“E’ la donna giovane di venti anni, à fatto si fatta portatura ch’el’à nome, dicho buona donna chome fose mai in Firenze … Questo vi dicho perch’io soe bene quello ch’i’ òe fatto”. Così scriveva il grande mercante pratese Francesco di Marco Datini (Prato, 1335? – 16 agosto 1410) da Avignone alla sua balia, Monna Piera, nell’agosto 1376 per annunciarle di avere scelto la futura sposa, mostrando l’evidente preoccupazione di rendere bene accetta a quella che era stata la sua vice madre la notizia di una decisione così importante; una decisione presa quando ormai Francesco aveva raggiunto la quarantina, all’epoca un’età ragguardevole, già oltre il “mezzo del cammin di nostra vita” che Dante Alighieri collocava ai trentacinque anni. Margherita non portava con sé alcuna dote; figlia di un mercante fiorentino, Domenico Bandini, giustiziato perché sospetto di aver ordito una congiura contro la patria a favore di un signorotto di fuori, si trovava con la famiglia ad Avignone dove la madre viveva dell’ospitalità di alcuni parenti che risiedevano nella città provenzale, importante emporio commerciale e all’epoca sede del Papato.
Il matrimonio fu lussuoso, come si conveniva al rango dello sposo: Francesco di Marco si era trasferito ad Avignone ormai da molti anni e qui aveva la sede centrale della propria attività mercantile, con una rete commerciale che spaziava dalla Francia a tutto il bacino del Mediterraneo e dalle Fiandre all’Inghilterra. Le spese per le nozze, interamente sostenute da Francesco, sono documentate dettagliatamente nell’archivio Datini: una mole enorme di lettere e registri contabili – ritrovata nell’Ottocento in una stanza segreta del palazzo che Datini si fece costruire nella sua città natale – che offre un panorama unico sulla vita e gli affari di un mercante nella seconda metà del XIV secolo.
Dei centocinquantamila documenti contenuti nell’archivio fa parte anche il carteggio privato di Francesco di Marco: vi spicca il quadro di vita familiare tracciato nelle oltre duecentocinquanta lettere che si scambiarono Francesco e la moglie Margherita durante le lunghe assenze del mercante da Prato. Infatti, quando nel 1378 la sede del papato fu riportata a Roma, Datini rimase ad Avignone per altri quattro anni, poi affidò la compagnia locale a due soci e rientrò a Prato. Qui e a Firenze Francesco di Marco stabilì ben presto numerose amicizie: da quella, celebre, con il notaio Ser Lapo Mazzei, di cui resta l’ampio carteggio, a quella con le principali famiglie fiorentine, Medici, Tornabuoni, Pazzi, Guicciardini, alle quali fu unito da stretti legami personali e di affari. Determinante fu il ruolo di Margherita nel coltivare queste relazioni, preziose per gli interessi e la posizione sociale del marito, così spesso e così a lungo lontano.
A Prato il Datini dette inizio alla costruzione di un palazzo per il quale, seguendo i desideri di Margherita, commissionò arredi di pregio, tavole dipinte, specchi e altre suppellettili. Fra il 1387 e il 1390 l’edificio a un piano venne rialzato, e fu dotato di un cortile con loggia e pozzo. Nell’immobile che fronteggiava l’ingresso, oltre a una casa con loggiato dipinto e a un fondaco per la mercanzia, fu realizzato un bellissimo giardino con tabernacolo sull’angolo, “pieno di melaranzi e rose e viole e altri begli fiori”, di cui lo stesso Datini ebbe a dire: “Costa p(i)ùe di fiorini 600: ch’è istata una grande folìa: sarebe meglio ad avergli messi in uno podere”. Attualmente il Palazzo Datini ospita oltre all’Archivio Datini anche l’Archivio di Stato di Prato.
La ristrutturazione comprese anche la decorazione pittorica degli ambienti (in gran parte ancora visibile e accuratamente restaurata in tempi recenti) affidata a Niccolò di Piero Gerini, al quale si deve anche il San Cristoforo nell’ingresso. Il palazzo divenne una dimora prestigiosa, più volte utilizzata non solo dallo stesso Datini, ma anche dal Comune di Prato per ospitare le personalità più importanti che sostavano in città, tra le quali Francesco Gonzaga, Leonardo Dandolo, ambasciatore di Venezia, e il re Luigi II d’Angiò; il re concesse a Francesco il privilegio di fregiarsi del giglio di Francia, che compare come elemento decorativo sui soffitti delle stanze a piano terreno.
Francesco risiedette a Prato in modo saltuario, impegnato com’era a seguire direttamente le aziende di Pisa e poi di Firenze, dove si trasferì nel 1394, prendendovi la cittadinanza per ragioni di opportunità fiscale. Alla gestione della dimora pratese sovrintendeva Margherita, che si prendeva attenta cura degli interessi del marito, come risulta dall’intenso scambio di corrispondenza. Francesco scriveva frequentissime lettere alla moglie, rivolgendole consigli e frasi d’incoraggiamento, e dimostrando nei suoi confronti fiducia e stima. Le lettere di Margherita rappresentano un documento prezioso, forse unico, della mentalità e della vita di una donna di rango del XIV secolo. All’inizio avevano un tono più ufficiale e trattavano argomenti di vita pratica, perché Margherita era analfabeta e dettava a un segretario; poi, non solo imparò a leggere e scrivere per poter comunicare in modo più intimo e personale con il marito, ma le lettere testimoniano una sua sempre maggiore padronanza delle tecniche contabili e la consapevolezza di un ruolo fondamentale di supporto per gli affari del marito, fino ad affermare che non esiste al mondo “niuno che sapi più di me in bene e che ghuardi melglo l’onore tuo che farò io”.
