Non aveva ancora compiuto 23 anni quando, allo scoccare del XVII secolo, in sella al suo cavallo, Rubens decide di intraprendere un viaggio in Italia per studiare la cultura classica e l’arte del Rinascimento, da sempre oggetto dei suoi interessi. A quel soggiorno durato otto anni che segnerà sia l’arte del fiammingo quanto quella dei giovani maestri italiani d’epoca barocca, è dedicata la mostra Pietro Paolo Rubens e la nascita del Barocco a Palazzo Reale di Milano fino al 26 febbraio 2017.
Un assaggio dell’esposizione curata da Anna Lo Bianco lo si era già avuto durante le festività natalizie dello scorso anno, quando a Palazzo Marino era stata esposta l’Adorazione dei pastori del 1608, opera fortemente influenzata dalla visione di Correggio e con cui il fiammingo si congedava dall’Italia.
La mostra oggi a Palazzo Reale racconta le tappe precedenti di quel percorso, di un viaggio intrapreso da Rubens proprio all’inizio della sua carriera in un momento particolare per la storia europea, il 1600, anno giubilare che vedeva Roma teatro delle novità artistiche di Caravaggio e Annibale Carracci.
La prima sosta veneziana, che gli aveva permesso di ammirare Tiziano e Tintoretto, fu l’occasione per entrare poi in contatto con il segretario del marchese Vincenzo Gonzaga, che lo ingaggerà al servizio della famiglia sino alla sua partenza nel 1608, incarico al quale Rubens ne affianca molti altri in giro per la penisola.
Di questa italianità tanto bramata e amplificata durante il suo soggiorno l’artista non si libererà mai, tanto che Berenson amò definirlo “un pittore italiano”.
Ma se l’Italia è stata così importante per Rubens, non possiamo dimenticare quanto egli sia stato ugualmente influente per quegli artisti italiani di una generazione più giovane che hanno visto in lui un’energia creativa nuova e prorompente, come Pietro da Cortona, Bernini, Lanfranco, o Luca Giordano.
Le sezioni della mostra sono pensate per rendere leggibili questi parallelismi, affiancando le 40 opere di Rubens alle sculture antiche, ai maestri del Cinquecento, e agli artisti italiani di epoca barocca che al maestro fiammingo guardarono in maniera più rilevante.
I registri su cui si muovono le opere scelte per l’esposizione sono vari. Ci introduce al mondo di Rubens la prima sezione dove il ritratto della figlia Clara Serena sorprende per l’ntensità affettiva di questi “ritratti fatti con amore”, come scrive la curatrice Lo Bianco. Ad esso è accostato un ritratto di giovane di Bernini che probabilmente non conobbe il dipinto di Rubens, ma che alla sua arte guardava ugualmente con interesse, condividendone il senso dinamico.
Uno dei nuclei centrali dell’esposizione è dedicato alla pittura religiosa. La rivalutazione del mondo classico anche in chiave sacra attuata da Rubens, che emerge ad esempio dal parallelismo tra il Compianto su Cristo morto o tra il Cristo risorto e il Torso del Belvedere, attrae gli artisti italiani protagonisti del Barocco.
Centrale in questo processo è la realizzazione della decorazione dell’altare della chiesa di Santa Maria in Vallicella detta Chiesa Nuova, all’epoca «la più celebrata e frequentata di Roma» come scrive orgogliosamente lo stesso Rubens in una lettera.
Le tre pale in lavagna completate nel 1608 e ricordate in mostra dal bozzetto preparatorio conservato a Berlino, stupiscono per l’energia della composizione dove i santi sono rappresentati con grandiosità classica, mentre le fanciulle sono sempre più simili a matrone romane.
La decorazione della Chiesa Nuova diviene l’esempio di una nuova strada per un’intera generazione di pittori che in essa trovavano la novità del messaggio: la seduzione della pittura sacra e la strada intrapresa verso la sua incontrastata secolarizzazione.
La stessa Adorazione dei Pastori di Fermo del 1608, riassumendo le suggestioni di Correggio, di Caravaggio e della pittura veneta colpisce gli artisti italiani, come si evince dal confronto con Pietro da Cortona che riprende l’idea dell’utilizzo del Bambin Gesù come fulcro luminoso della scena nella sua opera di medesimo soggetto.
La fantasia del maestro fiammingo è spesso stuzzicata anche da soggetti mitologici che offrono spunti narrativi pieni di dinamismo, pur tenendo sempre un occhio sempre fermo sull’antichità, come mostra il parallelismo tra Susanna e i vecchioni e lo Spinario o la Venere accovacciata.
Un intero nucleo è poi dedicato a Ercole, la cui fascinazione aveva origine nel 1547 quando nelle Terme di Caracalla venne ritrovato l’Ercole Farnese più volte ritratto da Rubens nei suoi bozzetti.
È in particolare in Ercole nel giardino delle Esperidi che si coglie la familiarità del fiammingo col soggetto, dove sullo sfondo sembra riproporre il giardino della sua dimora di Anversa. Anche Guido Reni realizza una sua rilettura del tema, dove il protagonista ha però ora già vinto l’Idra ed è fermo in un atteggiamento più plastico e classico.
Chiude la mostra un dipinto degli anni Ottanta del secolo, l’Allegoria della pace di Luca Giordano.
A distanza ormai di diversi decenni, il giovane artista vede Rubens come un vero e proprio mito da omaggiare e su cui formarsi, condividendo con l’illustre predecessore la stessa prolifica attività, tanto che per Rubens si contano quasi un migliaio di opere, e poco meno di un migliaio per Giordano.
Dopo la sua partenza nel 1608 Rubens non tornerà più in Italia, ma nel 1638 invia a Firenze all’amico Justus Sustermans il dipinto da cui Giordano prenderà spunto Le conseguenze della guerra, accompagnato da una lettera in cui esprimeva il suo dolore per la situazione dell’Europa devastata dalle guerre.