Se la vita sapesse il mio amore!
me ne andrei questa sera lontano.
Me ne andrei dove il vento mi baci
dove il fiume mi parli sommesso.
Ma chissà se la vita somiglia
al fanciullo che corre lontano…
Alla Galleria Nazionale dell’Umbria di Perugia prosegue fino al 14 gennaio 2024 la mostra che indaga il rapporto di Sandro Penna con il mondo dell’arte, mettendo a fuoco i gusti e le tendenze diffusi sulla scena culturale fra gli anni Quaranta e gli anni Settanta del secolo scorso, della quale il poeta fu protagonista.
Pertanto, dopo la grande mostra dedicata a Pietro di Cristoforo Vannucci per i cinquecento anni dalla sua scomparsa, Perugia celebra un altro suo importante concittadino: il poeta Sandro Penna (1906-1977), una delle voci più sensibili e profonde del Novecento, non solo italiano, come dimostrano le numerose e continue traduzioni dei suoi versi.
Nel catalogo Magonza, che accompagna l’evento espositivo, Marco Pierini direttore della Galleria Nazionale dell’Umbria, ricorda: «certamente sentimentale si può definire anche il rapporto tra Penna e la sua città d’origine, “impronta di un’anima” come lui stesso ebbe a definirlo, sebbene la più gran parte della sua vita si sia svolta a Roma, da dove i ritorni in terra umbra furono più che sporadici. Nella capitale si trasferì, infatti, alla fine degli anni Venti e da allora rientrò nella città natale solo una volta, nel 1943, in piena guerra; nel frattempo la sua giovanile passione letteraria si era evoluta in poesia, una poesia visiva. Non è un caso perciò che fossero proprio le arti visive ad attrarlo maggiormente e che proprio tra pittori, scultori e fotografi egli maturasse la sua personalità fino a raggiungere presso la loro cerchia una fama sconfinante nel mito.
L’anticonformismo di Penna, il suo vivere fuori dagli schemi ma dentro la vita, contribuirono a renderlo progressivamente quasi un’icona, soprattutto per le generazioni giovani, quelle cresciute nel fermento della Roma postbellica, la cui ricerca si nutriva di stimoli e confronti internazionali senza rinunciare all’orgoglio di una tradizione millenaria, che in nessun altro luogo del vecchio continente poteva vantare radici così profonde come a Roma. Canova e Rosati a piazza del Popolo, i due ritrovi canonici degli intellettuali progressisti negli anni Cinquanta, Sessanta e Settanta, accoglievano quotidianamente scrittori, giornalisti, artisti, galleristi ma anche attori, registi, produttori cinematografici, all’ora canonica dell’aperitivo, quello mattutino e quello serale.
Qui Penna poteva incontrare i suoi interlocutori o, per meglio dire, molti tra i suoi interlocutori s’incontravano in questi luoghi parlando (anche) di lui. In realtà, infatti, è di preferenza nella sua casa alla Mola dei Fiorentini, dove viveva, che il poeta “riceveva” gli amici e i suoi giovani protetti, acquistava le loro opere da collezionare, da scambiare con versi o da rivendere, quando capitava, per sbarcare il lunario; e sempre a casa incontrava i “colleghi”, scrittori, poeti, critici letterari, che a questo artista indefinibile, dalla fanciullezza protratta e dalla pigra vitalità artistica “militante” riservavano una stima e un affetto spesso ad altri negati».
La mostra, curata da Roberto Deidier, Tommaso Mozzati e Carla Scagliosi, presenta centocinquanta opere di autori quali Pablo Picasso, Jean Cocteau, Alexander Calder oltre a quelle di artisti coi quali Sandro Penna instaurò uno stretto rapporto di amicizia e una frequentazione quotidiana: da Filippo De Pisis a Mario Mafai, da Tano Festa a Mario Schifano e Franco Angeli, ovvero dalla scuola romana ai giovani di Piazza del Popolo. All’interno del percorso espositivo s’incontrano altresì fotografie di Sandro Becchetti e Vittoriano Rastelli.
Per il visitatore è l’occasione di ammirare un vasto nucleo, recentemente identificato, di opere provenienti dalla casa del poeta, in via Mole de’ Fiorentini a Roma dove, oltre a intrattenersi con pittori, scultori, galleristi e letterati, Penna svolgeva la sua attività di mercante d’arte.
Il percorso si completa con un’accurata scelta di autografi, diari e lettere, indispensabile, assieme alle prime edizioni e ai materiali audiovisivi, per far luce sulle passioni dello scrittore, attraverso il colto dialogo fra immagine e parola scritta.
Proprio questo dialogo, del resto, ha suggerito alla letteratura critica un parallelo fra la sua opera letteraria e il mestiere di pittore, commentando la sintonia intima, cifrata, intessuta dai suoi versi con le espressioni plastiche coeve.
In particolare, il critico letterario Cesare Garboli fu il primo a sottolineare quanto Penna solesse trattare le proprie poesie “come fossero dei quadri”. E altri, da Luciano Anceschi a Carlo Levi, da Dario Bellezza a Elio Pecora, hanno intravisto nella sua lirica gli echi più svariati, da Matisse a Watteau, da Scipione a Rosai, passando naturalmente per il Perugino e i suoi paesaggi chiari ed evocativi, pieni d’aria e d’azzurro.