Margherita manifesta apertamente e in modo semplice e diretto le sue preoccupazioni, i suoi sentimenti e i suoi problemi; ne emerge il ritratto di una donna vivace e intelligente, che sa il fatto suo e gestisce abilmente i dipendenti, tenendo testa al marito senza timore di esprimere i propri giudizi, anche negativi. La lettera esposta nella casa-museo di palazzo Datini è un esempio illuminante del rapporto tra i due coniugi e della personalità di Margherita: “Se avessi detto cosa che vi è dispiaciuta, vi prego di perdonarmi: il grande amore me lo fa dire…queste sono cose dure da sopportare e per questo vivo con malinconia, perché non ti sento tranquillo come vorrei…Io mi sono accorta che mi prendi in giro in ogni lettera, ma mi piace. Delle tue malinconie sento il peso e mi rincresce: non mi ci posso abituare. Se noi pensassimo alla morte a quanto poco ci s’ha da stare a questo mondo, non ci daremmo tante pene per quante ce ne diamo… Io avrei voglia di sapere se tu dormi solo o no; se non dormi solo, avrei caro di sapere chi dorme con te…Del sorvegliare bene e serrare bene l’uscio non devi avere pensiero: lo farò e così andrà bene. Godete e passate bene il tempo sia per l’anima sia per il corpo, perché non ci porteremo dietro niente. Il bene e il male che noi abbiamo in questo mondo ce lo facciamo noi stessi” .
Margherita non poteva avere figli, mentre Francesco ne ebbe numerosi da varie donne. Era figlia di Francesco e di una schiava di casa Ginevra, che Margherita acconsentì ad adottare e per la quale organizzò nel 1407 un matrimonio sontuoso. Francesco stava invecchiando, e Margherita si preoccupava per lui, esortandolo a non “affannarsi a lavorare e a guadagnare che divora l’anima e il corpo, che rende inutile e vuoto il tempo della vita…”. Francesco Datini morì il 16 agosto 1410 e fu sepolto nella chiesa pratese di San Francesco, dove la sua lastra tombale è ancora oggi visibile al centro del pavimento.
Tra gli esecutori testamentari aveva voluto includere Margherita, a dimostrazione della “grande fidanza” che nutriva nei suoi confronti. Il testamento disponeva l’istituzione del “Ceppo dei poveri di Francesco di Marco”, che Datini lasciò erede dei suoi beni, valutati in oltre centomila fiorini d’oro, compreso il palazzo pratese – ancora oggi sede dell’ente di beneficenza, l’attuale Casa Pia dei Ceppi. Una parte del patrimonio fu inoltre destinata alla creazione e al mantenimento a Firenze di un ospedale per i fanciulli abbandonati, costituendo il nucleo iniziale di quello che sarebbe divenuto l’Ospedale degli Innocenti. Dopo la morte del marito, Margherita si fece terziaria domenicana e si trasferì a Firenze, dove visse altri tredici anni con la figlia e la sua famiglia e dove fu sepolta nella basilica di Santa Maria Novella. Aveva scritto in una lettera a Francesco: “Noi istaremo meglio insieme che l’uno qua e l’altro costà”, ma il suo desiderio di essere tumulata accanto al marito e poter stare finalmente e definitivamente vicini, non venne rispettato.
Didascalie immagini
- Niccolò di Pietro Gerini: La Trinità con tre membri della famiglia Datini – Roma, Musei Capitolini
(particolare della figura di Margherita)
(fonte) - Palazzo Datini (via Ser Lapo Mazzei, 43 – Prato);
il piano terreno è oggi un museo dedicato alla figura di Francesco Datini e alle sue attività
(foto © Donata Brugioni) - Niccolò di Pietro Gerini: San Cristoforo, pittura murale nel’ingresso di Palazzo Datini
(foto © Donata Brugioni) - Bottega di Niccolò di Pietro Gerini: Uomini illustri (pittura murale staccata ed esposta in una delle sale a piano terreno di Palazzo Datini)
(foto © Donata Brugioni) - Bottega di Niccolò di Pietro Gerini: decorazione di una camera a piano terreno di Palazzo Datini, con i gigli di Francia sul soffitto e gli stemmi di Francesco e Margherita
(foto © Donata Brugioni) - Pannello con la riproduzione della lettera di Margherita citata in questo articolo, esposta a Palazzo Datini
(© Donata Brugioni) - Fra’ Filippo Lippi: Madonna del Ceppo – Prato, Museo Civico. In basso a sinistra Francesco Datini con un gruppo di orfanelli (fonte)
- Ludovico Buti: Ritratto di Francesco Datini – Prato, Museo Civico Il ritratto fu commissionato a Ludovico Buti (1555-1611) nell’ottobre del 1588 dalla Confraternita dei Ceppi, l’istituzione benefica fondata dal mercante pratese. (fonte)
IN COPERTINA
Giovanni di Ser Giovanni detto Lo Scheggia: Cassone Adimari (scena nuziale) – Firenze, Galleria dell’Accademia
(fonte)