«A tutti voi Mercanti di qualsivoglia Nazione, Levantini, Ponentini, Spagnuoli, Portughesi, Grechi, Tedeschi, Italiani, Ebrei, Turchi, Mori, Armeni, Persiani, ed altri concediamo reale, libero e amplissimo salvacondotto e libera facoltà e licenza che possiate venire stare, trafficare, passare, abitare con le famiglie, e senza partire, tornare e negoziare nella città di Pisa e terra di Livorno».
(Ferdinando I de’ Medici, Proclamazione della Costituzione Livornina, 10 giugno 1593)
La cosiddetta Costituzione Livornina (o Leggi Livornine) veniva a seguito di una serie di provvedimenti che dal 1590 erano stati emanati dal Granduca di Toscana Ferdinando I per incrementare la popolazione di Livorno, e che non rappresentavano una novità, poiché già nel 1548 il suo predecessore Cosimo I aveva garantito protezione dall’Inquisizione agli ebrei che avessero stabilito la loro residenza e le loro attività a Livorno. Le Leggi Livornine estendevano questi principi: garantivano libertà di culto, di professione religiosa e politica, annullamento dei debiti e di altre condanne per almeno venticinque anni, istituivano un regime doganale a vantaggio delle merci destinate all’esportazione ed assicuravano la libertà di esercitare un qualsiasi mestiere, a condizione che gli interessati mantenessero una casa a Pisa o a Livorno.
Queste leggi ebbero l’effetto di fare di Livorno una città cosmopolita, multietnica e multireligiosa, la “città delle Nazioni”, come venne definita: vi furono costruiti nel corso degli anni numerosi edifici di culto a cura degli appartenenti alle varie comunità presenti in città, ebrei, armeni, greci, olandesi ed inglesi; dalla fine del XVI secolo ebbe sede a Livorno una base della Marina inglese e risale a quell’epoca l’istituzione del primo (e per molto tempo unico) cimitero protestante d’Italia. Inoltre, numerosi mercanti stranieri stabilitisi a Livorno legarono il proprio nome alla realizzazione di opere di pubblica utilità e alla costruzione di palazzi e ville. Unico nell’Europa dell’epoca, lo status della comunità ebraica, che non era confinata in un ghetto ma risiedeva non lontano dal duomo, in un quartiere che aveva al centro una grande e ricca sinagoga, edificata nel 1603.
Dagli inizi del XVII secolo, i cattolici provenienti da altri paesi si ritrovavano nella chiesa della Madonna, dove quattro altari erano destinati ai fedeli che seguivano le celebrazioni secondo i riti delle diverse Chiese. La chiesa della Madonna, affacciata sull’omonima via, fu nel tempo affiancata dalla chiesa greca di rito bizantino e da quella armena, divenendo il punto di riferimento delle comunità greca, olandese-alemanna, francese, portoghese, corsa e armena.
Livorno rappresentò uno straordinario esempio di convivenza tra culti e culture, che non trovava riscontro in nessun altro luogo. Le comunità di mercanti stranieri presenti in città assusero il nome di “Nazioni”: ciascuna di esse era dotata di propri statuti interni e di un proprio rappresentante, il console, che teneva i contatti con le autorità del governo mediceo; questa presenza vivace e cosmopolita, insieme con l’istituzione del porto franco, contribuì a fare di Livorno uno dei più importanti centri di scambio per il commercio marittimo del Mediterraneo e uno straordinario laboratorio di convivenza e contaminazione fra culture diverse.
Si deve al Granduca Ferdinando I la realizzazione dell’attuale Darsena Vecchia: secondo le cronache dell’epoca i lavori furono terminati in soli cinque giorni, impiegando nell’impresa cinquemila uomini; veniva inoltre rialzato il palazzotto destinato al Granduca all’interno della Fortezza Vecchia, situato sul bastione della Canaviglia e dal quale si poteva sorvegliare tutto il traffico marittimo in entrata e in uscita dal porto. Alla sua base veniva ormeggiata una delle galee capitane dei Cavalieri di Santo Stefano, l’ordine militare al quale era affidato il comando della flotta impegnata a contrastare le frequenti scorrerie dei pirati barbareschi lungo le coste del Tirreno e nell’Arcipelago Toscano. All’architetto Bernardo Buontalenti, che sovrintendeva alla realizzazione delle nuove strutture portuali, fu affidato l’incarico di una pianificazione urbanistica che integrasse e razionalizzasse l’impianto di origine medievale della città.
