Alle ore 11:00, nel Ridotto dei Palchi del Teatro alla Scala – nel cartellone della “Musica da camera 2021~2022” – i violini Evgenia Staneva e Alexia Tiberghien, le viole Carlo Barato e Francesco Lattuada con il violoncello di Simone Groppo eseguiranno:
- Alessandro Rolla
Quintetto concertante in re magg. BI 426 - Wolfgang Amadeus Mozart
Quintetto n. 6 in mi bem. magg. K 614 - Ludwig van Beethoven
Quintetto per archi in do magg. op. 29 “Tempesta”
Come spiega Cesare Fertonani nel programma di sala, la storia del quintetto, già dal Settecento “s’intreccia con quella del quartetto. Attraverso l’aggiunta di una seconda viola oppure di un secondo violoncello (come accade in Boccherini e poi nel sublime Quintetto D 956 di Schubert), il quintetto appare innanzi tutto un’estensione del quartetto, che offre un’ampia gamma di opzioni di arricchimento timbrico e dischiude prospettive volte da un lato a differenziare e a cesellare dall’interno lo spazio sonoro delle coordinate cameristiche attraverso sottigliezze e sfumature e dall’altro a proiettarlo in una dimensione virtualmente orchestrale.

Quest’ultima prospettiva è evidente nel Quintetto BI 426 di Alessandro Rolla, nella cui variegata produzione si coglie una sintesi fra la tradizione della musica strumentale italiana e quella dello stile classico da Haydn a Beethoven. Pubblicato nel 1815, il Quintetto BI 426 è del resto una trascrizione della Sinfonia BI 531 e in quanto tale – come d’abitudine in Rolla – ha la forma concisa dell’ouverture d’opera italiana: un unico movimento mosso di sonata preceduto da un’introduzione lenta. L’aspetto concertante della scrittura si coglie nella brillantezza e nel rilievo solistico assunto a turno dagli strumenti, in particolare dal primo violino nella sezione centrale.
Il contributo di Mozart alla storia del genere è decisivo. I suoi sei quintetti per archi sono i primi concepiti nel formato classico in quattro movimenti, analogo a quello del quartetto, e soprattutto sono i primi a sviluppare pienamente le differenziate risorse di tessitura offerte dall’organico, come il raggruppamento degli strumenti sulla base del registro acuto o grave e il trattamento polifonico (da ricondurre al rinnovato interesse per il contrappunto nella fase conclusiva della produzione di Mozart).
Datato 12 aprile 1791, il Quintetto KV 614 chiude la serie e risale all’ultimo, straordinario anno del compositore, che comprende anche il Concerto per pianoforte KV 595, Die Zauberflöte, il Concerto per clarinetto KV 622 e il torso del Requiem KV 626.
La partitura, che dunque è l’ultimo quintetto e al contempo l’ultimo capolavoro cameristico, manifesta tutto l’incanto, la luminosità soffusa e la raffinatezza di fattura dello stile tardo di Mozart. Aperto da segnali di caccia, il movimento iniziale ricorda l’atmosfera di una musica en plein air. Si delinea una sorta di contesa tra il primo violino, che attacca con un motivo discendente destinato ad avere un ruolo importante nel prosieguo del lavoro, e il resto del complesso; contesa risolta soltanto nella coda.
Il secondo movimento è un tema con variazioni che incorpora tratti di rondò e soprattutto di sonata, per cui alla magica semplicità del tema fa riscontro la prismatica complessità della struttura formale. Il Minuetto, che trae spunto dal motivo discendente del movimento iniziale, è connotato dall’imitazione in canone, mentre il Trio è un Ländler di tono popolareggiante. Il contrappunto s’impone anche nel finale, anch’esso avviato dal motivo discendente del primo movimento, poiché la parte centrale di sviluppo include una maestosa doppia fuga.

L’op. 29 è l’unico quintetto originale per archi scritto da Beethoven. La composizione risale al 1801 e fu dedicata al conte Moritz von Fries, il mecenate cui Beethoven dedicò anche le Sonate per violino e pianoforte n. 4 e n. 5 e poi la Sinfonia n. 7. L’impianto del Quintetto op. 29, che nella cronologia dell’opera di Beethoven si colloca subito prima della cosiddetta «nuova via» intrapresa con le Sonate per pianoforte op. 31 (1802), è improntato al modello mozartiano, sul quale si innestano impulsi vigorosi e drammatizzanti così come accenti patetici, anche se la scrittura della trama cameristica tende più a valorizzare la robustezza e la pienezza in funzione di esiti quasi orchestrali che non a differenziarne sottilmente l’articolazione interna. Tanto il primo quanto il secondo movimento sono animati da un respiro essenzialmente lirico, cui seguono la vividezza energica dello Scherzo, che prende connotati rustici nel Trio, e da ultima l’ironica inventiva del finale, ricco di sorprese. Qui Beethoven, dopo la musica concitata, fulminea e frammentata della prima parte (da cui l’appellativo apocrifo “Der Sturm”, cioè “Tempesta”, attribuito al quintetto), crea nello sviluppo una seriosa elaborazione contrappuntistica sino all’inattesa irruzione di un affettato minuetto di corte che ritornerà poi nella ripresa.”