“Stavo andando a un appuntamento che non avevo cercato né voluto, e ci stavo andando perché non si sfugge alla propria ombra. Non importa dove stiamo andando, l’ombra di ciò che abbiamo fatto e siamo stati ci perseguita con la tenacia di una maledizione”
(Luis Sepúlveda, La fine della storia)

Nell’ultimo romanzo pubblicato da Luis Sepúlveda, La fine della storia, riappare Juan Belmonte, protagonista di Un nome da torero (Juan Belmonte è stato un famoso torero spagnolo, vissuto nella prima metà del Novecento), l’ex guerrigliero cileno dal pesante passato, che ha attraversato molte e oscure pagine della storia del Novecento e che è forse il personaggio in cui più si rispecchia, e si rivela, il suo autore.

Con la forza che nasce dalla consapevole accettazione delle proprie e delle altrui fragilità, i personaggi di Sepúlveda si muovono su sfondi che sono stati quelli della vita dello scrittore, dalla capitale del Cile, Santiago, dove visse l’esperienza esaltante ed effimera della democrazia accanto a Salvador Allende, come membro delle guardie del corpo del Presidente, fino alla Patagonia, da sempre amata e dove tornerà per un’ultima volta. Nelle acque gelide e tempestose che circondano quel “Mondo alla fine del mondo” saranno disperse le ceneri di Luis Sepúlveda, portato via dal coronavirus il 15 aprile scorso; da oltre venti anni viveva con la moglie, la poetessa Carmen Yáñez, a Gijon, in quella Spagna dalla quale suo nonno, anarchico, era fuggito durante il regime franchista.

La Patagonia è un mondo nel quale lo scrittore ha ambientato alcune tra le sue pagine più intense, che riflettono il suo impegno ecologista con Greenpeace; una partecipazione attiva alle missioni delle “navi ornate dai colori dell’arcobaleno” durata cinque anni – fra il 1982 e il 1987 – e iniziata nel periodo in cui Sepúlveda viveva da esule ad Amburgo. Dichiarerà in un’intervista al Corriere della Sera: «Ho imparato molto dalla generosità dei miei compagni, volontari che sacrificavano le vacanze per prender parte a qualcosa di importante. Ricorderò sempre quando, nel 1982, bloccammo il porto di Yokohama, per impedire l’uscita della flotta baleniera giapponese. Quasi due mesi in acqua. Era freddo, faticoso, e non si mangiava bene a bordo [della nave di Greenpeace]. Ma eravamo convinti che fosse importante. Nessuno ha detto: lascio, non ce la faccio. Finché abbiamo vinto. Non solo la flotta non lasciò il porto, ma nell’84 la Commissione baleniera internazionale dichiarò la moratoria della caccia alle balene».

Dopo aver lasciato il Cile nel 1977, condannato all’ergastolo, commutato in otto anni d’esilio grazie all’intercessione di Amnesty International, partecipa a una spedizione organizzata dall’Unesco in Ecuador per studiare l’impatto della civiltà occidentale sugli Indios Shuar; passa poi in NIcaragua dove si unisce alla brigata internazionale Simón Bolívar a fianco dei combattenti sandinisti, fino alla vittoria finale. L’eco dei lunghi periodi trascorsi nell’area amazzonica compare nel primo romanzo, pubblicato nel 1989, anno del rientro in Cile di Sepúlveda, Il vecchio che leggeva romanzi d’amore. Il protagonista, Antonio José Bolívar, è un colono bianco che ha vissuto nella grande foresta insieme con gli indios Shuar e che si trova in un rapporto contraddittorio con la natura selvaggia, simboleggiata dal tigrillo, diviso com’è tra la paura della gente del villaggio che considera il tigrillo  un pericolo da eliminare a colpi di fucile e gli indios che lo rispettano come una manifestazione della potenza della natura primigenia, al quale si deve un rispetto che impone di affrontarlo ad armi pari, in una lotta corpo a corpo. Come Juan Belmonte, anche il vecchio Bolívar è una figura epica che ritorna, compare infatti anche in uno dei racconti de La lampada di Aladino e altri racconti per vincere l’oblio, dove si affrontano i motivi fondamentali che percorrono l’opera dello scrittore: l’amicizia, la comprensione, l’empatia, il rispetto per la dignità di ciascuno e per la natura che ci circonda.

