(di Irma Tiribilli)
Vasco Ascolini nasce a Reggio Emilia nel 1937 e fotografa dal 1965. Unico fotografo italiano di cui abbiano scritto lo storico dell’arte sir Ernst H. Gombrich e il grande medievalista Jacques Le Goff. Le sue fotografie sono state definite “eccezionali” dal critico Federico Zeri, la sua poetica è stata collegata alla messa in scena della scultura e ai gesti del teatro Kabuki dallo storico dell’arte Arturo Carlo Quintavalle. Cavaliere delle Arti e delle Lettere della Repubblica Francese, Ascolini personifica il motto nemo propheta in patria, perché, nonostante il riconoscimento internazionale, in Italia resta poco noto.

Proponendosi di far conoscere la sua fotografia al grande pubblico, nell’ex chiesa di San Ludovico di Parma, alla presenza dell’artista, si inaugurerà alle ore 18:00 di venerdì 22 luglio “Vasco Ascolini, Capitali della Cultura. Immagini e incarichi dei più prestigiosi musei del mondo” curata da Amedeo Palazzi e Cesare Di Liborio e prodotta dal Comitato per Parma 2020.
Scatti che denotano il suo punto di vista e stile inconfondibili, dove ha colto i dettagli di città capitali della cultura nazionali e internazionali, come Arles, Berlino, Il Cairo, Ginevra, Versailles e Tunisi e, ovviamente, Parma dove negli anni Settanta ebbe inizio la sua formazione di artista,
partecipando da uditore alle lezioni universitarie di Quintavalle.
Ora torna in città con una mostra che vuole far vivere agli spettatori un’esperienza totalizzante: un maxi schermo installato al centro della navata di San Ludovico proietterà le fotografie per un tempo adeguato a coglierne gli elementi rappresentati, con i soli testi descrittivi a
interrompere il bianco del layout. In sottofondo, una selezione di suoni registrati in presa diretta nei luoghi fotografati. Quindi, non una mostra tradizionale, ma un film con il visivo associato all’audio, gli spettatori seduti e il buio in sala.

Immagini di sculture, musei, chiese, palazzi e giardini che si incontrano nella quotidianità – a colori, in movimento, immersi in rumori di fondo – segnaletiche, cancelli e automobili, negli scatti selezionati per la mostra perdono la scala, e il loro senso è modificato da un nero potente, che confligge con la luce.
Nei primi scatti realizzati in contesti teatrali negli anni Settanta – celebri le fotografie dello spettacolo del coreografo, ballerino e regista Lindsay Kemp scattate nel 1979 – Ascolini dimostra uno stile inconfondibile. Forzando le possibilità del mezzo, spinge la grana della pellicola, estremizza i toni del bianco e nero, avvicina i corpi con l’obiettivo e applica ad essi tagli inaspettati, lasciando a un nero assoluto gran parte della stampa. Il risultato è un’immagine che gioca sulle asimmetrie per mantenersi in equilibro.
Verso la metà degli anni Ottanta, il rapporto con il teatro si esaurisce e il fotografo inizia a dedicarsi all’architettura e alla statuaria storiche, applicando su pietre e marmi, sale e giardini gli stessi stilemi del teatro. Continua a tagliare le prospettive e i soggetti, con le sculture che fanno capolino da dietro una parete o mostrando la propria silhouette. Così accresce la sensazione di disagio per ciò che non ci è dato vedere, per quel qualcosa che sembra voler sfuggire alla nostra percezione. Proprio lasciando la porta del reale socchiusa, Ascolini contribuisce a ravvivare la capacità immaginativa e ci spinge a scavare nell’inconscio e nella memoria.
La mostra proseguirà fino all’11 settembre e sarà accompagnata da un catalogo edito Electa contenente, oltre alle fotografie della mostra, gli scambi epistolari con illustri nomi della fotografia internazionale, con i curatori di prestigiosi musei e il nuovo saggio di Quintavalle dedicato al fotografo, oltre a quelli già editati di Ernst H. Gombrich e Jacques Le Goff.