Ci sono luoghi speciali e Lanzarote, andando ben oltre la spettacolarità delle destinazioni sole/spiaggia, ha qualcosa di diverso, molti la definiscono lunare, un’isola dove la natura si coniuga con l’arte, dove le persone si sentono e vivono l’impegno e l’orgoglio di appartenenza.
Un particolare modello di sviluppo con crescita economica sostenuta, protezione chiara in simbiosi con la conservazione della natura e dell’ambiente, l’integrazione artistica nel territorio come elemento di rafforzamento della propria cultura e valorizzazione estetica con il recupero di aree degradate.
Inoltre la presenza di ecosistemi enclavi rappresentativi hanno portato al riconoscimento – e la dichiarazione del 7 ottobre 1993 – di Isola riserva della Biosfera Unesco . I bassi fondali ospitano una moltitudine di biodiversità mentre la superficie, relativamente piatta (altitudine massima 670 metri), è di origine vulcanica, con vasti campi di lava, conosciuti come malpais e una profusione di crateri.
Affascina cone vi si siano sviluppati tutta una serie di adattamenti per intrappolare e utilizzare le scarse, e imprevedibili, pioggie come le tecniche agricole per la semina sotto ceneri e flussi di fogli vulcanici in coni invertiti formando paesaggi unici come quelli della valle di Geria dove i vigneti emergono da grandi crateri.
Oltre alle impressionanti distese di lava solidificata dela Parque Nacional de Timanfaya, Lanzarote vanta anche il primo museo europeo che focalizza sui drammi del terzo millennio, in particolare la strage dei migranti che annegano ogni giorno. A circa dodici metri di profondità, nei pressi della costa meridionale, nella baia di Las Coloradas, scelta per le caratteristiche del fondo marino, su una superficie di 2.500 metri quadrati (50×50) accessibile ai subacquei, ma anche in apnea.
Tutte le parti sono progettate per adattarsi alla vita marina endemica e il museo crea una grande barriera artificiale formata da docici installazioni scultoree con oltre trecento figure a grandezza naturale in calcestruzzo con pH neutro che, nel tempo, servirà ad aumentare biomassa marina e facilitarne la riproduzione. Attualmente è frequentato da squali angelo, banchi di barracuda e sardine, polpi, spugne e, occasionalmente, anche dalle farfalle di mare.
Il Museo Atlántico è stato concepito come luogo per la conservazione e l’educazione ambientale marina e dove, la natura, è parte integrante del sistema dei valori umani per quel particolare dialogo visivo tra arte e natura. Il messaggio del monumentale progetto artisitco, dell’eco-scultore Jason deCaires Taylor, è un monito alla responsabilità collettiva.
Impossibile descrivere cosa si prova nuotando fra opere, ma ce ne sono alcune capaci di fermare il battito del cuore come ‘La zattera di Lampedusa’, un gommone con tredici migranti abbandonati e, nei pressi, “Desconectado” ribadisce il dilagere dell’uso delle nuove tecnologie di auto-referenzialità e la demenzialità di certi selfie.
“Foto Op” , invece, propone un dibattito sul bisogno di registrazione permanente di immagini nelle società contemporanea e sul turismo delle stragi.
Il gruppo di bambini nelle loro piccole imbarcazioni in ottone “Jolateros” divengono metafora di un possibile futuro per i nostri figli segnato dalla precarietà.
“Cruzando el rubicon” è costituito da un gruppo di trentacinque figure in cammino verso una parete, un confine tra due realtà e un gateway per l’Oceano Atlantico. Un monumento all’assurdo, una barriera disfunzionale nel mezzo di un vasto fluido, uno spazio tridimensionale che può essere superato in qualsiasi direzione.
L’ultima opera del percorso è una girandola umana composta da duecento sculture, sempre a grandezza naturale, che creano una grande formazione circolare. La posizione delle figure dà forma a una barriera corallina vivente per le specie marine ed è anche il saluto ai visitatori al termine del tour.
Unico modo per visitare il museo è attraverso centri autorizzati per effettuare l’immersione in sicurezza con istruttori appositamente addestrati.