«Pólemos è padre di tutte le cose, di tutte è Re» (Eraclito)
Prosegue fino al prossimo 13 gennaio al Museo d’Arte della città di Ravenna una mostra che indaga su come l’arte affronti il tema della guerra. Se l’arte è azione dell’uomo che interpreta l’aspirazione alla libertà di pensiero, di credo, di creazione, ed è agli antipodi di ogni tipo di violenza, il linguaggio contemporaneo ha assunto ogni forma, dal quadro alla fotografia, dal wall drawing alla perfomance, divenendo uno degli strumenti di denuncia e di espressione più diffuso e trasversale, capace di addentrarsi negli scenari di guerra, di interpretarne l’energia vitale come di denunciarne gli orrori, o di connotarsi come puro atto di liberazione.
Esplora il tema anche attraverso opere che sondano la mitologia, strumentalizzata in ambito bellico o nata dalle guerre stesse: dalle scene di battaglia agli strumenti di offesa e tortura, dalla rappresentazione del potere e dei volti dei vinti, al vitalismo e al primitivismo come sublimazione delle profonde pulsioni che agitano l’animo. Una mostra né ‘pacificatrice’ né consolatoria, ma un percorso espositivo volto a sottolineare la ricchezza, la fluidità, l’energia di poetiche differenti, ma costantemente impegnate, mai dimentiche degli ostacoli che la realtà frappone alla realizzazione dei sogni, tanto più se si affidano a un irenico domani.
Realizzata dall’Assessorato alla Cultura del Comune e il Museo d’Arte della città di Ravenna, è stata curata da Angela Tecce e Maurizio Tarantino e l’ordinamento espositivo procede per assonanze, contrasti, armonie e disarmonie senza un criterio cronologico per la volontà di rispettare il qui e ora che non solo presiede alla realizzazione di un’opera d’arte, ma che è il portato inevitabile del suo essere storia e del suo destino.
Proprio per sottolineare la contemporaneità assoluta di ogni opera che ognuna di esse è stata selezionata per amplificarne le motivazioni più profonde e poetiche, attraverso il confronto con altre opere, portatrici di sensibilità diverse se non opposte in un progetto articolato intorno a tre temi: Vecchi e nuovi miti, sulle ideologie che in passato come ancora oggi sono state spesso alla base di conflitti, o sulle mitologie che ne sono derivate; Teatri di guerra. Frontiere e confini, che restituisce la rilettura data dagli artisti delle immagini di guerra che si susseguono sotto i nostri occhi, dove i confini dividono ciò che è ‘dentro’ da ciò che è ‘fuori’. Infine, Esercizi di libertà, più specificamente rivolto a ciò che l’arte può dirci sul nostro futuro, non come proiezione di un presente livoroso e conflittuale, ma come spazio di creatività.
Fulcro della mostra è un nucleo di artisti “storici” che hanno declinato le tematiche della guerra in modi diversi: dalla propaganda bellico-futurista di Marinetti a De Chirico che, con I gladiatori (1922), rilegge la violenza della Grande Guerra con il filtro di una classicità depurata ed eterna. Picasso con l’opera in mostra, Jeux des pages (1951), torna a una riflessione sui disastri della guerra iniziata nel 1937 con Guernica e che si concluderà con le due grandi composizioni del 1952 intitolate La Guerre e La Paix. I due grandi artisti del secondo Novecento italiano, Lucio Fontana e Alberto Burri, esprimono con sensibilità diversissime la lacerazione che i danni del secondo conflitto hanno provocato prima di tutto nelle coscienze, cui si unisce la voce sonora e indignata di Renato Guttuso.
Un nucleo di grande suggestione è costituito dal ‘corpo a corpo’, attraverso i secoli, di immagini guerresche: il vaso con scene di battaglia tra greci e troiani e il frammento marmoreo con un legionario romano, Il Portabandiera di Rubens e l’addio di Ettore e Andromaca di De Chirico, fino al guerriero postmoderno per eccellenza, il maestro Joda di Guerre Stellari.
