A Palazzo Te prosegue, fino al 7 gennaio 2024, il progetto espositivo e di ricerca dedicato a Pieter Paul Rubens (Siegen, 28 giugno 1577 – Anversa, 30 maggio 1640) condiviso con i musei Galleria Borghese di Roma e Palazzo Ducale di Mantova.
La mostra, curata da Raffaella Morselli in collaborazione con Cecilia Paolini, indaga l’opera di un protagonista e archetipo assoluto del Barocco, che, mescolando Rinascimento e Mito, riuscì a elaborare un nuovo linguaggio figurativo né fiammingo né italiano ma, come afferma la curatrice, potentemente “fiammingaliano” o “italianingo”.
L’immaginifica popolazione di divinità e di testi antichi inventati e citati da Giulio Romano, a Palazzo Te sono quindi la palestra ideale per il coltissimo Pieter Paul Rubens, intellettuale rinascimentale formatosi nelle Fiandre su testi e immagini dai classici latini e greci, che a Mantova trovò il luogo perfetto per immergersi nei sogni antichi.
Sotto il tetto di Palazzo Te, si consuma la conversione da fiammingo a italiano, e il suo mondo si trasforma in quello di un linguaggio universale con cui parla a tutte le corti d’Europa. Appropriazione e interpretazioni fameliche, trasfigurate volgendo lo sguardo alla statuaria antica, assimilando le modalità di Giulio Romano fino ad approdare a quella pittura sontuosa e inconfondibile.
Non esistono testimonianze dirette o letterarie della presenza del pittore a Palazzo Te, ma sono numerosi, ed evidenti, i riferimenti ai cicli progettati da Giulio Romano per non ritenere come, l’incontro tra i due maestri, sia stato fecondo, produttivo e, forse, determinante in particolare per la vis trasformativa con cui Rubens rielabora le proposte di Romano – come evidenzia nell’introduzione in catalogo il direttore della Fondazione Palazzo Te, Stefano Baia Curioni: «dispiegando un rapporto intenso, non distratto, con la tradizione e al tempo stesso una evidente capacità di distacco e reinvenzione della stessa. Una pratica per molti aspetti simile, non tanto sul piano formale quanto su quello proprio della conoscenza, a quella che Giulio Romano aveva applicato sessant’anni prima ai modelli antichi, che erano stati inequivocabilmente ripresi con grande partecipazione emotiva, ma anche profondamente cambiati».
La mostra si compone di cinquantadue opere, di cui diciassette di Rubens, suddivise in dodici sezioni. Prestiti prestigiosi in funzione del dialogo che riallacciano con i miti e con l’interpretazione che ne diede Giulio Romano nelle varie stanze.
L’obiettivo è stato quello di creare una rispondenza tra le opere di Rubens e i motivi decorativi e iconografici che distinguono il palazzo. Un percorso paradigmatico che vuole dimostrare quanto le suggestioni rinascimentali, elaborate negli anni mantovani e italiani siano continuate, evolvendosi, nella pittura della maturità, fino a trasmettersi nell’eredità intellettuale e artistica lasciata agli allievi.