La storia del dipinto che Artemisia Gentileschi realizza per il salone principale di casa Buonarroti nel 1616 parte come una storia di innovazione e grande apertura mentale ma, in capo a pochi anni, causa il cambio generazionale e sociale, diventa paradigma di censura. Una censura che prende la forma di un sostanzioso panneggio, morbidamente appoggiato alle membra della figura nuda che rappresenta simbolicamente l’Inclinazione, così da non destare più vergogne e pruriti nelle genti di casa e negli ospiti di Leonardo Buonarroti, pronipote del grande artista rinascimentale.
Il dipinto viene commissionato ad Artemisia da Michelangelo Buonarroti il Giovane quale primo dipinto da porre a decoro del soffitto per il salone celebrativo dedicato al suo grande e omonimo zio. L’intero ciclo vedrà partecipare anche altri artisti fiorentini, ma questa commissione ad Artemisia è fortemente voluta dal Buonarroti, che pagherà l’artista, sua amica e protetta quale una figlia, molto più degli altri, giudicandola più importante ed elevata intellettualmente artisticamente. La scelta del soggetto è interessante, innovativo e una vera sfida anche per Artemisia, perché non ci sono riferimenti iconografici.

Il suo talento non delude il committente e la sua tela sarà sul soffitto cassettonato fino a quando, intorno al 1680, il vento della censura non spirerà fra le sale del palazzo.
Leonardo di Buonarroto di Leonardo ordina di coprire la scandalosa nudità della giovane donna dipinta per la modestia e il decoro della sua casa e di sua moglie, come documentato da Filippo Baldinucci nel suo Notizie di professori del disegno. Il compito sarà dato al già famoso artista Baldassarre Franceschini conosciuto come il Volterrano, che realizzerà un copioso panneggio, con effetti cangianti e con bianchi svolazzi, che resero finalmente pudica la bella fanciulla scostumata!

Oggi, dopo molti secoli, la tecnologia ha permesso un restauro innovativo, con la “ricerca della donna dietro ai veli” e che ci appare in tutta la sua modernità. Grazie al progetto Artemisia UpClose, è stata realizzata una accurata campagna diagnostica, che ha combinato sofisticate tecniche di imaging e analisi chimiche, permettendo ai conservatori di identificare i pigmenti e la tecnica pittorica di Artemisia. I restauratori hanno appreso, ad esempio, che l’artista ha risparmiato il suo prezioso pigmento di lapislazzuli utilizzandone pochissimo sulle parti del cielo blu, che sarebbero state poi coperte dalla struttura architettonica del soffitto. Attraverso un lavoro investigativo, i restauratori hanno scoperto due restauri successivi, risalenti agli anni ‘60 e ‘70 del XIX secolo. Queste sovra-pitture successive, così come lo sporco e le vernici scolorite, sono state ora rimosse, rivelando una parte più consistente del lavoro originale di Artemisia e dei suoi colori brillanti.
L’intervento ha previsto il consolidamento degli strati pittorici, migliorando sia le distorsioni superficiali che quelle della tela, l’applicazione di una doppia serie di strisce di tela al perimetro della tela originale e la sostituzione del colino con un tenditore espandibile, che permette di regolare la tensione della tela. Comunque, sin dall’inizio “il progetto Artemisia UpClose è stato concepito sapendo che i drappeggi de Il Volterrano non sarebbero stati rimossi per due motivi,” come ha spiegato la capo restauratrice Elizabeth Wicks, “in primo luogo, la rimozione degli spessi strati di pittura a olio applicati da Il Volterrano meno di cinquant’anni dopo la realizzazione dell’originale avrebbe potuto mettere a rischio le delicate velature di Artemisia che si trovano appena sotto la sovrapittura. In secondo luogo, i veli sono stati applicati da un importante artista del tardo barocco e fanno ormai parte della storia del dipinto. Utilizzando immagini diagnostiche, il gruppo di restauro è stato in grado di rintracciare i contorni originali della figura dell’Inclinazione nascosta dai panneggi aggiunti“.

La stupefacente moderna tecnologia digitale, però, oggi ci permette di vedere la ricostruzione dell’Inclinazione, così come fu originariamente dipinta da Artemisia Gentileschi e come l’ha ammirata il suo committente: la mostra, che è allestita in tre sale al piano terra di palazzo Buonarroti, ci racconta tutto questo in modo completo ed esaustivo, dando il giusto spazio alla figura così moderna di questa grande pittrice, al suo committente, e ovviamente al sapiente restauro.

Nella prima sala ci introduciamo nel contesto fiorentino dei primi decenni del Seicento, collocando Artemisia in questo suo nuovo ambiente, dove si trasferisce da Roma nel 1614 e dove entra a far parte della cerchia del poeta Michelangelo Buonarroti il Giovane, lavorando per il Granduca Cosimo II de’ Medici, per cui realizzerà opere che oggi ammiriamo nelle Gallerie degli Uffizi. Conoscerà Galileo e molti altri importanti membri della alta società fiorentina, divenendo la prima pittrice donna ad a essere ammessa all’Accademia del Disegno fondata da Giorgio Vasari nel 1563.

Con la seconda sala finalmente incontriamo l’Allegoria dell’Inclinazione, la prima opera commissionata registrata di Artemisia a Firenze, e spiega come questo dipinto si inserisca nel programma iconologico ideato da Michelangelo il Giovane per la Galleria di Casa Buonarroti, con il fine di rappresentare le numerose e straordinarie qualità del maestro rinascimentale. Questa figura allegorica non era presente nei testi iconologici di riferimento come il Ripa, ma il Buonarroti, lettore instancabile delle Vite del Vasari, segue quest’ultimo che usa spesso la parola inclinazione con accenti positivi per raccontare la predisposizione naturale all’arte di molti protagonisti della sua opera. E così, l’immagine che compone è quella di una giovane donna con in mano un compasso da navigazione, antico strumento dotato di un ago in grado di allinearsi al campo geomagnetico, che indica costantemente il Nord, seduta su un trono di nuvole e quindi un’abitante del Paradiso. Artemisia la dipingerà con un corpo inclinato per seguire l’irresistibile attrazione che le stelle esercitano su di lei, mentre viene guidata dal compasso che tiene in mano.

La terza sala della mostra ci racconta con un video l’intero processo di restauro che è stato effettuato dentro casa Buonarroti, ponendo la tela su un cavalletto, e dove i visitatori hanno potuto vedere da vicino l’opera ed interagire con la restauratrice.
La mostra è quindi la naturale conseguenza di un lungo lavoro che ha portato tante scoperte interessanti e che è stata possibile grazie al generoso sostegno di promotori e finanziatori che, pur non italiani, sono appassionati ammiratori dell’arte italiana e fiorentina, in particolare: Calliope Arts e il collezionista inglese Christian Levett, fondatore del Femmes Artistes du Musée de Mougins, che sarà aperto nella prossima primavera, e della casa-galleria Levett Collection di Firenze, che ospita opere d’arte delle maggiori esponenti dell’Espressionismo astratto. Una valorizzazione a tutto tondo dell’arte delle donne, come sottolinea proprio Christian Levitt con le sue puntuali parole: “Nel corso della storia, gli artisti sono stati non solo i custodi ma anche i creatori della cultura. Questo era vero per Artemisia ai suoi tempi, quando iniziò a mettere le eroine al centro delle sue tele. La particolarità di Artemisia è che continua ad essere una forza trainante per la cultura di oggi, e questa mostra e il restauro rivelano le sue capacità che completano la sua personalità iconica.”