Dopo il successo del concerto del 26 settembre 2020 – che vide in programma la Sinfonia n° 3 in la minore op. 56, Scozzese di Felix Mendelssohn-Bartholdy e la Sinfonia n° 8 in sol maggiore op. 88 di Antonín Dvořák – e il successivo concerto registrato a porte chiuse nel marzo scorso, Sir John Eliot Gardiner, è tornato a dirigere l’Orchestra del Maggio Musicale Fiorentino.

Il vasto repertorio del direttore inglese è molto legato alla musica rinascimentale e barocca tanto da esserne una delle maggiori bacchette, ma, la sua arte interpretativa, arriva al Ventesimo secolo permettendogli di mettere in locandina un sostanzioso programma: La strega di mezzogiorno, op. 108 e la Sinfonia n° 5 in fa maggiore op. 76, entrambe di Antonín Dvořák e, tra le due composizioni del compositore ceco frequentemente esplorato, la Sinfonia n° 2 in si bemolle maggiore D 125 di Franz Schubert.
Il M° Gardiner sarà di nuovo sul podio del Teatro del Maggio venerdì 19 novembre per la prima delle sei recite di Falstaff di Giuseppe Verdi, per la regia di Sven-Eric Bechtolf.

Passando al programma ascoltato giovedì 21 ottobre, dopo il rientro in patria dagli Stati Uniti, Antonín Dvořák decise di dedicarsi al poema sinfonico realizzando, tra il 1896 e il 1897, quattro composizioni (L’arcolaio d’oro, Lo spirito delle acque, La strega di mezzogiorno e La colomba del bosco) ispirate alle ballate popolari dello scrittore boemo Karel Jaromír Erben.
La strega di mezzogiorno racconta una storia macabra dove, la protagonista, è una madre che rimprovera il figlio capriccioso invocando l’arrivo della strega Polednice che rapisce i bambini. La minaccia si trasforma in realtà quando, sulla porta di casa, si materializza la vecchia strega pronta a portare via il piccolo. La madre, disperata, per proteggerlo, lo stringe tra le braccia con foga da soffocarlo involontariamente.
Nella trasposizione musicale di questa ballata dalle tinte noir, Dvořák impiega soluzioni orchestrali di particolare efficacia e fascino sonoro: dai capricci del bambino lagnoso intonati a più riprese dall’oboe, all’apparizione inquietante della strega sottolineata dal timbro cupo del clarinetto basso sull’accompagnamento misterioso degli archi, fino alla danza frenetica della strega il cui tema beffardo torna a siglare sinistramente la composizione.

Se è indubbio che le prime sinfonie composte da Franz Schubert, tra i sedici e i diciotto anni, siano ascrivibili a un esercizio di apprendistato maturato nell’alveo del classicismo viennese, è pur vero che in esse sia già riscontrabile una sensibilità sinfonica originale e personalissima.
Ne è esempio la Sinfonia n° 2 in si bemolle maggiore che impegna Schubert tra la fine del 1814 e i primi mesi del 1815 per ben quindici settimane, un tempo lunghissimo se paragonato alle repentine gestazioni della Prima e della Terza, nate in pochi giorni.
La struttura scelta è la consueta: un Adagio introduttivo seguito da un Allegro in forma-sonata, un Andante, qui in forma di tema con variazioni, un Minuetto in stile settecentesco e un Presto finale.
Se da un lato Schubert si mostra rispettoso delle convenzioni classiche – nei movimenti centrali specialmente – dall’altro manifesta intraprendenza e voglia di sperimentare in campo armonico e formale, attraverso le modulazioni originali e inaspettate del primo tempo e i marcati contrasti dinamici e timbrici di matrice beethoveniana nell’ultimo movimento.

Durante l’estate del 1875 Dvořák si dedicò alla composizione della Sinfonia n° 5 in fa maggiore, pubblicata dall’editore Simrock con il numero d’opera 76. Al compositore furono sufficienti poche settimane di lavoro per creare quella nuova sinfonia che fin dal debutto – il 25 marzo 1879 a Praga – si guadagnò l’appellativo di ‘Pastorale’ per via dei toni leggiadri e sereni che la caratterizzano. Non a caso è un motivo bonario, che assume poi le sembianze di allegra fanfara, ad aprire il primo movimento – Allegro ma non troppo – accompagnato da un secondo motivo, di stampo bucolico, intonato dagli archi.

Molta era l’attesa per questo concerto e, sin dalla sua entrata, il Maestro è stato accolto da calorosi applausi.
Poi, come d’incanto, la musica è diventata immediatamente protagonista e, sempre in crescendo, ha raggiunto momenti memorabili.
In sala il silenzio assoluto (senza scartocciamenti di caramelle e senza colpi di tosse), un pubblico completamente rapito dalla perfezione dell’esecuzione anche per l’Orchestra del Teatro del Maggio Musicale Fiorentino in splendida forma.
Come un condottiero con il suo esercito, i gesti eleganti di Gardiner hanno esaltato i perfetti attacchi orchestrali, un lavoro di cesello che ha permesso la percezione del singolo strumento.
Inevitabile, alla fine, la standing ovation e applausi prolungati per trattenerlo.
Un consenso unanime, infatti, difficilmente durante l’intervallo si ascoltano nel foyer solo elogi per questa bacchetta, concedetemelo, che definirei patrimonio dell’umanità.