Sono passati due anni da quando l’ex-ministro Franceschini ha affidato la direzione di alcuni supermusei italiani a grandi studiosi e storici dell’arte provenienti da Paesi stranieri.
Lontani dal muovere critiche in merito alla scelta allora fatta dal Ministero dei Beni e delle Attività Culturali del Turismo, a molti piace pensare che sia un privilegio che personalità e nomi altisonanti nel panorama artistico siano stati scelti e posti alla guida di eccellenze come Capodimonte o Uffizi, di Paestum o del Ducale di Mantova. Ad altri, invece, non è andato ancora giù il boccone amaro di un ferito orgoglio dal sapore nazionalistico.

Guardando alla realtà dei fatti, però, oggi inviterei più a guardare ai risultati perché ogni tanto qualcosa di positivo, in fondo, c’è.
E forse proprio per rimanere su questa scia del “buon risultato” o per uscire dal tipico circolo vizioso del sempre attuale italiano che “è bravo ma non si applica”, oggi altro esempio di commissione e commistione dalle tinte italo-sovietiche ci giunge da un’altra realtà fiorentina che, dal canto suo, avrebbe tanto da raccontare.
È il Museo Marino Marini che, attraverso la lungimirante visione della sua Presidente Patrizia Asproni, decide di dare il via a un progetto assolutamente nuovo a livello internazionale affidando al russo Dimitri Ozerkov, responsabile del Dipartimento di Arte Contemporanea del Museo Statale Russo Ermitage, il ruolo di primo Visiting Director del Museo: una figura che, di anno in anno, vedrà alternarsi direttori di istituzioni espositive internazionali in grado di proporre alla sede fiorentina progetti di alto profilo scientifico e culturale, rendendola un luogo vivo, di elaborazione intellettuale continua e stimolante, un laboratorio di sperimentazione e di futuro.
Nasce da qui il progetto espositivo di Ozerkov “Accents, Accenti, Акценты” (fino al 1 luglio 2019) che, attraverso le opere di tre giovani artisti russi – Irina Drozd, Andrey Kuzkin e Ivan Plusch -, ha pensato di reinterpretare la struttura e la natura del Museo Marini dando al pubblico strumenti e spunti per una sua nuova lettura, con le sue stratificazioni di storia e architettura che da abbazia lo hanno visto anche sede di caserme, tribunali e fabbrica di manifattura del tabacco.

Tra le opere più importanti del grande scultore toscano presenti in loco, emergono elementi che instaurano col museo un dialogo inizialmente quasi fuori dal tempo, che ridisegnano e trasformano gli spazi in un laboratorio in situ, a primo impatto pressoché anacronistiche ma dalla forte carica attrattiva.
Un dialogo forte non solo tra opere ma anche tra opere e pubblico che, attraverso le creazioni site specific e contemporanee dei tre artisti invitati dal Visiting Director, va a definire quel fil rouge che plasma la forza e l’intensità dei capolavori di Marino Marini e Leon Battista Alberti rendendoli un tutt’uno con quegli spazi di cui ormai da tempo sono i padroni.

Ed è proprio un concreto fil rouge quello che, varcata la soglia del museo, ci accoglie come un red carpet dei pensieri, sospeso o rasente, che guida alla scoperta delle opere dello scultore pistoiese. Nel suo scorrere fluido, l’opera Nove cerchi di vita di Ivan Plusch (Leningrado, 1981) fa riflettere sul concetto di presente, di azione imperante e sulla precarietà dell’esistenza che, come in un viaggio inatteso, trova il suo principio in un punto sconosciuto ma percepibile e terreno per poi terminare dissolvendosi altrove tra le travi del soffitto.
Un passaggio che, nella sua incertezza, è anche voglia di ritrovarsi, di ricomporre un’esistenza frammentata e qui rappresentata da sfere in attesa di esser ricongiunte e tornare unità.

