E’ palpabile l’attesa per il concerto di mercoledì prossimo (repliche giovedì 12 e sabato 14 ottobre, tre date col tutto esaurito da tempo) con in cartellone – dopo la Sinfonia n. 38 in re magg. K 504 “Pragaˮ di Wolfgang Amadeus Mozart – la Turangalîla-Symphonie per pianoforte, onde Martenot e orchestra di Olivier Messiaen con la direzione di Zubin Mehta e Yuja Wang (pianoforte) e Cécile Lartigau (onde Martenot).
Nella sua carriera, l’attenzione di Zubin Mehta alla musica del presente, è stata una presenza costante fin dagli anni in cui, allievo di Hans Swarovsky insieme a Claudio Abbado nella capitale austriaca, il giovane maestro indiano era stato tra i protagonisti della rinascita esecutiva della Seconda Scuola di Vienna.
Il rapporto con Schönberg ha avuto un’importante diramazione italiana nella musica di Luigi Nono, genero del compositore. Non a caso tra i progetti di Mehta alla Scala prima della pandemia c’erano in successione Die Fledermaus di Johann Strauss e Intolleranza di Nono, testimonianza di un’apertura che nasce dall’esperienza di vita, dall’essere cresciuti in una koiné in cui la più alta delle tradizioni e le novità più sapienti e audaci forse confliggevano, ma fiorivano entrambe.
L’importanza di Mehta, interprete della musica del secondo Novecento, si radica in questa esperienza e nel rapporto diretto con i compositori. Così, tornando dopo diversi anni a una cattedrale musicale come Turangalîla, Mehta per la prima volta non ritrova al pianoforte Yvonne Loriod, la moglie del compositore. Commissionata da Serge Koussevitzky nell’immediato Dopoguerra, in anni in cui la Boston Symphony si imponeva tra i laboratori più fervidi ed entusiasmanti in un panorama di rinascita culturale, la Turangalîla (il nome è derivato dal sanscrito e può significare, come spiegava l’autore, “canto d’amore, inno alla gioia, tempo, movimento, ritmo, vita e morte”) viene eseguita nel 1949 con Leonard Bernstein sul podio e appunto la Loriod al pianoforte.
Mehta, che ha diretto la Sinfonia per la prima volta a New York e poi a Los Angeles, a Monaco, in Israele, a Firenze e Salisburgo, ricorda che le sue indicazioni sull’interpretazione furono più utili di quelle dello stesso compositore, che aveva previsto dei metronomi fin troppo sostenuti. Il maestro racconta come Turangalîla, densa di riferimenti alle culture musicali d’Oriente, convincesse piuttosto il pubblico di Los Angeles che quello di New York.
In Israele Messiaen era presente alle prove e i musicisti, senza avvertire il maestro, gli chiesero di abbreviare la colossale sinfonia omettendo due movimenti. Il concerto, come alla Scala, prevedeva una sinfonia di Mozart in apertura e il compositore fu categorico: “Se volete, tagliate Mozart!”.
Nel complesso tuttavia Turangalîla si è affermata nei programmi come occasione rara e preziosa. La prima milanese risale al 1982, con l’Orchestra della Scala diretta da Hubert Soudant con Pierre-Laurent Aimard al pianoforte, mentre nel 1993 Riccardo Chailly la propone con Jean-Yves Thibaudet. Titolo insolito nei programmi dei Wiener Philharmoniker, è tornato proprio con Yuja Wang diretta Esa-Pekka Salonen nel 2022; formidabile virtuosa, ma sempre più autorevole interprete, la Wang ha ritrovato Zubin Mehta quest’anno con un memorabile Terzo di Rachmaninov al Festival di Verbier.
Purtroppo, mercoledì scorso, la notizia che il maestro Zubin Mehta è stato costretto a rinunciare per malattia e, augurandogli una breve convalescenza, vedremo sul podio Simone Young che ha accettato di sostituirlo. La maestra australiana ha diretto Turangalîla-Symphonie di Messiaen in maggio con i Berliner Philharmoniker ed è attualmente impegnata, sempre al Piermarini, nelle prove di Peter Grimes di Benjamin Britten che andrà in scena dal 18 ottobre con la regia di Robert Carsen.