Ben presto fu necessario ampliare il nucleo urbano che Buontalenti aveva riconfigurato in forma pentagonale, e nella prima metà del XVII secolo si dette inizio alla realizzazione di un nuovo quartiere a vocazione mercantile, collegato col porto attraverso una serie di canali navigabili affiancati da edifici che comprendevano magazzini affacciati sull’acqua e abitazioni ai piani superiori. L’architetto incaricato dell’opera – il senese Giovanni Battista Santi – chiamò a Livorno dalla laguna veneta maestranze che avevano le competenze tecniche e la pratica necessaria per edificare strutture con le fondamenta immerse nell’acqua; la provenienza della manodopera impiegata e l’aspetto generale del quartiere, in cui le vie d’acqua svolgevano un ruolo fondamentale, dettero origine al nome di “Venezia Nuova”, che si è tramandato nella versione semplificata “La Venezia”.
Della Venezia e del suo fascino particolare si deve a Curzio Malaparte una poetica descrizione in Maledetti Toscani: “Le case altissime, dalle facciate tinte di un intonaco biondo, dove il rosa e il verde si confondono, splendono al sole con riflessi d’oro e di verderame, come l’acqua dei canali sparsa di chiazze d’olio. Le persiane hanno il colore delle foglie secche, son pallide e polverose. Un senso di nobiltà un po’ stanca, di libertà popolaresca, è nell’architettura aperta e liscia di queste case, le più belle del Mediterraneo”.
I canali della Venezia, che i livornesi chiamano familiarmente “i fossi”, furono teatro nel 1984 di una clamorosa beffa, quella delle “teste di Modigliani”; realizzate con l’uso di un banale trapano da tre studenti universitari furono buttate nottetempo nel Fosso Mediceo, dove si stavano svolgendo le ricerche di fantomatiche teste scolpite che si diceva fossero state gettate nel 1909 da Modigliani stesso, insoddisfatto dei risultati ottenuti. Gli storici dell’arte e la stampa di tutto il mondo si scatenarono davanti a uno scoop così clamoroso, finché gli studenti si assunsero la responsabilità dell’opera ripetendo l’impresa davanti alle telecamere.
Il trentesimo anniversario di questa beffa di risonanza mondiale è stato ufficialmente celebrato nel 2014, quando le teste furono esposte nella Fortezza Vecchia in occasione di “Effetto Venezia”, la manifestazione che anima le notti livornesi nel periodo estivo. Lo spirito labronico, irridente, beffardo e dissacratore, che ha il suo “organo ufficiale” nel Vernacoliere – «mensile di satira, umorismo e mancanza di rispetto in vernacolo livornese e in italiano», come dichiarato sotto la testata – fa da sottofondo anche agli eventi di “Effetto Venezia”: iniziata nell’estate del 1986, in sordina e con pochi mezzi, nell’intento di risollevare un quartiere degradato, “Effetto Venezia” è arrivata lo scorso anno a vedere la partecipazione di oltre duecentomila persone, attirate da un cartellone ricco di eventi culturali e spettacoli.
Quest’anno, dopo molte incertezze sulla possibilità di organizzare quella che è divenuta nel tempo la manifestazione-simbolo della città, si è deciso di tenere la kermesse negli ultimi due fine settimana di agosto, dal 21 al 23 e dal 28 al 30: il titolo scelto, “Effetto Venezia e dintorni”, sta a indicare che gli eventi si terranno in più quartieri, da piazza Garibaldi a piazza della Repubblica e piazza XX Settembre fino a tutta la Venezia, le Fortezze e i fossi, in modo da non concentrare la folla in un’area ristretta, nel pieno rispetto delle norme anti Covid 19.
Didascalie immagini
- Frontespizio della “Costituzione Livornina” promulgata nel 1593 dal granduca Ferdinando I di Toscana
(fonte) - La Sinagoga di Livorno nel XIX secolo
(fonte) - Via della Madonna: Chiesa armena e chiesa della Madonna / Interno della chiesa dei Greci Uniti (SS. Annunziata)
(© Donata Brugioni) - Veduta della Fortezza Vecchia dai “fossi” / Il palazzotto granducale sul bastione della Canaviglia; la testa di leone in marmo è una copia di quella in bronzo, opera dello scultore Pietro Tacca (oggi nell’ingresso del Palazzo Granducale insieme con la gemella che ornava il bastione dell’Ampolletta), alla quale veniva ormeggiata una delle galee capitane dei Cavalieri di Santo Stefano.
(© Donata Brugioni) - Livorno in una mappa del XVII secolo
(fonte) - Uno dei ponti sui “fossi” della Venezia, sullo sfondo la Fortezza Nuova; i palazzi della Venezia visti dai fossi
(© Donata Brugioni) - La chiesa di Santa Caterina dagli Scali del Refugio; costeggiando la Fortezza Nuova
(© Donata Brugioni) - Le tre teste “di Modigliani”
(fonte) - Veduta notturna in occasione di una passata edizione di “Effetto Venezia”
(fonte)
in prima pagina:
Veduta della Fortezza Vecchia dai “fossi”
(© Donata Brugioni)