I tre grandi temi che hanno ispirato la scelta degli artisti si intersecano ad ogni piano per rendere più fitta la trama della mostra: ai teatri di guerra fanno riferimento, tra gli altri, Christo, William Kentridge (che si ricollega a De Chirico), Jake & Dinos Chapman, col loro minuzioso catalogo degli orrori, Gilbert&George, reporter dei conflitti urbani, Alfredo Jaar e Robert Capa.
I vecchi e nuovi miti aleggiano nell’opera di Robert Rauschenberg, nel denso e magmatico mare di Anselm Kiefer, nella denuncia di Fabre (nascosta sotto una coltre cangiante), nel dramma silente del lavoro di Jannis Kounellis, in Andy Warhol e Hermann Nitsch, mentre sono esercizi di libertà le opere di Mimmo Paladino, Marina Abramović, Michelangelo Pistoletto, Emilio Isgrò.
Le scelte curatoriali di Angela Tecce e il punto di vista filosofico e letterario di Maurizio Tarantino si completano con l’intervento di Studio Azzurro con quattro installazioni che creano un legame immateriale tra i diversi piani e livelli su cui si distribuisce la mostra, e integra le opere con le sue classiche suggestioni audiovisive e interattive. La scala, in cui suoni e immagini accompagnano la salita del visitatore, e le sue domande. La sala d’ingresso, dove, attraverso una feritoia, ci si cala nei miti e nelle tragiche realtà della prima guerra mondiale. Il corridoio del primo piano, dove i calchi di cavalli e cavalieri del Partenone si rianimano al passaggio del visitatore rileggendo la visione dantesca della guerra a partire dalla sua esperienza di “feditore a cavallo” nella Battaglia di Campaldino.
Infine la rilettura e ricontestualizzazione del monumento simbolo delle collezioni del Museo, la struggente lastra funeraria di Guidarello Guidarelli, recentemente restaurata e riallestita, che, attraverso l’interazione del pubblico col suo simulacro, rigenera e attualizza la sua storia, confermando il senso di misteriosa vicinanza che quotidianamente suscita in chi la ammira.
Accompagna la mostra un catalogo edito da Sagep.
Didascalie immagini
- Andres Serrano, Fool’s mask, Hever castle, England (torture), 2015, stampa a pigmenti montata su dibond, cornice in legno, cm 101.6×82.55, courtesy Galleria Alfonso Artiaco, Napoli
- Paolo Grassino, Lode a TT, 2005-2006, PVC schiumato su Nylon, spugna sinettica su poliespanso e fero, cm 300×600; cm 237x280x165, Collezione Garuzzo
- Emilio Isgrò, Weltanschauung, 2007, tecnica mista, acrilico su tela applicata su tavola (12 pannelli), cm 110x150x5, Centro per l’Arte Contemporanea Luigi Pecci Prato
- Hermann Nitsch, Schüttbild mit malhemd, 2007, acrilico su lino, cm 200×300, collezione privata
- Christo, Running Fence (Project for Sonoma County and Marin County, State of California), 1976, pencil, charcoal, pastel, wax crayon, with collage elements, thecnical data, map and tape, disegno in due parti: cm 38×243 / 243×106.6, collezione dell’artista
- Shōzō Shimamoto, ID 0561 Punta Campanella 40 (Canvas 33), 2008, acrilico su tela, cm 209x268x3, Fondazione Morra, Napoli
- Perino & Vele, Senza titolo, 2006, cartapesta (Il Mattino, La Gazzetta dello Sport, Italia Oggi, Il Sole 24 Ore), ferro zincato, asfalto, cm 272x158x152, courtesy Galleria Alfonso Artiaco, Napoli
- Gilbert & George, Machete, 2011, cm 226×190, courtesy Galleria Alfonso Artiaco, Napoli
In copertina un particolare di:
Pablo Picasso, Jeu de Pages, 1951, litografia a corlori, cm 47,63×39,37
Il contrappunto filosofico letterario della mostra
Quando c’è la guerra, a due cose bisogna pensare prima di tutto: in primo luogo alle scarpe, in secondo alla roba da mangiare: perché chi ha le scarpe può andare in giro a trovar da mangiare, mentre non vale l’inverso. È questa la lezione che Mordo Nahum impartisce a Primo Levi; e alla sua obiezione: ma la guerra è finita!, il greco risponde: Guerra è sempre.