Numerose sono le raccolte di racconti brevi pubblicate da Sepúlveda, tra cui Le rose di Atacama (titolo originale Historias marginales): trentaquattro storie sul tema del viaggio come opportunità per incontrare e confrontarsi con personaggi che hanno la caratteristica comune di vivere ai margini di una società che li ha respinti. Incontri che avvengono in luoghi estremi, ai margini della Terra, dalla Patagonia alla Norvegia e dalla pampa argentina alla Russia, passando per le prigioni di Pinochet: l’autore, con la sua narrazione fa uscire ciascun personaggio dalla grigia nebbia dell’oblio che l’avvolge, e la sua storia sboccia per un attimo come le minuscole rose “color sangue” che per un unico giorno fioriscono nelle lande inospitali del deserto di Atacama.

Sepúlveda preferiva considerare “destinate a tutti i lettori”, le sue storie “per bambini”, amatissime dal pubblico di ogni età, perché, diceva, “dopo aver letto tantissimi libri per bambini mi sono accorto che si trattava principalmente di letture facili, che non erano scritte per una persona di pochi anni. Un bambino è questo, una persona di pochi anni, ma che si va a sviluppare, che cresce, e bisogna parlargli con rispetto e intelligenza”. A questa serie, iniziata nel 1996 con la Storia di una gabbianella e del gatto che le insegnò a volare, e proseguita con racconti che vedono protagonisti di volta in volta un gatto semicieco accompagnato da un topo che vede per lui, una lumaca, un cane, appartiene anche la Storia di una balena bianca raccontata da lei stessa, presentata nell’ottobre 2018; vi si ribalta la prospettiva del Moby Dick di Melville, dando voce alla maestosa balena bianca, custode dei segreti e dei misteri del popolo Lafkenche, la Gente del Mare. Per l’autore “Dal tempo dei classici la favola è interessante perché dare caratteristiche umane a un animale permette di guardare all’essere umano con una distanza enorme, e questo ti fa capire meglio il comportamento umano, svela qual è il rapporto dell’essere umano con il suo ambiente naturale, con la natura. Per questo è un genere interessante per me”.

Un posto a parte nella produzione di Sepúlveda lo occupa Una sporca storia, diario redatto fra il 2002 e il 2004, con appunti e riflessioni su una serie di argomenti di attualità dell’epoca – dai disastri ecologici alla guerra in Iraq e al terrorismo, da Bush e i suoi alleati europei al processo a Pinochet per crimini contro l’umanità – che testimoniano la grande passione politica, civile e umana dello scrittore, mantenutasi inalterata attraverso i decenni. Scorre davanti agli occhi del lettore una folla di personaggi, individuati con pochi tratti che ne colgono nel bene e nel male il valore e lo spessore umano, tra i quali spiccano alcune figure di amici – reduci e scomparsi – testimoni di un passato fatto di lotta e d’ideali condivisi.

Un bilancio in cui la capacità d’indignarsi, sopravvissuta intatta nonostante tutto, porta i conti in attivo: “Ho perso un paese e non mi importa, la mia giovinezza è passata fugace fra la lotta, il carcere e l’esilio, ma il saldo finale mi riempie di orgoglio”; e nella breve nota di Non è vero, Manolo, scritta nel 2003 alla scomparsa del grande scrittore catalano Manuel Vázquez Montalbán, è racchiusa forse la chiave di una militanza durata tutta la vita: “Pochi uomini sono capaci di capire che il prestigio guadagnato con fatica e talento è anche un sanpietrino delle necessarie barricate”.

Didascalie immagini

  1. Copertina del romanzo La fine della storia
  2. Luis Sepúlveda negli anni Ottanta a bordo di una nave di Greenpeace
    (fonte)
  3. Pescherecci a Puerto Hambre presso Punta Arenas,  capoluogo della Regione di Magellano e dell’Antartide Cilena
    (foto © Vanna Brugioni)
  4. Nel deserto di Atacama
    (foto © Vanna Brugioni)
  5. Nel deserto di Atacama
    (foto © Vanna Brugioni)
  6. Pinguini nel Canale di Beagle, Terra del Fuoco (Cile)
    (foto © Vanna Brugioni)
  7. La baia di Puerto Natales, capoluogo della provincia di Última Esperanza, nella Regione di Magellano e dell’Antartide Cilena
    (foto © Donata Brugioni)

in prima pagina:
La baia di Puerto Natales, capoluogo della provincia di Última Esperanza, nella Regione di Magellano e dell’Antartide Cilena
(foto © Donata Brugioni)
[particolare]