Ma l’opera di Plusch non è appunto l’unico esempio di integrazione tra “storia” e contemporaneo anche se, per scoprire il pensiero degli altri due giovani artisti giunti a Firenze, è necessario spostarsi nel piccolo scrigno di epoca carolingia della cripta del complesso monumentale.
È qui che Irina Drozd (Rzhev, 1983) parte dal passato benedettino dell’edificio che ha ospitato tantissime donne: in “Il codice del silenzio”, rielaborando la storia, la riflessione si blocca all’analisi della porzione forse più debole e meno rappresentata della società, quella femminile e dei bambini, troppo spesso vittime di violenza e succubi di un potere “maschile”, assoggettati e violati nella loro libertà e autodeterminazione. Un tema tanto antico quanto attuale e che più di recente ha anche portato alla chiusura di molti centri che della carità cristiana ne avevano fatto la loro apparente bandiera.
Sostenuti da pinze per i panni (uno degli emblemi a significare il ruolo della donna non proprio “angelo” del focolare domestico), grandi dipinti e opere fotografiche ci raccontano di un mondo ancora vittima di pregiudizi, alienazione dell’anima e di violenza impunita.

Più soggettiva, autobiografica e performativa è l’opera di Andrey Kuzkin (Mosca, 1979) che mette in scena “Al confine dei dubbi”, non più l’impalpabile essenza ma la corporeità e tutto ciò che la natura umana comporta, dalle malattie all’incombere della morte.
Il colore qui predominante e scelto dall’artista è il bianco che, al di là di un tunnel, ci accoglie in tutta la sua potenza cromatica trasportando il pubblico come in un limbo per porlo, però, di fronte alla realtà: uno sterminato elenco di patologie porta a riflettere sulla caducità della vita e invita ad affrontare le proprie paure; due lunghe gigantografie di Kuzkin nudo ci accompagnano ad uno specchio su cui rifletterci e riconoscerci; il video di una performance dell’artista – in cui si lascia tumulare all’interno di un sarcofago trasparente – chiude il percorso cristallizando l’attimo e il pensiero.

Tra installazioni e performance si arriva al capolavoro architettonico ospitato dal Museo Marini: è la Cappella Rucellai dell’architetto Leon Battista Alberti – luogo ancora oggi consacrato, sede di riti religiosi e parte integrante del percorso museale – che, con il suo Tempietto che riproduce idealmente il Santo Sepolcro di Gerusalemme, è tra i capolavori del rinascimento italiano.
Qui, dopo i tre giovani artisti, è proprio Dimitri Ozerkov a presentare una mostra concettuale intitolata “Tre donne”, racconto di tre famose figure bibliche femminili: Giuditta, Giaele e Dalila. Un ritorno al passato attraverso la religione per rileggere l’importanza della figura femminile nella storia dell’umanità; donne forti che (al contrario dello scenario raccontato da Irina Drozd) si autodeterminano, impongono e definiscono la loro identità nella libera scelta.

Tre incisioni, tre donne, tre compagne che uccidono i loro rispettivi amanti / nemici per devozione, non a un uomo ma al proprio popolo; assassine-eroine e guerriere, emblemi di un mito forse ancora lontano ma che da sempre accompagnano artisti e intellettuali che, attraverso la loro rappresentazione, attendono pazienti una reale eruzione sociale nel magma dei sentimenti.

Didascalie immagini

  1. Leon Battista Alberti, Tomba di Giovanni Rucellai, Cappella Rucellai, Museo Marino Marini
  2. Dimitri Ozerkov, Visiting Director 2019 del Museo Marino Marini
  3. Irina Drozd / Ivan Plusch
  4. Ivan Plusch, Nove cerchi di vita. Mostra “Accents, Accenti, Акценты”, Museo Marino Marini, 2019
  5. Irina Drozd, Codice del silenzio. Mostra “Accents, Accenti, Акценты”, Museo Marino Marini, 2019
  6. Andrey Kuzkin, Stando al confine dei dubbi. Mostra “Accents, Accenti, Акценты”, Museo Marino Marini, 2019
  7. Antoon van Dyck, Stampa di Sansone e Dalila
  8. Andrey Kuzkin

IN COPERTINA
Ivan Plusch, Nove cerchi di vita. Mostra “Accents, Accenti, Акценты”, Museo Marino Marini, 2019

Dove e quando

Evento: Accents, Accenti, Акценты
  • Date : 04 May, 201901 July, 2019
  • Sito web