Un altro greco, Eraclito, 2500 anni prima, chiamava Polemos padre di tutte le cose. In questo lungo arco di tempo grandi pensatori ci hanno ricordato che il conflitto è connaturato all’essere umano: da Kant, che giudica lo stato di guerra e non quello di pace lo stato naturale tra gli uomini che vivono gli uni a fianco degli altri, a Hegel, che ricorda come persino gli eterni Dei del politeismo non vivono in pace perpetua. Dal Machiavelli dell’Arte della guerra a Hobbes, per il quale non esiste per alcun uomo mezzo di difesa così ragionevole quanto l’assoggettare, con la violenza o con l’inganno, tutti gli uomini che può, fino a che non vede nessun altro potere abbastanza grande da metterlo in pericolo.
Ancora all’inizio del Novecento i futuristi inneggiavano alla guerra “igiene del mondo” e persino nell’ambiente rarefatto della famiglia Montale, la sorella del poeta poteva scrivere a un’amica che a Eugenio Farà bene la vita militare, gioverà moralmente – perché era troppo sognatore, passivo, sulle nuvole, inadatto alla vita pratica.
Negli stessi anni Benedetto Croce, alla domanda Si può abolire la guerra ? rispondeva che una qualche forma di guerra continuerà sempre, perché la guerra è insita alla vita, e che semmai si trattava di provare a evitare nel secolo ventesimo e nei paesi di Europa, quella empirica guerra, che si fa coi cannoni e con le navi corazzate; che costa miliardi, quando non si fa, e decine di miliardi, quando si fa; e da cui il vincitore stesso esce spossato e vinto.
Come si sa, la speranza di Croce è stata crudelmente disillusa, e il secolo ventesimo ha visto strumenti di guerra ben più potenti e atroci dei cannoni e delle corazzate, a partire dalla prima guerra mondiale. Il mito degli uomini e dei popoli che si rinnovano, delle nazioni che ringiovaniscono, delle masse che fanno la storia, diede vita a un’orribile carneficina. E invece di un nuovo Eden scrive Claudio Magris, in cui avrebbe dovuto vivere felice e buono il nuovo Adamo, vennero a regnare e a incrudelire Mussolini, Hitler, Stalin.
Dai mostri e dalle apocalissi delle guerre del Novecento è nato il pacifismo, ben sintetizzato nel preambolo alla Costituzione dell’UNESCO del 1945: Poiché le guerre cominciano nelle menti degli uomini, è nelle menti degli uomini che si devono costruire le difese della Pace. Ma ben più potente del grido degli slogan e delle canzoni, di un coro di bambini che canta War is over, rintrona ancora oggi il rumore della violenza e della sopraffazione dell’uomo sull’uomo. I testi e le opere esposte, colloquiando tra loro, ci ricordano che il dialogo, la gestione dei conflitti e delle tensioni, la dialettica fondata sulle ragioni di ognuno non sono la pace, anzi ne sono ben lontani, ma rappresentano l’unica vera alternativa alla guerra.
Orari mostra:
martedì-domenica: 9-18
(chiuso lunedì)
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Dove e quando
Evento: ? WAR IS OVER. ARTE E CONFLITTI TRA MITO E CONTEMPORANEITÀ
- Fino al: – 13 January, 2019
- Indirizzo: MAR Museo d’Arte della città di Ravenna, via Roma n.13