5. La tomba di Giorgio Bassani (Bologna 1916 – Roma 2000), opera dello scultore Arnaldo Pomodoro
    (fonte)
  6. Altra veduta dell’area dedicata alle tombe ottocentesche
    (© Donata Brugioni)

in prima pagina: 
Tombe lungo il viale d’ingresso
(© Donata Brugioni)
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