Il vento, a corde, dagli Iblei, dai coni / delle Madonie /
strappa inni e lamenti / su timpani di grotte antiche come
l’agave e l’occhio del brigante
(S. Quasimodo Che lunga notte, da Il falso e il vero verde)
La città di Modica, nella Sicilia sud orientale, è uno dei centri che furono devastati dallo spaventoso terremoto del 1693 e in seguito ricostruiti nello stile originale e fantasioso del tardo barocco siciliano, dove la solidità delle strutture è alleggerita dalle ridondanti decorazioni di finestre, balconi e balaustre. La parte antica della città, arroccata alle pendici della collina del Pizzo sulla cui cima svetta dal XIII secolo l’imprendibile castello dei Conti, è percorsa da strette vie che si arrampicano e si intersecano tortuose lungo i fianchi del colle, spesso trasformandosi in scalinate senza soluzione di continuità.

Tanto ripido l’antico nucleo urbano, che quando nell’Ottocento si decise di dare una dignitosa sistemazione all’area antistante la cattedrale di San Giorgio, mancando lo spazio per la consueta piazza, si realizzò una scalinata di quasi centosettanta gradini che dal sagrato della cattedrale precipita – è l’impressione che se ne ha uscendo dalla chiesa – verso i quartieri più recenti di Modica Nuova. L’antico nucleo venne edificato su una serie di grotte abitate fino dalla preistoria, in parte inglobate nelle fondamenta degli edifici che vi furono sovrapposti conservando sepolcreti e piccole chiese ipogee, tuttora esistenti.

In un palazzetto barocco del nucleo antico, situato lungo la salita che conduce al castello e affacciato sul vallone sottostante, nasceva il 20 agosto 1901 il poeta Salvatore Quasimodo (1901-1968). Oggi vi ha sede il “Museo casa natale Salvatore Quasimodo”, inserito da alcuni anni tra le “Case della Memoria” e acquisito dalla Regione Sicilia nel 2021. Il museo è gestito dall’Associazione Culturale Proserpina che ha sede a Modica, ed è aperto tutti i giorni grazie all’appassionata dedizione e all’amorevole cura di coloro che se ne occupano.

I due ambienti principali, lo studio arredato con mobili provenienti dall’abitazione milanese di Quasimodo e la camera da letto, custodiscono oggetti appartenuti al poeta: fotografie autografate, edizioni speciali delle sue opere e vari cimeli. In tempi recenti sono state aperte al pubblico due nuove sale: la sala di lettura, nella quale sono disponibili per la consultazione le opere di Quasimodo, e la sala multimediale, dove vengono proiettati alcuni video, tra cui quello della cerimonia per il conferimento del Premio Nobel per la Letteratura, che il poeta ricevette a Stoccolma nel 1959.

Modica non era la città di origine della famiglia Quasimodo, che proveniva da Roccalumera, in provincia di Messina, dove il piccolo Salvatore fu portato poco dopo la nascita, quando Modica venne colpita da un’alluvione. Le peregrinazioni erano appena iniziate, poiché la famiglia si spostava seguendo il padre Gaetano, ferroviere, nei suoi trasferimenti da una città all’altra: dopo il terremoto di Messina, quando Salvatore aveva sette anni, il padre venne incaricato di riorganizzare la stazione ferroviaria di quella città, gravemente danneggiata, e la famiglia visse per diverso tempo all’interno di un vagone ferroviario nello scalo merci, dal momento che Messina era stata completamente rasa al suolo.

Così, il piccolo Quasimodo ebbe modo di conoscere ben presto quel “sentimento dell’altrove” che può far sentire cittadini del mondo, oppure suscitare un’invincibile impressione di estraneità ovunque ci si trovi: è questo il caso del poeta, che si considerò sempre un esule. Dopo essersi diplomato all’Istituto Tecnico Matematico-fisico di Messina, città nella quale conobbe il futuro sindaco di Firenze, Giorgio La Pira, e strinse con lui un’amicizia destinata a durare tutta la vita, il giovane Salvatore iniziò a Roma gli studi universitari, che dovette presto abbandonare per motivi economici. Poco tempo dopo si trasferì a Reggio Calabria, dove era stato nominato «geometra straordinario» del Genio civile.

Nel 1929, ospite a Firenze del cognato Elio Vittorini – aveva sposato sua sorella Rosa – Quasimodo entrò in contatto con il vivace ambiente letterario della città, dove ebbe modo di incontrare Eugenio Montale, uno dei fondatori della rivista Solaria: per le Edizioni di Solaria Quasimodo pubblicò il suo primo volume di poesie, Acque e terre, in cui il protagonista è la Sicilia, assurta a emblema di una felicità perduta: così, mentre in Vicolo affiora quasi una memoria subliminale della casa natale “Vicolo: una croce di case / Che si chiamano piano, / e non sanno ch’ è paura / di restare sole nel buio“, Vento a Tindari è segnata dalla nostalgia di una domestica serenità ormai lontana, contrapposta all’angosciosa incertezza dell’esule che domina il presente: “Aspro è l’esilio, / e la ricerca che chiudevo in te / d’armonia oggi si muta / in ansia precoce di morire“.

L’impiego presso il Genio Civile portava Quasimodo a peregrinare attraverso l’Italia con frequenti trasferimenti finché nel 1938, grazie a Cesare Zavattini, il poeta iniziò a collaborare con il mondo editoriale. Due anni dopo, la pubblicazione della sua traduzione dei Lirici greci ebbe grande risonanza anche in ambiente accademico, tanto che ottenne “per chiara fama” la cattedra di Letteratura italiana presso il Conservatorio di Musica G. Verdi di Milano, continuando l’insegnamento fino alla fine dei suoi giorni.

Il poeta tornò a Modica solo nel 1962, quando vi si recò su invito dell’Amministrazione comunale in seguito al conferimento del Premio Nobel, e in quell’occasione visitò la sua casa natale, all’epoca proprietà di un privato. Annamaria Angioletti, l’ultima compagna di Quasimodo che era al suo fianco nel viaggio in Sicilia, ha lasciato una descrizione della casa e dell’impressione che questa le suscitò “Il palazzetto barocco, posto in cima a scalinate di pietra levigate dai passi, con le stanze luminose del sole meridionale, i pavimenti di piastrelle e le tende di pizzo … I terrazzi erano pieni di cespugli di gelsomino e di siepi di cactus, il cielo era blu, la lapide sulla facciata della casa riportava la notizia della nascita di Salvatore: tutto mi convinse che quella dimora era magari apocrifa, non ce n’era tuttavia un’altra così accettabile, dal punto di vista dell’atmosfera spirituale ed estetica per le origini del poeta.”