Stille Nacht!”, notte silenziosa. Ad un siciliano come me (ma forse non solo), così abituato a collegare il sole caldo al frastuono ispano-moresco della mia cultura, un paesaggio innevato comunica inevitabilmente un senso di pace e silenzio; nonostante possibili e verosimili scenari di campanelli risuonanti sulle slitte e fragorose bande di ottoni bavaresi, questo bianco inverno restituisce comunque un che di attutito e soffice.

È proprio in questa atmosfera che nel 1818 nasce (sarebbe il caso di dire “vede la luce” per rimanere nel clima dell’Avvento?) uno dei canti natalizi più famosi al mondo: Stille Nacht. Il testo della piccola carola è opera del sacerdote Joseph Mohr, all’epoca parroco ausiliario del piccolo paesino di Oberndorf; la musica del modesto organista Franz Xaver Gruber.  Nonostante l’umile origine il brano ha raggiunto una diffusione e un successo planetario; tradotto in più di 140 lingue ha raccolto attorno a sé diverse leggende. Forse per limitarne l’assillante esecuzione (oltre che per un profondo senso della tradizione), ad esempio, ai bambini bavaresi viene insegnato che cantare Stille Nacht in giorni diversi dal 24 dicembre provoca la morte di qualcuno.

Come spesso accade, il segreto del successo di questo canto è da ricercarsi nella sua semplicità. Composto per due voci maschili, coro e chitarra, il brano riesce a mantenere una profonda aderenza fra testo e musica: i valori di durata ampi, la melodia distesa e lirica restituiscono quasi drammaturgicamente l’ambientazione notturna e silenziosa raccontata dai versi. Il metro ternario, poi, culla come in una tenera ninna nanna alla quale, atavicamente, ben pochi resistono.
Eppure quest’intuizione artistica di profonda semplicità, così serena e pacifica, fa da contraltare ad una condizione storico-sociale complessa e difficile. La fine dell’epoca napoleonica, oltre al numero di caduti delle guerre recenti, vede la regione di Salisburgo (dove si trova Oberndorf) funestata dalla Restaurazione che nel 1816 la divide assegnata una parte alla Baviera e una all’Impero austriaco. Sempre nel 1816 l’Austria vive una drammatica carestia dovuta ad una primavera eccezionalmente fredda; la causa è l’esplosione dell’indonesiano vulcano Tambora che crea una nube di fumo che turba l’ecosistema terrestre fino ai lontani paesi del nord Europa. Si può dunque comprendere facilmente come Mohr raccolga, da buon interprete della propria comunità, nella stesura della sua poesia il bisogno di pace e tranquillità di una popolazione frustrata da violente disgrazie.

Lo stesso bisogno di serenità continua a pervadere – ancora nell’anno che apre i festeggiamenti per il bicentenario di Stille Nacht – i cuori degli uomini, dalle situazioni più quotidiane a quelle più universali; eppure sembra che una qualche condizione ontologica impedisca il raggiungimento di questa pacificazione interiore. Il Novecento avrebbe molto da dire a riguardo; qui ci limitiamo a notare che con una fulgida illuminazione il traduttore italiano del piccolo cammeo musicale austriaco, Angelo Meli, invoca, come conditio sine qua non per ottenere la pace dei cuori, l’illuminazione delle menti.

Dettagli

Didascalie immagini

  1. La partitura autografa originale di Stille Nacht
  2. Il reverendo Joseph Mohr
  3. Franz Xavier Gruber

IN COPERTINA
La partitura autografa originale di Stille Nacht
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