“Fotografare è porre sulla stessa linea di mira la mente, gli occhi e il cuore. È un modo di vivere”
(Henri Cartier-Bresson)
In un’epoca nella quale siamo sommersi da un costante diluvio d’immagini, fisse e in movimento, che si sovrappongono, s’intrecciano, si confondono e scorrono via velocemente senza lasciare traccia, qual è l’alchimia segreta per cui alcune di esse si fermano nella memoria collettiva e persistono a lungo sollevando interrogativi, riflessioni e curiosità, fino a divenire vere e proprie icone del nostro tempo? Da quasi trenta anni il volto intenso di Sharbat Gula, la piccola afgana fotografata da Steve McCurry in un campo profughi pakistano, è divenuto un’icona così potente che nessun’altra è riuscita finora a soppiantarla e a raggiungere la stessa universale notorietà.
Ne parla McCurry stesso in una conversazione con Biba Giacchetti, curatrice della mostra Steve McCurry. Icons in corso dal 15 giugno al 16 settembre presso Villa Bardini a Firenze: “Appena pubblicata la copertina del National Geographic [giugno 1985 n.d.a.], è successo il finimondo. Sono stati sommersi dalle lettere. Tutti volevano sapere chi era, aiutarla, mandare soldi, adottarla, uno la voleva persino sposare … Negli ultimi 27 anni l’attenzione su di lei non è mai scesa. Ma la parte migliore della storia è che siamo riusciti a ritrovarla!”; in mostra viene proiettato il filmato realizzato dal National Geographic sulla lunga ricerca che ha consentito di ritrovare Sharbat dopo diciassette anni.
Nelle sale di Villa Bardini, una selezione di cento immagini ripercorre quaranta anni di attività di Steve McCurry: il grande fotografo, nato nel 1950 nei pressi di Filadelfia, dopo un periodo di attività come free lance in patria, intraprese un lungo viaggio attraverso India e Pakistan. Qui l’incontro con un gruppo di profughi afgani in fuga dal proprio paese all’epoca dell’invasione russa, gli fornì l’opportunità di entrare clandestinamente in Afghanistan mescolandosi ai mujahdin afgani e aggirando il divieto di ingresso nel paese per i giornalisti occidentali. Le sue immagini – portate fuori clandestinamente dall’Afghanistan con i rullini cuciti dentro le vesti – furono le prime a mostrare al mondo i volti di un conflitto destinato a protrarsi per un decennio e della guerra civile che seguì. E furono anche le immagini che gli valsero nel 1980 il premio più prestigioso dedicato ai reportage, la Robert Capa Gold Medal, istituito in memoria dell’omonimo fotografo di guerra, e che viene conferito per “il miglior reportage fotografico dall’estero, per realizzare il quale siano stati necessarie eccezionali doti di coraggio e intraprendenza”.
L’esperienza afgana segnò l’inizio di un cammino professionale ed esistenziale attraverso il mondo, dall’India al Brasile, dal Giappone alla Birmania, documentando conflitti, fenomeni e calamità naturali, tradizioni millenarie custodite presso culture lontane, sempre e comunque ponendo al centro dell’immagine l’essere umano: “La maggior parte delle mie foto è radicata nella gente. Cerco il momento in cui si affaccia l’anima più genuina, in cui l’esperienza s’imprime sul volto di una persona. Cerco di trasmettere ciò che può essere una persona colta in un contesto più ampio che potremmo chiamare la condizione umana. Voglio trasmettere il senso viscerale della bellezza e della meraviglia che ho trovato di fronte a me, durante i miei viaggi, quando la sorpresa dell’essere estraneo si mescola alla gioia della familiarità”.
Indimenticabile il ritratto di Aung San Suu Kyi, Premio Nobel per la pace nel 1991, realizzato subito dopo la sua uscita dal carcere nel 1995, quando aveva ottenuto gli arresti domiciliari dopo venti anni di detenzione; McCurry trascorse con lei due giorni nella sua casa di Rangoon, ascoltando la narrazione delle sue vicende familiari, in cui spiccava l’importanza della figura paterna nel determinare una scelta politica pagata a così caro prezzo. L’intensa forza interiore di una personalità che il fotografo definisce “carismatica”, si concentra tutta in un ritratto nel quale lo sguardo che “va oltre” appare in sintonia con quella capacità di “andare oltre” che permette a McCurry di cogliere in uno scatto l’intima essenza di una persona, di un luogo, di una situazione.
Per la mostra fiorentina, McCurry ha selezionato personalmente le immagini insieme alla curatrice, riunendo accanto alle più famose e a quelle che appaiono “più suggestive” agli occhi dei visitatori, anche quelle a cui è più intimamente legato, commentandole una ad una in una conversazione, “McCurry si racconta”, riportata nel catalogo della mostra.
Aperto da una serie di ritratti, il percorso espositivo si snoda attraverso una carrellata di volti, situazioni e momenti diversi, di volta in volta drammatici, meditativi, intrisi di sofferenza o illuminati dalla gioia; immagini a lungo cercate e inseguite o colte nell’attimo fuggevole di un incontro casuale, ma sempre percorse da un sentimento di pietas, quell’insieme di amore, compassione e rispetto con cui si guarda alla condizione umana nelle sue infinite sfumature.
Al termine, le immagini poetiche tratte dai progetti che McCurry ha dedicato alla spiritualità e alla meditazione, tra cui la visione dell’amato lago Inle, in Birmania, dove vive l’etnia degli Intha, di antiche origini: “La natura, la luce, lo rendono uno dei posti più magici al mondo. Ci vado da 30 anni. La mattina mi piace uscire con i pescatori prima dell’alba, pagaiare con loro scivolando sull’acqua. Sul lago Intha ci sono dei giardini galleggianti dove la popolazione coltiva verdura e fiori. È una cosa che non ho visto in nessun altro luogo al mondo”. Un luogo di armonia e di quella bellezza che per McCurry sembra aprire una speranza verso la salvezza del mondo, traducendo in immagini il senso della vita, che continua e si rinnova nonostante tutto.
Didascalie immagini
- Steve McCurry, Peshawar, Pakistan (1984)
© Steve McCurry
Ritratto di Sharbat Gula, giovanissima profuga afgana, divenuto un’icona del nostro tempo - Steve McCurry, Kabul, Afghanistan (1993)
© Steve McCurry
Un bambino-soldato a Kabul durante la guerra civile afgana - Steve McCurry, Sittwe, Birmania (1995)
© Steve McCurry - Steve McCurry, Rangoon, Birmania (1995)
© Steve McCurry
Ritratto di Aung San Suu Kyi - Steve McCurry, Rio de Janeiro, Brasile (2009)
© Steve McCurry - Steve McCurry, Rangoon, Birmania (1994)
© Steve McCurry - Steve McCurry, Lago Inle, Birmania (2011)
© Steve McCurry
IN COPERTINA
Steve McCurry, Sittwe, Birmania (1995)
© Steve McCurry
[particolare]
Ingresso gratuito per tutti a Villa Bardini e alla mostra
‘Icons’ di Steve McCurry ogni mercoledì di agosto,
a partire da oggi, mercoledì primo agosto.
Dove e quando
- Fino al: – 16 September, 2018
- Sito web